I giovani e il Risorgimento
Data: Giovedì, 17 marzo 2011 ore 04:00:00 CET Argomento: Rassegna stampa
Di quei valori non sanno assolutamente nulla.
Parola di storico.
E non è uno storico qualsiasi a parlare, ma uno dei nostri professori
più prestigiosi, autore di importanti testi e preside dell’Istituto di
Storia nella facoltà di Lettere di Roma Tre: Lucio Villari.
“La maggioranza assoluta dei nostri giovani non sa nulla dei valori del
Risorgimento italiano - afferma Villari in un’intervista trasmessa da
Cgil Tv - è una denuncia che bisogna fare della insufficienza e della
incredibile mancanza di serietà dell’insegnamento della Storia nella
scuola italiana. Dopo la Liberazione il ministero della Pubblica
Istruzione è stato per lo più gestito da ministri democristiani, che
non avevano nessun interesse a far conoscere ai ragazzi il Risorgimento
che, non dimentichiamolo, ha abbattuto per sempre il potere temporale
della Chiesa. Quello che in Italia non ha fatto per secoli la Riforma
protestante, lo ha fatto in pochi anni il Risorgimento italiano. Quando
però è stato qualche raro ministro laico a gestire il ministero, o non
sapeva niente di quel periodo storico, o ne odiava i valori per
malintese ragioni ideologiche: a causa della vittoria dei moderati alla
Cavour si è parlato di un Risorgimento incompiuto da parte della
Sinistra . Oggi assistiamo a una diffusione di idee anti-risorgimentali
senza conoscere il Risorgimento. E’ un paradosso straordinario. Il
nostro compito ora è quello di raccontare come sono andate le cose fino
al 1870 (data della conquista di Roma) senza edulcorare nulla. Già da
questo si possono esprimere giudizi”.
In effetti è strano, quando si pensa al Risorgimento, o si cade nella
retorica un po’ melensa e deamicisiana del libro “Cuore” oppure al
rifiuto di valori che, incarnati dai Savoia, produssero un
atteggiamento annessionistico che scatenò poi nel Mezzogiorno forme
violente e non organizzate di rivolta, al limite dell’azione criminale,
che gli storici definiscono nel suo insieme: il fenomeno del
brigantaggio.
Ma cosa fu in realtà il Risorgimento che portò 150 anni fa all’unità di
Italia? Chi se ne fece portavoce e interprete? Chi mise eroicamente in
gioco la vita stessa per realizzare quegli ideali? E soprattutto che
ideali furono?
E’ sempre Villari a rispondere:” Fu una grande ondata di ribellione.
Anni di impeto giovanile di ragazzi pensosi del loro presente e del
loro futuro. Ideali rivoluzionari già nei primi movimenti universitari
del 1820. Quarant’anni di generazioni che si susseguirono con questo
impeto fino al 1861” . Giovani quindi con ideali di libertà, di
democrazia, di liberazione del territorio italiano dallo sfruttamento e
dalle imposizioni delle dominazioni straniere. Fu nel Congresso di
Vienna del 1816 che l’Italia venne definita con disprezzo dal
diplomatico austriaco Metternich una “pura entità geografica”. C’era di
che ribellarsi eccome! E ci si ribellò nelle università, gli ideali si
diffusero tra i giovani che studiavano. Villari ci ricorda che quando
Mazzini, che a ognuno di noi torna alla mente nel suo abito austero,
con la barba e l’espressione pensosa, anche un po’ deprimente e per
questo antipatica, aveva soltanto 26 anni quando fondò la Giovane
Italia. E Garibaldi che si mise alla testa dei rivoltosi? Neanche
trenta. E dai 14 e i 25 erano gli anni di quelli che con le loro
poetiche camicie rosse si misero al suo seguito. Il fatto che gli eroi
del nostro Risorgimento fossero così giovani non è un dato positivo di
per sé, ma la prova che incarnavano il senso di ribellione e di
scardinamento dei sistemi repressivi che il potere aveva messo in atto,
tipico degli anni giovanili, e lottavano anche per avere una
Costituzione vera, che non avevano.
“L’adesione alla lotta per la libertà – spiega sempre Lucio Villari –
che poi divenne lotta per l’indipendenza e per l’unità, fu ricca di
freschezza e vitalità. Bisognerebbe trasmettere questa eroicità e
l’orgoglio nazionale di quegli anni, lo stesso che ritroveremo poi
negli anni della lotta al nazifascismo. Anche la Resistenza fu fatta
soprattutto dai giovani, e non caso quando si descrive quel drammatico
periodo storico si parla di un secondo Risorgimento. Non per gusto di
retorica, ma perché è la verità. Fu poi il fascismo a utilizzare gli
ideali del Risorgimento in chiave nazionalistica e autoritaria,
svuotandolo dei significati reali. La Resistenza invece si riannoda al
Risorgimento esaltandone i connotati più autentici di libertà e
democrazia, investendo tutto il quadro politico di allora, dai liberali
moderati alla Cavour, ai democratici rivoluzionari come Mazzini e
Garibaldi, fino a un 'protosocialista' come Carlo Pisacane. C’è un
ventaglio di posizioni politiche del primo Risorgimento che ritroviamo
intatto nel secondo, e funzionò in entrambi i casi”.
La ventata di democrazia e libertà si spense poi alla fine
dell’Ottocento, con la repressione delle manifestazioni da parte di
Bava Beccaris, che spense nel sangue le istanze popolari. Fu il tragico
epilogo di una storia, quello del Regno d’Italia, che non era più
quello che avevano sognato gli eroi del Risorgimento. Quel periodo si
era infatti concluso nel 1861 e nel 1870. Ancora Villari: “L’Italia non
aveva attrezzature economiche come i grandi Paesi capitalistici
dell’Occidente e le spinte della politica furono quelle verso un
malinteso senso del nazionalismo e poi del colonialismo”. Proprio il
contrario di quello a cui aspiravano i giovani del Risorgimento. “Non
dimentichiamo – dice Villari – che la repressione di Beccaris arrivò
dopo le sconfitte di Dogali e di Adua… La politica colonialistica servì
poi a Mussolini per la sua politica imperialistica”. Ma anche molti
intellettuali di Sinistra interpretarono il colonialismo come una
rivincita italiana. Per tutti uno: Giovanni Pascoli scrisse un saggio
intitolato “La grande proletaria s’è mossa” e la “grande proletaria”
era L’Italia. A questo punto il ribaltamento degli ideali
risorgimentali sulla libertà dei popoli fu totale.
In questi giorni di celebrazioni a volte si sente contrapporre il
federalismo ai valori risorgimentali ed è ancora una volta lo storico a
spiegare: “Da qualche anno sta penetrando l’idea che la grande spinta
umanitaria del Risorgimento aveva un’alternativa. Quella che si creasse
un ‘Italia federale sul modello della Svizzera e degli Stati Uniti. Era
un’idea attribuita a Carlo Cattaneo o a Marco Minghetti o a Giuseppe
Montanelli. Ma il loro federalismo si rifaceva al rispetto delle
autonomia locali all’interno di un contesto unitario.…Mai Cattaneo ha
scritto un rigo che faccia pensare che l’Italia non debba essere un
Paese unito”. Umberto…Umberto…leggi…(direbbe Benigni!).
di Rita Piccolini
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