La scuola fa, il mondo disfa
Data: Venerdì, 01 aprile 2011 ore 17:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
"L'amministrazione
dello Stato, come la tutela privata, deve essere gestita nell'interesse
di coloro che le sono stati affidati, non di coloro ai quali è stata
affidata". Sarei certamente inserita tra i professori sessantottini e
comunisti, che "inculcano principi" e da cui bisogna guardarsi
ricorrendo alle scuole private. Ma non ho proposto la lettura di un
sovversivo; è Cicerone, De officiis - Sui doveri, monumento
didattico-pedagogico destinato più di 2000 anni fa alla classe
dirigente di Roma. Traduciamo, i ragazzi ed io, trovando a ogni
passaggio spunti di riflessione sull'oggi; e - temo - alimentando
sempre più nei diciottenni l'idea di un mondo schizofrenico, dove la
scuola propone e altri dispongono in modo opposto, sconfessando
contenuti, modelli, finalità. II ora: Barocco e sentimento del tempo;
infinitamente grande e infinitamente piccolo; l'oltre e l'iperrealismo:
quanta vicinanza con il '900 in un tempo lontano e in linguaggi remoti,
come quelli di certi
sonettisti.
Mi sposto in III: Primo Levi. Il progetto è finalizzato alla
riflessione su memoria e diritti umani: i sommersi e i salvati,
dicotomia universale. È ancora impossibile, per fortuna, leggere la
prosa sobria e asciutta di Levi, senza avvertire palpabile l'emozione:
nell'aula e nei visi dei ragazzi, così disabituati all'espressione di
sentimenti non ripresi da una telecamera e magari mercificati.
Giovenale e l'indignatio, musa ispiratrice di fronte all'inarrestabile
dilagare del vizio. Esco da scuola, accendo la radio, Gr1. Il
Mediterraneo è una polveriera. La guerra - si chiama così: ancora,
sempre, forse? - a un passo da noi e ovunque, senza condizionare le
nostre vite, a parte il prezzo della benzina. Negli ultimi 2 mesi
coloro che vivono dall'altra parte del mare si sono trasformati, hanno
detto basta. A chi, a che cosa, in quale direzione i miei studenti non
l'hanno saputo; e forse, non lo so nemmeno io. Il reattore è sempre lì,
minaccioso. Andremo a votare un referendum, andranno anche loro, alcuni
per la prima volta. Con quale consapevolezza? Ruby e il 6 aprile che si
avvicina. Il nostro lavoro è utile solo piegando le discipline a sapere
critico, formazione e valorizzazione di strumenti per interpretare il
reale. Rifiuto per lo più tecnicismi o nozionismi e preferisco una
didattica basata sulla capacità di mettere in relazione - mediante
concetti organizzatori - le espressioni culturali dell'uomo di ieri e
di oggi. Cultura come cittadinanza consapevole, l'obiettivo. Oggi non
so più: ho l'impressione di vivere una sorta di Arcadia occidentale, in
cui parte della scuola - la maggior parte - fa; e una parte del mondo -
la maggior parte - disfa. In cui parole, chiavi di interpretazione,
raffinatezza e profondità dei percorsi appaiono ridotti alla
celebrazione di se stessi, perché non riescono più - contrastati da
altri modelli, sopraffatti da altre necessità e dalla lontananza di
spendibilità e utilità immediate da sms - a dire parole incancellabili.
Il mondo cambia vertiginosamente e l'impressione è che i nostri
linguaggi non siano più efficaci per intercettare quel cambiamento in
modo significativo. Mi chiedo se a capire l'oggi e il domani
globalizzati sia sufficiente penetrare lo ieri mediterraneo. Se un
brano di Seneca, Dora Markus di Montale o anche la visione e il
commento di La rabbia di Pasolini possano stimolare domande, fornire
risposte, indicare strade. Non si tratta dell'efficacia di quei
messaggi, ma dello iato tra ore di scuola e minuti del Gr. Della
consapevolezza di appartenere a una comunità educante che si sente
priva di mandato; che deve prendere per mano generazioni sempre più
smarrite, a cui non è più in grado di garantire interpretazioni del
mondo solide ed efficaci. Dubbio moltiplicato, perché delle notizie di
quel Gr io per prima capisco il significato, ma mi sfugge il senso.
Ogni volta è più dura. Ma ogni volta riemergo più convinta: quelle
parole, immagini, formule dicono l'uomo di sempre. Non è l'Arcadia, ma
il miracolo laico dell'esercizio della critica e della divergenza. Che
non di rado mi pare di intuire negli sguardi dei miei alunni, di
leggere nelle loro parole. (di Marina Boscaino da Il Fatto)
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