Il ''vero'' problema dei precari non è in mano a sindacati e politici
Data: Mercoledì, 13 aprile 2011 ore 10:30:00 CEST Argomento: Opinioni
Dopo il maxi
risarcimento cui è stato condannato il Ministero della Pubblica
Istruzione dal Tribunale del Lavoro di Genova il 25 marzo scorso per la
mancata stabilizzazione di quindici lavoratori precari della scuola,
c’è stato una sorta di malsano compiacimento nell’accoglimento della
sentenza da parte dei sindacati e di tutti quei precari che si trovano
più o meno nelle stesse condizioni, cui hanno fatto eco i mezzi di
comunicazione; come se quei 500mila euro che il Ministero della
Pubblica Istruzione dovrà risarcire non fossero soldi di tutti.
Soprattutto dei precari.
La politica, da parte sua, ha ribattuto subito alla notizia ricorrendo
cinicamente ai ripari per evitare che il maxi risarcimento si estenda a
tutti coloro che avrebbero dovuto meritare la stabilizzazione e che,
ovviamente, sono già pronti a presentare
ricorso.
Anche questo episodio ha dimostrato che, quando si parla dei precari e,
in particolare, di quelli che lavorano nella scuola, l’unica
preoccupazione dei mass media è dare voce all’acerbo scontro
politica-sindacati che va avanti, da sempre, a colpi di ricorsi su
tutti i temi che riguardano il mondo del’istruzione. Per esempio sabato
ho letto la lettera di una precaria che aveva persino dimenticato
quanti ricorsi aveva fatto!
Sotto i riflettori dei mezzi di comunicazione i supplenti vengono
menzionati come un esercito di 500mila precari, affamati di punti,
assetati di supplenze, sempre pronti a scalare altissime montagne
chiamate graduatorie. Allo stesso modo politica e sindacati si occupano
quasi solo di contarli, di inventarsi una graduatoria che riesca a
farli scorrere più velocemente o a reclutarli in modo diverso. Insomma
i precari non vengono mai presentati come persone ma come numeri, non
come insegnanti ma come “tappa-buchi” in un periodo variabile che va da
settembre a giugno e che in estate (se non prima) tornano puntualmente
disoccupati. Questa è la vita di chi lavora nella scuola e che, per la
lunga tradizione che si ritrova alle spalle, viene chiamato “precario
storico”.
Una volta la parola “precarietà” veniva usata da poeti e filosofi come
sinonimo di “effimero” per connotare la breve durata di tutto ciò che
ci circonda e sottolineare che la vita corre e s’arresta un’ora
(Petrarca). Oggi, invece, viene utilizzata per indicare quella
condizione esistenziale di ogni lavoratore che non ha un contratto a
tempo indeterminato o che non è di ruolo, come si dice in gergo
scolastico. Proprio contro questo stato di cose sabato scorso i precari
sono scesi in piazza per farsi sentire, soprattutto da coloro che li
chiamano, con un eufemismo, lavoratori flessibili. Come sempre i mass
media hanno ripreso questa manifestazione per alimentare la polemica e
accendere lo scontro.
Fin qui una faccia del precariato. Ciò che, invece, nessuno riporta né
racconta sono le giornate intere che l’insegnante, seppur precario,
trascorre a scuola, facendo il suo lavoro e compiendo i suoi doveri.
Quando questo professore si mette in cattedra dimentica sia i punti,
sia i ricorsi sia le graduatorie perché ha nella mente e nel cuore solo
una cosa: lo sguardo pieno di interrogativi degli studenti che si trova
quotidianamente davanti. Per riprendere queste belle esperienze che
nascono in una classe non ci sono mai telecamere; dei bei rapporti di
fiducia e di stima che si stabiliscono tra docenti e discenti non
scrivono i giornali. Tuttavia da queste giornate nascono romanzi come
Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia, in
cui il protagonista è proprio un supplente - descritto come uno sfigato
al cubo perché sostituisce un professore (che già di per sé è uno
sfigato) e poi lavora portando sfiga ai colleghi per poterli sostituire
- che in un normalissimo giorno di scuola riesce a svegliare
l’alunno-tipo da una ripetitiva vita fatta di scuola-calcetto-Ipod, cui
al massimo potrebbe aggiungere Facebook. Questa è l’altra faccia del
precariato, quella più silenziosa ma che porta maggior frutto.
Viaggiare, cambiare scuola, zona, abitudini ed età degli studenti è
parte della vita precaria di un supplente che solo con questa “gavetta”
può aprire la sua mente, fare esperienze e lanciare sé stesso e i suoi
alunni verso la sfida educativa. (di Olga Sanese da
www.ilsussidiario.net)
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