Riforma di curriculi o di scuola?
Data: Sabato, 19 marzo 2011 ore 10:30:00 CET
Argomento: Opinioni


Gli interventi più recenti sul sistema scolastico si vanno sedimentando nella coscienza collettiva e, ormai definitivamente, hanno assunto l’identità di sintesi di “Riforma della scuola Gelmini”, con la quale, da un lato si ricorda il nome dell’attuale Ministro, attore degli interventi, dall’altro si definisce, il complesso degli interventi, come “Riforma della scuola”.
In realtà, più esattamente, si dovrebbe parlare di riforma dei curricoli che, come è noto, sono stati abbondantemente modificati per tutti gli indirizzi e hanno prodotto risultati importanti per il contenimento della spesa pubblica e, secondo i punti di vista, l’esplosione degli esuberi del personale e la stagione dei licenziamenti (non assunzioni-riassunzioni) di massa più pesante che sia stata mai operata dalla Pubblica Amministrazione in Italia.
Ovviamente la modifica dei curricoli su cui già nelle scuole si lavora da due anni, ha determinato e continuerà a determinare cambiamenti significativi di ordine didattico, che sono in costruzione poiché la riforma procede a regime e, su questi risulta prematura ogni forma di giudizio, in quanto sono molto legati, anche alla qualità del lavoro che le singole scuole saranno in grado di realizzare. Ma perché dunque la riforma può essere definita soltanto riforma dei curricoli e non della scuola? La risposta è semplice: È vero che i curricoli sono la parte strutturale più significativa dell’ordinamento scolastico, ma è altrettanto vero che nell’architettura di una riforma totale del sistema - scuola, non può essere ignorato l’aspetto organizzativo e funzionale che è svolto dagli Organi collegiali. E negli interventi di riforma del Ministro Gelmini, di Organi Collegiali non si parla, tanto che, sono sopravvissuti quelli dei Decreti delegati del ‘74.
Ora, o questa è una grave disattenzione, oppure il Ministro ritiene che gli Organi collegiali pensati e “regolamentati” nel ‘74, risultino adeguati e funzionali anche oggi, a distanza di quasi quaranta anni, nelle scuole dell’autonomia.
Ma le cose non stanno così. E ciascuno degli Organi collegiali mostra interamente la propria età e rivela una quantità di difetti di funzionamento, dei quali alcuni dovuti a un “peccato originale”, altri acquisiti nel tempo, per la totale assenza di interventi normativi ma anche per i cambiamenti che si sono prodotti nella società.
Consideriamo, ad esempio, il Collegio dei Docenti, Di per sé, il Collegio contiene il limite della dimensione assembleare che mal si concilia con i compiti delicati e fondamentali che è chiamato ad espletare in relazione alla programmazione e progettazione del lavoro scolastico e delle conseguenti responsabilità circa le scadenze valutative e, ancora di più, relativamente ai criteri di valutazione del rendimento e dei processi di maturazione degli studenti.
In sostanza il Collegio, per questa sua natura assembleare, al di là del valore e della qualità dei singoli docenti che lo compongono, finisce con l’essere un organo assolutamente improduttivo a fronte dei suoi compiti istituzionali. Se poi si aggiunge che nel corso degli anni, i processi di razionalizzazione, sia verticale sia orizzontale hanno realizzato situazioni a dir poco, di clamorosa contraddizione, (si pensi ai Collegi degli Istituti Comprensivi - razionalizzazione verticale - o ai Collegi delle Scuole secondarie di 2° grado, aggregate, nonostante la profonda diversità di indirizzo. Esempio: un Liceo e un Professionale) si comprende come un Organo collegiale già improduttivo possa essersi trasformato, anche in un soggetto inutile che, solo con il paziente lavoro di organizzazione dei Dirigenti, è riuscito almeno a non essere dannoso.
Considerazioni del genere possono essere fatte anche per altri Organi Collegiali, come i Consigli di Classe e i Consigli di Istituto.
Ma in questi casi entrano in gioco le componenti elettive, cioè Studenti e Genitori. Chi non ha vissuto il rito annuale e desolante delle elezioni scolastiche? I Genitori ormai non vengono quasi più a votare e, per le cariche per le quali è richiesto, non sono più disponibili a candidarsi. Le scuole devono, letteralmente, inseguirle le persone, per chiedere loro il favore di candidarsi e si può diventare Presidente del Consiglio d’Istituto, davvero, con un pugno di voti. Possono bastarne, di voti, anche una ventina, pari ad una percentuale dell’1 % degli aventi diritto al voto, in una scuola di mille alunni!
D’altra parte, per eleggere i rappresentanti dei Genitori nei Consigli di Classe, le percentuali dei votanti sono davvero umilianti e si può essere eletti anche con un solo voto, quello che il Genitore votante da a se stesso e, quando neanche questo è possibile, si procede, caso davvero unico, alla individuazione dei rappresentanti per sorteggio.
Si accetta così, la finzione più spudorata e si fa di tutto per non prendere atto del sostanziale e storico fallimento dell’idea di partecipazione democratica dei Decreti delegati del ‘74.
Ce ne stanno di altre ragioni per parlare di fallimento, ma sicuramente quella più clamorosa è data proprio dalla assoluta mancanza di interesse dei Genitori nel rito, chiamiamolo elettorale, della scuola. Eppure ci sono Associazioni di Genitori e Organizzazioni di famiglie che propongono nuove forme di partecipazione e reclamano il diritto ad un ruolo responsabile ed attivo nei processi di maturazione e di formazione dei figli. Ma nessuno pone mano alla formula partecipativa ancora in vigore nella scuola e,sinceramente, non si capisce perché.
C’è poi la questione degli Studenti che in alcuni ordini di scuole affiancano i Genitori negli Organi Collegiali. Fra gli Studenti la partecipazione, se non altro al voto, appare più significativa anche perché, preceduta in genere da assemblee di classe, assemblea di istituto, tutte effettuate in coincidenza dell’orario delle lezioni. Inutile dire che se l’obiettivo di questi rituali vuole essere la crescita della cultura della democrazia partecipata e l’intensificazione del legame con la propria scuola, della quale si condivide la responsabilità dell’azione di governo, tale obiettivo risulta miseramente fallito, perché la fase preparatoria e quella elettorale, di norma, producono esperienze di autogestione e/o di occupazione, nonostante tutto che queste esperienze implicano. Pure, anche fra i ragazzi cresce un bisogno nuovo di partecipazione effettiva e democratica, ma nessuno raccoglie tale bisogno, nessuno che abbia il potere di dare nuove regole alle scuole e alle persone che vi lavorano o che vi studiano o che comunque ne sono soggetti attivi.
Se non si lavora su questi aspetti organizzativi delle istituzioni scolastiche, davvero non si può parlare di riforma e qualunque modifica dei curricoli è destinata a uscire sconfitta dal confronto con l’architettura complessiva del sistema che, forse non è modificata, per dirla con malizia, perché così non funziona e, per qualcuno, meno funziona e meglio è.

Giuseppe Capilli

gi.capilli@libero.it






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