Gelata sui precari storici: senza concorso non si entra
Data: Martedì, 29 marzo 2011 ore 11:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Collezionare
incarichi di supplenza per anni e anni non dà titolo all'immissione in
ruolo. Perché la Costituzione
prevede che le assunzioni a tempo indeterminato nella scuola devono
avvenire per concorso. E in ogni caso, la normativa italiana che vieta
la conversione dei contratti non viola la normativa comunitaria.
Tanto più che lo ha detto anche la Corte di giustizia europea. Così ha
deciso la Corte d'appello di Perugia, con una sentenza depositata l'8
marzo scorso (n.524). La pronuncia si
pone in netta controtendenza rispetto all'orientamento maggioritario
della giurisprudenza di merito di I grado. E rischia di mandare
in fumo le speranze di migliaia di docenti precari, che avevano sperato
nella via giudiziaria per ottenere l'immissione in ruolo o almeno un
risarcimento in denaro. L'immissione in ruolo per sentenza è avvenuta
peraltro in casi sporadici. Per esempio nel caso del Tribunale di Siena
(sentenza 699/2009). Il risarcimento, invece, è stato disposto nella
stragrande maggioranza delle decisioni fin qui adottate dai giudici di
merito.
Che hanno escluso la possibilità della conversione dei contratti
da tempo determinato a tempo indeterminato, ma hanno condannato
l'amministrazione scolastica a pagare ai ricorrenti le differenze
retributive, tra quanto avrebbero percepito se fossero stati immessi
tempestivamente in ruolo e quanto hanno realmente ottenuto per effetto
dei contratti a termine. La
prevalente giurisprudenza di I grado ha ritenuto che il risarcimento
fosse dovuto a titolo di sanzione per l'amministrazione a causa
dell'abuso dei contratti.
Mentre altri giudici hanno ritenuto di adottare tale decisione in
applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori
precari e di ruolo, contenuto nella normativa europea. In questo ultimo
filone si inquadra anche una recente sentenza del tribunale di Genova
che ha disposto un risarcimento di circa 500mila euro in favore di un
gruppo di precari. Si tratta però di pronunce di giudici di primo
grado. Unica eccezione una sentenza della Corte d'appello di Brescia (
87/10). Che però ha semplicemente disposto il pagamento delle mensilità
di stipendio estive ad alcuni precari ricorrenti, che avevano lavorato
solo fino al 30 giugno. Finora,
dunque, la maggior parte dei giudizi non ha ancora affrontato il vaglio
dei successivi gradi del procedimento. E la pronuncia della
Corte d'appello di Perugia, quindi, è la prima sentenza di II grado che
esamina la questione sotto tutti i suoi aspetti. Non solo sotto il
profilo della normativa comunitaria. In riferimento alla quale esclude
la illegittimità della mancata previsione della conversione dei
contratti in caso di reiterazione degli stessi, citando la stessa
giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 07/09/2006, causa
C-180/2004 e sentenza 07/09/2006, causa C-53/2004). Ma anche e soprattutto entrando nel merito,
analizzando la natura della reiterazione dei contratti sotto il profilo
sostanziale e alla luce della normativa interna. Il tutto
giungendo alla conclusione che l'amministrazione non commette alcun
abuso nel conferire ripetutamente supplenze «posto che ciascun
contratto è svincolato dai precedenti, non costituendone proroga o
prosecuzione, e talvolta attiene alla copertura di posti situati i sedi
diverse». Supplenze che, anche se ripetute, sono legittime dal punto di
vista giuridico, perché la normativa che esclude la conversione dei
contatti è di natura speciale. E quindi essa non è stata abrogata dalle
successive disposizioni che sanzionano l'abuso dei contratti a tempo
determinato nel settore privato. La normativa speciale, infatti, deroga
la normativa generale e prevale su di essa limitatamente agli ambiti
specifici a cui fa riferimento. (da Il Tirreno di Antimo Di
Geronimo)
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