La scuola di 150 anni fa
Data: Lunedì, 21 marzo 2011 ore 19:44:15 CET Argomento: Eventi
Nel 1860
l’Italia registrava una percentuale di analfabeti pari al 78% (con
punte del 90% nel Meridione). La questione fu immediatamente affrontata
con la legge Casati (RD 13 novembre 1859, n. 3725) che affermava la
necessità sociale della scuola sulla base di due principi fondamentali:
l’obbligatorietà e la gratuità
dell’istruzione pubblica. Un primo bilancio dei risultati della
Casati è la relazione del Consiglio Superiore “Sulle condizioni della
pubblica istruzione nel Regno d’Italia” (1865) - redatta sulla base di
quesiti posti agli ispettori locali - di cui pubblichiamo alcuni
stralci.
«Quesito: Nelle scuole si usa il dialetto o la lingua italiana, e
questa si a parla senza gravi scorrezioni?
Torino - Nelle scuole elementari dei capoluoghi si usa la lingua
italiana, e si parla con mediocre correttezza. È naturale che i
fanciulli settenni i quali hanno sempre parlato il linguaggio della
mamma e dei babbo, debbano trovarsi in imbarazzo nel dover esprimere i
propri pensieri in italiano; ma a poco a poco si avvezzano, e pagando
il tributo di molti errori, giungono più tardi a maneggiare la lingua
con discreta facilità.
Nelle scuole dei piccoli comuni, e
delle borgate, l’uso dei dialetto è ancora un po’ comune: col pretesto
che i fanciulli non intendono l’italiano, i maestri parlano sempre il
piemontese, e non si avvedono che continuando così non avverrà mai, che
altri si avvezzi a comprendere se non a parlare la lingua nazionale[…].
V’hanno poi le scuole delle valli di
Aosta, di Cesana, di Oulx e di Fenestrelle, dove invece del dialetto di
Piemonte si parla la lingua francese; l’italiano vi si insegna
pure, ma l’uso non è ancora universale.
Milano - Sgraziatamente nelle scuole,
intendo sempre le rurali, si usa il dialetto. La lingua italiana i maestri non la
conoscono e non vogliono adoperarla, difendendosi colla scusa, che i
loro alunni non l’ intendono. La quale scusa, quanto sia
debole, non è chi non vede. La lettura e l’uso della lingua continui,
insistenti, condurranno un dì gl’Italiani a parlare una lingua sola,
vero vincolo di fratellanza, vero strumento di civiltà e di forza.
Bologna - Si parla sempre la
lingua italiana. Nella provincia di Bologna, affine alla Toscana, evvi
molta facilità a rendersela famigliare, perchè il dialetto è un impasto
di parole storpiate bensì, ma di buona lingua; nella bocca de’
fanciulli però non va esente da idiotismi e da scorrezioni, impossibili
a togliersi nel breve tempo che s’impiega nelle scuole elementari.
Lucca - Nella Provincia di Lucca si parla in generale il puro italiano,
e così necessariamente nelle Scuole tanto delle città come delle
campagne […].
Arezzo - Qui si usa la lingua italiana nelle scuole e non il dialetto,
e la lingua si parla dagli insegnanti con pochissime scorrezioni,
giacchè tutti i maestri di questa provincia son Toscani.
Napoli - Gl’insegnanti vecchi usano il
dialetto; e alcuni che parlano in iscuola in italiano, parlano assai
scorretto.
Palermo - Nelle Scuole urbane si usa
la lingua italiana: ma in gran parte delle Scuole rurali non si è
ancora potuta smettere l’usanza del dialetto. La lingua generalmente si
parla con le scorrezioni adottate e consacrate nel dialetto.
Cagliari - Nelle scuole usasi in generale la lingua italiana, e questa
parlasi con abituali scorrezioni che originano dal dialetto.
[…]»
TRE ITALIE
«La statistica dell’istruzione in
Italia ci mostra ora all’evidenza come sia vero ne’ minuti ragguagli
ciò che già si credeva in generale e per mezzo di lavori di privati
cittadini già era stato dimostrato, che cioè considerando
teoreticamente l’Italia come divisa nelle tre grandi parti,
Settentrionale, Media, e Meridionale, sgraziatamente si possa dire che
la luce della civiltà decresce da settentrione a mezzodì pressoché
proporzionalmente […].
Studiati questi quadri statistici così ricomposti, si ha per l’alta
Italia il numero di 46,570 scuole primarie, con 573,474 fanciulli e
fanciulle che le frequentano. Per l’Italia centrale si hanno 6907
scuole primarie con 480,052 fanciulli e fanciulle. Per l’Italia meridionale si hanno 6844 scuole
primarie con 184,821 alunni dell’uno e dell’altro sesso. Se poi
si contrappongono le cifre degli scolari col numero dei fanciulli atti
all’istruzione, si contano ancora nell’alta Italia 486,728 analfabeti;
nell’Italia centrale gli analfabeti sono 594,347; e nell’Italia meridionale ascendono alla
cifra abbastanza vistosa di 4,150,119 analfabeti. Dalle quali
cifre emerge che nell’alta Italia, ove pur tanto si è operato per
diffondere l’istruzione primaria, vi ha ancora una metà in circa di
fanciulli senza istruzione; nell’Italia centrale si contano tre quarti
dei fanciulli senza coltura veruna; e nell’Italia meridionale per oltre
sei settimi dei fanciulli rimangono ancora in uno stato di primitiva
selvatichezza […]».
