La scuola al tempo della crisi
Data: Lunedì, 07 marzo 2011 ore 07:18:54 CET Argomento: Redazione
Mia madre è
un’insegnante in pensione che ha lavorato per 40 anni nella scuola
primaria. Lo ha fatto con passione, con abnegazione, e con grande amore
nei confronti di quella professione sempre definita “una missione”.
Ancora oggi i suoi ex alunni, ormai adulti, vanno a trovarla con
regolarità e ogni volta la ringraziano per tutto quello che ha saputo
loro trasmettere: l’entusiasmo e la curiosità nei confronti della
conoscenza e del sapere, tanto affetto, ed i valori innanzitutto,
quegli stessi di cui il Presidente del Consiglio (stra)parla di quando
in quando: la giustizia, la solidarietà, la famiglia.
La mamma, che è una tranquilla e serafica settantenne di provincia,
stimata e apprezzata da tutti per la sua indole pacata e la bonarietà
che la contraddistingue, non ha mai fatto in vita sua una protesta di
piazza o uno sciopero. Lei rimane, almeno fino a questo momento, tra
quelle persone, ancora convinte che lo “Stato” abbia sempre ragione
perché si pone, ovviamente, a tutela degli interessi dei cittadini, di
tutti. Gli scioperi, li ha ritenuti per decenni, una manifestazione
inutile oltreché pericolosa, ai limiti dell’anarchia. Eppure, l’altro
giorno, qualcosa nel suo armonico equilibrio interiore deve essersi
rotto, perché, dopo aver sentito le ennesime dichiarazioni del Premier
sulla scuola pubblica, mi ha telefonato, furiosa e incontenibile nella
sua protesta verbale: “Come osa questo personaggio indecoroso, accusato
di favoreggiamento della prostituzione minorile, come osa, insultare la
scuola pubblica e i tanti professionisti che per decenni vi hanno
lavorato e continuano a lavorarci con dedizione, amore e sempre più
sottopagati e umiliati dalla società dei consumi e delle veline che
proprio lui ha contribuito a creare. Sono offesa, arrabbiata e alla mia
età, ho ancora voglia di reagire e di fare qualcosa! Bisogna fare
qualcosa! Non si può ancora permettere che questo indegno Presidente
del Consiglio, dopo aver distrutto e smantellato la scuola pubblica, la
offenda pure così impunemente!” Non c’è stato verso di calmarla.
Nemmeno quando ha qualche rara discussione con mio padre l’avevo mai
vista inalberarsi tanto.
Anch’io, oggi, sono un’insegnante, più disincantata, certo, di mia
madre e meno infervorata di quando, quasi 20 anni fa, varcai, con
euforico entusiasmo, per la prima volta in qualità di docente, la
soglia di un’aula scolastica. Anzi, talvolta, come molti miei colleghi,
sono vittima, di profonde crisi di frustrazione. Ancora non sono
arrivata a far uso di ansiolitici, come da più parti tra i docenti di
ogni ordine e grado ho sentito essere consuetudine, ma non escludo a
priori che, continuando così, possa anch’io cedere al canto di queste
sirene nel giro di qualche anno! Sempre più spesso, poi, mi convinco
che tutti i sacrifici affrontati, per dare un senso compiuto
all’impegno profuso per gli alunni, siano inutili. Nei racconti di mia
madre, che, poveretta non è poi così anziana, la scuola sembra quella
di De Amicis e gli insegnanti sono degli ascoltati e autorevoli guru a
cui chiedere ogni tipo di consiglio. Oggi, non solo non abbiamo più
nessuna autorevolezza ma dobbiamo stare attenti a centellinare critiche
e giudizi negativi nei confronti degli alunni se non vogliamo subire
l’aggressività, a volte non solo verbale, di genitori pronti a
difendere ad oltranza ogni tipo d’imbecillità e di prepotenza.
Rifletto amaramente sulle ore di straordinario gratuite per completare
lavori che altrimenti non si avrebbe il tempo, con tutto quello che c’è
da fare in classe, di portare a termine. Su tutte le volte in cui sono
andata a lavoro pur stando male e con la febbre per non far perdere
agli alunni essenziali ore di lezione, penso ai mille problemi di cui
mi sono sobbarcata, interpretando, di volta in volta, ruoli diversi in
una sorta di trasformismo schizoide, la psicologa, l’assistente
sociale, l’animatrice turistica, pur di aiutare, coinvolgere, entrare
in comunicazione con i ragazzi. Certo, qualche soddisfazione, alla fine
la ottieni, ma a quale prezzo? Nell’attuale scala sociale un docente ha
sempre meno valore e meno dignità, considerando le perseveranti e
cadenziate campagne denigratorie delle quali, negli ultimi anni, la
categoria è stata fatta oggetto. Assalti, battutine offensive, insulti,
castronerie diffamanti a partire dalle considerazioni caustiche del
ministro Brunetta, (“fannulloni” ci ha definiti!) e dallo stipendio
sempre più lontano da quello dei colleghi europei.
Anch’io oggi, mi sento insultata e offesa nella mia professionalità
d’insegnante ma sono, forse, un po’ più scoraggiata di mia madre e un
po’ più rassegnata. Ho assistito a così tanti drammi nella scuola,
compiuti in questi anni, dalla politica scriteriata portata avanti
dall’attuale governo, che, forse, mi sono, pericolosamente, arresa! E
questo è terribile! Mia madre, una settantenne dall’aspetto mite, pare
sia molto più combattiva di me!
Che faranno i giovani, che da mesi invadono, inascoltati, le piazze del
Paese, fra qualche anno? Saranno ancora più disillusi, sconfitti e
senza prospettive di quanto non siamo noi, oggi? Saranno ancora più
stanchi di lottare per l’affermazione dei propri diritti?
Dovremmo ricordarci tutti che se abbiamo coscienza di essere una
nazione, se siamo uniti, malgrado chi ci vorrebbe divisi, se abbiamo
un’unica lingua, l’italiano, al posto dei tanti dialetti del dopoguerra
lo dobbiamo a chi, negli ultimi sessant’anni, ha insegnato a
generazioni d’italiani a leggere e a scrivere correttamente provando a
farci divenire cittadini e non più sudditi.
Giorno 12 marzo scenderemo tutti in piazza in difesa della scuola
pubblica. Non escludo che a capo del corteo cittadino, con uno
striscione colorato e un megafono in mano, a incitare le folle, possa
proprio esserci mia madre! Insegnante in pensione di stampo
“de-amicisiano” trasformata in pericolosa giacobina! Solo l’ “Unto del
Signore” poteva ottenere un così prodigioso miracolo!
Mari Miccichè
redazione@aetnanet.org
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