Dopo il 17 marzo, il 74% dei giovani preferisce l’unità d’Italia al federalismo
Data: Sabato, 26 marzo 2011 ore 15:31:38 CET
Argomento: Redazione


La lunga e intensa settimana tricolore è passata e mentre le celebrazioni esterne del centenario si diradano,si intensificano i momenti di riflessioni storico-critiche sul bilancio dei primi 150 anni della storia d’Italia. Nell’immaginario collettivo, per la presenza delle Istituzioni democratiche e parlamentari è passato il messaggio celebrativo dell’Italia democratica e parlamentare e pochi sono stati i riferimenti ai novant’anni di storia italiana trascorsi sotto il vessillo della corona del Re e lo stemma sovrano di Casa Savoia. È questa una storia che non va dimenticata e pur con le tante “colpe” che molti attribuiscono alla monarchia l’Italia ha mosso alcuni passi significativi di sviluppo e di crescita nel cammino dell’innovazione e della modernità. C’è stato il ventennio del Fascismo che anche se da tanti ideologicamente demonizzato ha apportato benefici e risorse al Paese, basta pensare al risanamento delle zone paludose, le case agricole, le scuole.
Anche la Chiesa che si è unita ai festeggiamenti dell’Unità d’Italia dal 20 settembre 1870 con la breccia di Porta Pia ha subito duri colpi con l’espropriazione dei beni confiscati e le poche guarantige riconosciute non potranno mai colmare il danno economico e sociale subito.
“Libera Chiesa in Libero Stato” è un motto che è rimasto solo nell’intenzionalità dei promotori, perché di fatto la Chiesa è stata espropriata di quel diritto di primazia religiosa che nel tempo ha contribuito a rendere bella e grande la nostra Patria. Il Papa, nonostante il Risorgimento sia “passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale”, ha rivendicato il ruolo del cristianesimo nel processo di unificazione dell’Italia e “non si può sottacere l’apporto di pensiero e di azione dei cattolici alla formazione dello Stato unitario e alla elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947” e “negli anni dolorosi ed oscuri del terrorismo”, segnati dalla morte di Aldo Moro e di Vittorio Bachelet.
Il nuovo filone culturale sembra indirizzare l’Italia verso il federalismo ma in un’indagine condotta dal portale studenti.it, in occasione delle recenti celebrazioni, alla domanda “A 150 anni dall’Unità d’Italia sei per proseguire su questa strada o preferisci il federalismo?” il 74% dei partecipanti all’indagine ha dichiarato di voler proseguire sulla strada dell’unità. Il 16% ha scelto il federalismo mentre è incerto il restante 9%. “Mi mette tristezza questa cosa del federalismo ... - dice Mery una ragazza di 17 anni, che ha partecipato al sondaggio- trovo che sia meglio rimanere uniti anziché dividersi, dopo tutto quello che è costato, dopo che l’Italia è finalmente riuscita ad essere unita. Sembra quasi di tornare al vecchio divide et impera. È triste che qualcuno si senta solo del nord, o solo del sud, invece che italiano”. Secondo Marco, studente liceale: “Qualora si dovesse passare al federalismo, anche solo fiscale, l’Italia cesserebbe di esistere come Stato o meglio come realtà nazionale. Perché? L’idea stessa di starsene divisi porta alla conclusione di non essere pienamente uniti”.
In Italia è quasi impossibile mettere in pratica un federalismo sullo stampo nazionalistico di quello tedesco - dice Paola, ma il federalismo che si intende proporre in Italia tende a favorire il divario già enorme tra Nord e Sud. Fare gli Italiani è un’impresa non facile e la scuola ha un compito importante non solo di memoria celebrativa, ma di rispetto della storia capace di leggere il presente con gli occhi del passato ed interpretare il futuro alle luce dei valori.

Giuseppe Adernò,
gi.ad@tiscali.it,  Presidente provinciale ASASI Catania






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