LA CONDIZIONE DEI MAESTRI.
«Il poco prospero andamento di molte
scuole rurali è in gran parte dovuto alla difficoltà di aver buoni
maestri, e ciò in causa dell’infelice condizione in cui tuttora si
trova il ceto dei pubblici e privati educatori.
La legge non volle considerare i
maestri che quali prestatori d’opera. Quindi lasciò libera facoltà ai
Comuni di assumerli a tempo determinato, e quando non fosse convenuto
alcun tempo prefisso, si ritenne limitato il loro servizio ad un
triennio. Questo
stato di continua precarietà rende la condizione dei povero maestro e
quella della maestra, siffattamente instabile da togliere loro ogni
alacrità al ben fare, non essendo mai certi della vita dell’ indomani[…].
Questo stato di cose non può più comportarsi senza pubblica vergogna. È
ormai tempo che abbia la condizione legale dei maestri a ritenersi
eguale a quella degl’ impiegati dello Stato; e quando non abbiano
demeriti, dovrebbero essere conservati nel loro ufficio sino a che sono
in grado di compierlo lodevolmente[…].
I programmi dei corsi magistrali devono innanzi tutto essere non solo
semplificati, ma di bel nuovo rifatti. […] È quindi necessario che i corsi magistrali
siano prolungati, ed il loro programma deve dividersi in due parti; in
una parte preparatoria di carattere didattico, e nella parte
rigorosamente metodica. Questo corso preparatorio deve essere così
ordinato e disposto che rechi in germe lo sviluppo delle future
dottrine di metodo. E le materie stesse d’insegnamento devono di
tal guisa impartirsi, da porgere al magistero le attitudini pratiche
pel progressivo svolgimento delle facoltà intellettive e morali della
gioventù da educarsi al vero ed al bene. Le dottrine pedagogiche pur
dovrebbero essere con ispecial cura insegnate ed applicate.
[…]»
DISCIPLINE SCOLASTICHE
«I buoni pedagogici hanno dovuto notare che pel desiderio del meglio,
non sempre amico del bene possibile, venne da chi regge la pubblica
istruzione emanata una soverchia congerie di Regolamenti disciplinari,
di prescrizioni minute, e di programmi scolastici. Si scambiò l’esercito scolastico che
insegna, nell’esercito militante che manovra e che combatte. Si
prescrissero ad una ad una le evoluzioni del pensiero che insegna; si
notarono col calendario alla mano, e quasi persino coll’orologio le
dosi della dottrina da impartirsi agli apprendenti; si imposero metodi
per sè buoni, ma pur suscettivi di più libero svolgimento e di
progresso; si raccomandarono libri che la sperienza pedagogica e
didattica giudicò per lo meno imperfetti ; si tramutò l’insegnamento
che vive delle più elette inspirazioni dell’umano pensiero, in una
macchina ad ordigni complicatissimi, che deve porgere una dottrina
sempre circoscritta ed uniforme.
A questa monotonia di discipline scolastiche e di metodi, ha dovuto per
necessità ribellarsi la forza istintiva e costruente del pensiero
italiano, e molte magistrature scolastiche, con una assennatezza che
pur le onora, dovettero lasciar libero l’adito a fare a chi sapeva far
meglio delle ordinanze ufficiali.
Sotto questo rapporto non può la Società Pedagogica che emettere un
unico voto, ed è quello, che abbia il Ministero a limitarsi ad esporre
i massimi limiti a cui deve giungere l’istruzione primaria nei
progressivi suoi gradi; a far noti i migliori metodi sperimentali senza
imporli siccome una legge imprescrittibile; ad incoraggiare con premj,
siccome ha con ottimo intendimento ora fatto lo stesso Ministro, gli
autori dei migliori libri scolastici, lasciando
agli insegnanti la libera facoltà di usarli sotto la loro personale
responsabilità; ed a promuovere ogni anno, siccome già si
pratica nel Belgio, pubbliche conferenze pedagogiche presiedute dal
Consiglio Superiore della pubblica istruzione, per discutere tutto ciò
che può meglio giovare al progresso de’ buoni studj.
Con questo libero modo di operare può essere certo il Ministero che la
famiglia degli insegnanti in Italia, saprà più efficacemente
corrispondere al suo magnanimo, eppur arduo mandato, di educare la
nazione a que’ sommi veri che soli racchiudono i sommi beni d’ogni
popolo incivilito».
(da http://www.educationduepuntozero.it)
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