Gioventù sacrificata o imprigionata in una scolarizzazione troppo lunga? Spunti di dibattito
Data: Martedì, 22 marzo 2011 ore 12:00:00 CET Argomento: Associazioni
L'Adi propone questo
articolo del grande sociologo francese François Dubet, che è stato uno
dei relatori all' ultimo seminario internazionale, “Il dito e la luna”,
del 25 e 26 febbraio u.s .
La tesi di Dubet, sostenuta da comparazioni internazionali, è che le
disuguaglianze sociali risultano tanto più forti quanto più i diplomi
giocano un ruolo decisivo nell’accesso all’impiego.
E’ dunque sbagliato ed illusorio pensare che il merito scolastico possa
o addirittura debba mitigare le differenze sociali e che una scuola che
ridia credibilità ai suoi esiti non sia un elemento di equità sociale
che ridimensioni il potere dei clan e dei legami familistici?
E ancora. La situazione francese descritta da Dubet è paragonabile a
quella italiana? Cosa ha a che fare tutto questo con il valore legale
dei titoli di studio? L'Adi sollecita
interventi e confronti su questo importantissimo tema.
Non si può dire con certezza che la società francese abbia
“sacrificato” i giovani per proteggere le generazioni più
vecchie. E’ invece vero che i giovani francesi sono schiacciati
sotto il peso di un’eccessiva scolarizzazione, che assegna alla sola
scuola il monopolio della definizione e della valutazione del merito
degli individui. Con il pretesto che gli itinerari formativi lunghi
sono utili ai soggetti e fanno bene alla società, sembriamo
ignorare che l’utilità individuale degli studi è profondamente
diseguale.
Il peso di questo ruolo della scuola è così forte che ormai tutti
crediamo che coloro che non hanno meriti scolastici non possono
assolutamente possedere buone competenze,dal momento che la scuola non
gliele riconosce. Come avere fiducia in se stessi, nella società e
negli altri quando ciò che valiamo è ridotto alla valutazione che ne fa
la scuola e dunque, quando si è tanto spesso indegni degli ideali
propugnati dalla scuola?
Più gli individui possiedono titoli di studio elevati e più occupano
posti di lavoro qualificati e ben pagati; da questo punto di vista,
ciascuno ha dunque interesse a fare studi che siano i più lunghi
possibile.
Tuttavia il ruolo giocato dai diplomi nella determinazione del reddito
di ciascuno, è estremamente variabile. Per dirla semplicemente, il
diploma è un titolo forte e redditizio per quegli allievi che sono
usciti dagli indirizzi più selettivi e più prestigiosi.
In Francia, alcuni titoli di studio rappresentano una sorta di rendita,
e si comprende bene perchè le scuole che li distribuiscono non
intendano assolutamente aprirsi. Ma in un mercato del lavoro
relativamente chiuso, il grande valore di certi diplomi fa il paio con
il bassissimo valore e utilità di altri diplomi che sono collocati
all’altro capo della gerarchia scolastica.
Contestualmente, entro questi due poli estremi della gerarchia
scolastica, si è inserito un meccanismo di svalutazione dei diplomi,
dal momento che si richiedono studi sempre più lunghi per
ottenere il livello professionale richiesto e , ancor più, un
ondeggiare continuo e angosciante fra diversi percorsi di formazione da
parte di quegli studenti che non hanno fatto scelte di studi
professionalmente redditizie. Questi studenti sono particolarmente
pessimisti e lo gridano ostinatamente nelle mobilitazioni e negli
scioperi che agitano regolarmente le università di massa che
offrono formazioni generaliste con debolissimi agganci con gli impieghi
disponibili.
Le comparazioni internazionali indicano che le disuguaglianze sociali
risultano tanto più forti quanto più i diplomi giocano un ruolo
decisivo nell’accesso all’impiego e quanto più gli alunni e le loro
famiglie pensano che la scuola sia determinante per l’ingresso nel
lavoro. Tutto questo è facile da capire: se si pensa che tutto si gioca
a scuola, allora bisogna scegliere le strategie più selettive che
conducono ai profili e alle formazioni più redditizie. Quindi, al di là
delle ideologie egualitaristiche, tutto ciò che all’interno della
scuola divide va bene. In questo gioco, ci guadagnano le famiglie
già privilegiate e si rafforza la riproduzione sociale entro le
generazioni. Quando si è convinti che sia giusto e che sia un bene che
la scuola definisca il valore e il merito di ciascuno,
predeterminando l’accesso all’impiego, è normale che si cerchi di
rendere più marcate le differenze fra i concorrenti e che la scuola
approfondisca le disuguaglianze
In questo contesto, il clima scolastico non è dei migliori: le
relazioni tra i professori e gli alunni sono spesso tese, il sapere è a
volte ridotto al suo uso selettivo, l’orientamento si fa sulle lacune
più che sulle attitudini e i disordini scolastici non sono
quisquilie… Una gran parte degli allievi scopre velocemente che
la regola secondo cui è utile e necessario prendere il diploma non
varrà per loro e, peggio ancora, che essa finirà per bollarli come
individui che non hanno né competenze né merito.
I sondaggi e le inchieste d’opinione non ci danno misure
incontrovertibili del “morale” dei giovani, ma da parecchi anni,
mostrano sistematicamente che i giovani francesi sono molto più
pessimisti della maggior parte dei loro compagni europei, senza
che il tasso di disoccupazione e il livello di vita sia sufficiente a
spiegare questa mancanza di speranza. I giovani francesi non sono
abbandonati, come si dice a volte. Sono piuttosto chiusi entro un
meccanismo che si basa sulla certezza che non ci può essere salvezza
fuori dalla scuola e che la scuola salverà soltanto i bravi allievi.
Gli altri si sentono minacciati e tanto più insofferenti per il fatto
che la nostra società non sembra capace di offrire alternative
serie diverse dal solo successo scolastico. E ancora. Ai giovani dei
“quartieri difficili” non si propone nient’altro che aiutare i più
meritevoli di loro, quelli che vanno bene a scuola. Gli altri
comprendono ben presto che hanno perduto la gara in partenza.
Il pessimismo, l’amarezza e a volte la rabbia dei giovani francesi si
spiegano forse con la scelta di garantire le generazioni fortunate
degli anni dello sviluppo. Ma si spiegano ancor di più con
percorsi di istruzione per l’accesso al lavoro che sono eccessivamente
lunghi. Quanto più i percorsi scolastici si allungano e devono
essere “perfezionati” per essere utili, tanto più accentuano la
concorrenza tra le filiere formative e tra gli individui. E soprattutto
quelli che non riescono negli studi finiscono per persuadersi che per
loro non c’è posto nella società.
Non si può dire che la gioventù francese sia sacrificata, essa è
piuttosto imprigionata entro una promessa di salvezza legata alla
sola scuola, e in quanto tale complessivamente insostenibile.
Si dovrebbe dunque innalzare il livello della formazione senza
prolungare il percorso degli studi, senza allontanare l’ingresso
nella vita attiva.
François Dubet, sociologo
(da Adi)
redazione@aetnanet.org
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