La festa di San Giuseppe in molti paesi della nostra Sicilia
Data: Sabato, 19 marzo 2011 ore 08:00:00 CET Argomento: Redazione
La festa di San
Giuseppe mi fa ricordare un libro, “Il giorno che fui Gesù”, di
Fortunato Pasqualino, sfogliato per caso, tant’anni fa, in una sala
docenti, fredda e buia, di una scuola d’un antico paese dell’entroterra
siciliano. L’autore raccontava come nel suo paese d’origine, Butera
(En), si celebrava la festa di San Giuseppe. “La mattina della festa
veniva scelto il ragazzo più povero del paese e gli si diceva: “Tu per oggi sei Gesù!...Capite!?…Per
un giorno Gesù! Vi immaginate essere il figlio di Dio per un giorno!
Poteva andare dappertutto, chiedere qualunque cosa e, soprattutto,
essere ospite d’onore in tutte le case a pranzo e a cena! Ma solo per
un giorno!”.
Un libro, così piacevole e coinvolgente, che alla fine lo lessi d’un
solo fiato. Una storia, soprattutto, sincera e fantastica, che mi
suscitò tanta emozione e curiosità da approfondire le tradizioni e il
culto di una ricorrenza religiosa tra le più popolari e amate
dell’isola.
La festa di San Giuseppe, celebrata in molti paesi della Sicilia, ha
origini antiche, che risalgono alle divinità pagane. Il 19 marzo,
infatti, è la vigilia dell’equinozio di primavera, giorno di
svolgimento dei baccanali, i riti dionisiaci volti alla propiziazione
della fertilità, caratterizzati da un’estrema licenziosità da parte del
popolo festante.
Nella tradizione popolare San Giuseppe, oltre ad essere il patrono dei
falegnami e degli artigiani, è, anche, il protettore delle orfani,
delle ragazze nubili e, soprattutto, dei poveri, per questo c’è anche
l’usanza di preparare un ricco pranzo offerto ai bisognosi e agli
orfani del vicinato (“i vicineddi” o “virgineddi”). Ma la festa di San
Giuseppe in Italia, come in vari paesi del mondo, è anche la festa del
papà, importata dall’America, dove venne istituita ai primi del
Novecento.
La festa viene preceduta in quasi tutti i paesi siciliani da un
Novenario, dove i fedeli pregano per San Giuseppe, uomo giusto,
protettore della famiglia, degli ammalati e dei poveri, dispensatore di
grazie e di provvidenza.
Le celebrazioni religiose per il Patriarca Giuseppe si svolgono in
Sicilia, soprattutto, nel Calatino, nell’ennese, nel nisseno, con
antichi riti di grande devozione e suggestione. La tradizione più
importante della festa è il “banchetto” che viene chiamato, a secondo
dei paesi, in vari modi: cena, ammitu, artaru, tavulata, e anche il
giorno della svolgimento, a volte, può variare.
Le “Tavole di San Giuseppe” vengono organizzate da famiglie devote in
segno di ringraziamento al Santo per una grazia ricevuta e richiede la
collaborazione dei parenti ed amici che si prodigheranno anche per la
preparazione delle pietanze che le adornano.
La preparazione della Tavola, che avviene nei cortili e piazze del
paese o, anche, all’interno delle case, consiste nell’edificazione di
una cappelletta utilizzando come materiale il legno o il ferro; la
struttura, poi, viene ricoperta da rami di mirto o di alloro, simboli
agresti, con significato propiziatorio, e decorata con arance, limoni e
piccole forme di pane, legati tra loro con delle cordicelle.
All’interno della cappella viene preparato l’altarino, disposto a forma
di scala di 3 – 4 gradini lunghi circa 3 – 4 metri ed una grande tavola
alla base, il tutto ricoperto con tovaglie di lino finissimo e
ricamate. Tutto l’altare viene illuminato con lumini, vasi di fiori,
piatti con germogli, brocche d’acqua e di vino, simboli religiosi e al
suo centro viene posto un grande quadro che raffigura la Sacra Famiglia
e ai lati un bastone fiorito e del pane, cucciddati e altre forme.
Sulla tavola viene messo il cibo salato, mentre sugli scalini dolci e
altro.
