Il futuro dell’insegnamento in Italia, secondo G. Papini: “Chiudiamo le scuole “
Data: Venerdì, 25 marzo 2011 ore 20:00:00 CET
Argomento: Redazione


Il Futurismo è un esempio chiaro ed evidente di utopia del XX secolo. “Il manifesto del Futurismo” di T. F. Marinetti del 1909 costituisce l’atto ufficiale della fondazione del gruppo dei futuristi. L’operazione rinnovatrice venne poi sviluppata nel 1912 con il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”. Viene teorizzata la poetica della “disintegrazione della sintassi” (in realtà si tratta non solo della distruzione della sintassi ma anche e soprattutto delle sicurezze interiori e formali). Si rese obbligatorio l’uso del verbo all’infinito, l’abolizione di aggettivi ed avverbi. La punteggiatura classica venne bandita e sostituita da segni matematici più veloci ed immediati . L’obiettivo finale era la morte dell’io letterario, in altre parole l’abolizione del punto di vista umano per dar luogo all’assoluta “oggettività della materia”. Dal punto di vista stilistico vennero create le parole in libertà. Il Manifesto costitutivo del 1909 diede vita poi a tantissimi altri proclami.
Oggi, tutti gli insegnanti parliamo agli alunni di queste pubblicazioni futuriste, ma pochi facciamo conoscere le idee del “futurista” Giovanni Papini (1881-1956), sulla scuola italiana. Pubblicò nel 1914 "Chiudiamo le scuole". Un testo, più che mai attuale, che esprime con decenni di anticipo un malessere oggi dilagante. Una soluzione estrema ad un problema reso cronicamente insolubile. Una proposta radicale che tutt’oggi potrebbe far discutere se qualcuno avesse il coraggio di esprimere un simile dissenso.
Il Manifesto della scuola Neo-futurista fa  comprendere i difetti che può sviluppare un sistema educativo mal gestito come spesso è ancora il sistema scolastico italiano. Ovviamente, la scuola è molto cambiata e molto migliorata. Ma rimane ancora da fare, perché i ragazzi spesso vivono ancora la scuola come un carcere che mortifica le loro aspirazioni, la loro libertà. Papini vuole eliminare le scuole per dare maggiore gioia e maggiore libertà ai ragazzi. La lettura del libro "Chiudiamo le scuole!" di uno scrittore italiano di cui forse si sono perse le tracce troppo facilmente, mi ha dato lo spunto per una riflessione sulla scuola che parte dal passato per arrivare ai nostri giorni. Già dal titolo la provocazione appare evidente, come spesso era nelle caratteristiche di questo scrittore. Ovviamente in quasi cento anni di storia la scuola ha visto molti cambiamenti cercando sempre di soddisfare le domande delle generazioni che si sono susseguite nel tempo. Papini si augurava che la scuola potesse riconquistare quell’immagine di "luogo della cultura", dove non solo il sapere è "elargito", ma anche dove il sapere è sviluppato e scambiato tra allievi e docenti.  
"Chiudiamo le scuole!" tuonava Papini. Le definiva spesso delle "prigioni di Stato" dove i giovani vengono rinchiusi "in stanze polverose e piene di fiati" dove, oltre che alla loro mobilità fisica, veniva soffocato anche lo spirito di ricerca e di apprendimento che può venire solo da un contatto umano più diretto che nelle aule di una scuola. Dichiarazioni del genere, ispirate al Futurismo più distruttivo, potevano destare scandalo nel XX secolo, ma non sortiscono lo stesso effetto oggi. Il concetto di scuola inutile, o meglio, utile solo per il tanto chiacchierato pezzo di carta, è talmente diffuso che una reazione del genere è prevedibile. Papini è attuale, purtroppo. Fastidiosamente attuale.
Quando leggiamo che la scuola “non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico” non possiamo che essere d’accordo. Papini inquadra il rapporto scuola-individuo, prendendo in esame la prospettiva dell’insegnamento, o meglio, indottrinamento, e dei suoi protagonisti, e non quella di apprendimento: gli approcci del singolo all’istituzione sono tali e tanti che la tesi di Paini risulta persino offensiva nei confronti dell’allievo. Non saranno tutti degli stupidi indottrinati! Non saranno tutti robot pronti a ingurgitare centinaia e centinaia di pagine senza un perché… La vera utilità del rapporto scuola-allievo non sta di certo in ciò che si apprende – si tratta, il più delle volte, di puro e sterile nozionismo, così come chiarisce Gramsci in uno scritto del 1919 – ma in ciò che si fa per apprendere, nel percorso e nel metodo che porta alla conoscenza.
Gli aforismi più significativi del testo di Papini sono i seguenti:
1. Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi.
2. Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello?
3. Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata.
4. La scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori. L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine.
5. Per i genitori, nei primi anni, le scuole  sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera".
6. Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
7. Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.
8. Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena.
9. L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!)
10. L’uomo ha bisogno di libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione uniforme ch'è l'insegnamento.

Allora: resettiamo tutto? Il dibattito è aperto. Giovanni Sicali





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