Perchè gli insegnanti tornano a fare paura
Data: Giovedì, 14 aprile 2011 ore 08:36:34 CEST Argomento: Rassegna stampa
LA CAMPAGNA di primavera contro la scuola
italiana ha un bersaglio principale: l’insegnamento e i professori.
Dall’attacco all’educazione pubblica accusata di “inculcare nei ragazzi
dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono
inculcare ai propri figli” fino all’ultima proposta dei deputati Pdl
che invocano una Commissione parlamentare che valuti l’imparzialità dei
testi scolastici adottati perché molti, oggi, “plagiano i giovani” è evidente che
sono gli insegnanti a fare paura. E che in questo modo si cerca di
spezzare quella preziosa alleanza tra docenti, famiglie e ragazzi che
spesso ha fatto delle aule scolastiche una sorta di laboratorio delle
differenze culturali. Così colpire la figura dell’insegnante vuol dire,
paradossalmente, enfatizzare il suo ruolo di solitario artefice della
cultura, dall’altro, implicitamente, isolarlo sotto la lente di
un’osservazione sociale e politica minuta, moltiplicata, asfissiante. Uno sguardo che non è complice e
collaborativo, ma indagatore e giudice.
Ma quella era appunto tv, e non della migliore.
Non stiamo parlando di un carrozzone parastatale, di un ente inutile.
Stiamo parlando della scuola, la principale agenzia culturale della
Nazione. Il suo compito è fondamentale: fornire a ogni cittadino
l´attrezzatura per intendere, comprendere ed elaborare personalmente
tutto quanto gli verrà detto, o già gli è stato detto altrove (in
famiglia, o anche nei libri di testo).
La scuola non insegna giudizi: insegna
a giudicare.
Senza l´autonomia da qualsiasi ordine superiore, l´insegnamento diventa
quello che la destra mostra di credere sia già: una forma laica (troppo
laica) di catechismo. La cultura,
però, non è una dottrina: la minaccia che porta è casomai nella sua
efficacia di antidoto antidottrinario. Tutti gli intellettuali,
comunque votino, lo sanno: infatti gli intellettuali di destra si
tengono lontani da questa questione, in cui sono sempre e soltanto i
politici ad accanirsi.
Da quando, era il 2000, il presidente della Regione Lazio Francesco
Storace inaugurò la polemica sui libri scolastici «troppo marxisti»,
l´idea (molto sovietica essa stessa) di una «Commissione» che valuti
l´idoneità dei testi è ritornata, per esempio in dichiarazioni di
Maurizio Gasparri. Quel che rende più
serio e preoccupante il suo attuale rilancio è che avviene a poco più
di un mese dalla polemica contro «la scuola di Stato, dove ci sono
degli insegnanti che vogliono inculcare princìpi che sono il contrario
di quelli dei genitori» (Berlusconi, 28/2/2011; corsivo nostro). Data
la pregnanza strategica e comunicativa di certi palleggi, non pare
trascurabile la circostanza per cui il tema è stato ora sollevato da
due collaudate componenti dell´inner circle berlusconiano. Prima da
Gabriella Carlucci, che è membro della Commissione Cultura e Istruzione
della Camera («Testi politicamente orientati, finalizzati a plagiare le
nuove generazioni»), poi da Mariastella Gelmini, la ministra
competente, che lo ha ripreso il giorno stesso («Il problema esiste»).
Lo schema deputato-ministro ha
già preannunciato diverse altre campagne, specialmente nel campo della
Giustizia.
Si configura, insomma, un salto di qualità. Il problema non è il
prevalere di un argomento storico sull´altro, con dosaggi (per esempio
tra foibe e Lager) ritoccati a ogni cambiamento di maggioranza, almeno
sino a quando, in questo Paese, le maggioranze cambieranno. Il problema è l´idea stessa del dosaggio:
di poterne imporre uno, o anche solo di discuterlo.
Provenendo poi non da estremità propagandistiche e pirotecniche ma
dall´interno delle tecnostrutture politiche impegnate nella
legislazione e nell´amministrazione si può immaginare quanto maggiore
effetto facciano simili affermazioni sugli interessati. Nuove prospettive si aprono a quegli
studenti e a quei genitori che usano accogliere le meritate
insufficienze con lo spirito di miglioramento recentemente dimostrato
in altro campo da Zlatan Ibrahimovic. Non l´ha detto anche il Governo e
il Parlamento, che non è giusto studiare su testi che elogiano la
Resistenza o la presidenza di Oscar Luigi Scalfaro? Non è stato lo
stesso Presidente del Consiglio a suggerire alla famiglia di correggere
la scuola, ai genitori di controllare che i «princìpi» inculcati dai
professori non siano diversi dai propri?
Per rottamare la scuola come agenzia
culturale basta mortificarne l´autonomia, magari dichiarando l´intento
di restaurarla. Se guardiamo all´insegnamento come a una tecnica
per imprimere un calco solido in una materia duttile, e così formarla
(questo il significato originario del termine «inculcare»),
distruggiamo il significato vero, e prezioso, della relazione di
insegnamento. Sarebbe come pensare di
ridurre l´eros allo stupro, la comunicazione alla propaganda, il
governo al
comando.
(da La Repubblica Di Stefano Bartezzaghi e Mariapia Veladiano )
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