L’uso di imbandire mense su altari allestiti per l’occasione è diffuso
in tutto il Mediterraneo e risale fin dalle epoche antiche.
All’interno degli altari vengono deposte le varie pietanze,
predisposte, rigorosamente, per tre porzioni (la Sacra Famiglia),
preparate, meticolosamente, a casa propria, è, infatti, assolutamente
proibito comprare il cibo pronto.
Si incomincia a preparare il cibo quattro giorni prima. Si dispone
l’arancia amara su un piattino, condita con sale e pepe, serve a
spezzare il digiuno dei protagonisti. Si preparano due primi: tre
palline di riso, ricotta, uova e formaggio, poi della pasta con sugo di
maiale. I secondi: pesce (baccalà e merluzzo fritto) e verdura (patate,
carciofi, cipolle, e altro). Vengono confezionati anche i dolci tipici
siciliani (pagnuccata, giurgiulena, torrone, torte e altro).
La famiglia che predispone l’altare invita tre persone bisognose
del paese, che arrivano nelle case alle ore 12.00. Vengono usate le
posate più preziose della casa. Per primo viene servita l’arancia
amara, poi i primi e i secondi. Vengono divisi i piatti in tre o
quattro parti. Quando viene diviso in tre parti, il cibo va solo agli
ospiti, mentre quando viene diviso in quattro, la rimanente
porzione rimane alla famiglia, che la offre, successivamente, a parenti
e familiari.
Per preparare ogni pane serve circa dai tre ai cinque chili di farina.
La padrona prima di andare a letto spalma del sale su del pane, se la
mattina dopo, trova un’impronta sul pane, la grazia si avvererà. I
simboli della festa di San Giuseppe sono il pane che rappresenta la
prosperità, il bastone che rappresenta l’obbedienza, la lampada ad olio
che rappresenta la Divina Provvidenza, il vino è segno della
benedizione di Dio, l’acqua è il simbolo della grazia, le arance e i
limoni simboleggiano i dolori, le arance dolci vogliono simboleggiare
che non bisogna giudicare, gli ortaggi sono l’omaggio della terra, i
fiori annunziano l’arrivo della primavera.
Il banchetto viene consumato all’aperto in spazi pubblici o in appositi
palchi allestiti nelle piazze riccamente ornate di rami di alloro,
palme e rami di cedro. Le tre persone che rappresentano la Sacra
Famiglia, dopo aver partecipato alla Santa Messa, si recano
nell’abitazione dove sono state invitate a rappresentare i “Santi”.
Dopo aver recitato una breve preghiera, San Giuseppe sbuccerà
un’arancia e ne distribuirà dei pezzi a Gesù Bambino e alla Madonna
accompagnati da pezzi di pane benedetto per poi continuare con le altre
pietanze.
Alla fine della cerimonia, la tavolata verrà aperta a quanti vorranno
degustare le pietanze tipiche della festa e svuoteranno i gradini della
Tavolata, tranne l’ultimo che viene riservato alle pietanze che
verranno date ai “Santi”.
Il rito del “pranzo”, nasce dalle vicende evangeliche, San Giuseppe e
Maria, da poveri si videro negare un rifugio per il parto, ma anche
quando furono costretti a fuggire in Egitto e a vivere
clandestinamente, ed ecco, quindi, che i devoti, in segno di carità
cristiana, vogliono dare simbolicamente accoglienza e ristoro alla
Sacra Famiglia.
Secondo un’antica tradizione, la vigilia della festa, in tutte le
tavole viene posta una ciotola con l’acqua e una saliera, dove
l’indomani mattina verrà trovata l’impronta delle dita di San Giuseppe
che nella notte è passato a benedirla.
La sera, dopo la Messa, ha inizio la processione del Santo che viene
portato sul fercolo per le vie principali del paese. Infine, dopo la
raccolta delle offerte per i poveri, in tanti paesi, per mezzo di
un’asta pubblica, l’ultima immagine di questa straordinaria festa, in
molti centri siciliani, è l’accensione notturna dei falò, come segno di
accoglienza, d’ospitalità e di illuminazione del “cammino della nostra
vita”.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it
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