Il precariato rende schiavi
Data: Domenica, 06 marzo 2011 ore 19:15:30 CET Argomento: Rassegna stampa
Voi che
avete un posto fisso, uno stipendio certo a fine mese; voi che potete
guardare in faccia il futuro, mantenere i vostri figli, fomentare i
vostri sogni: considerate se questo è un ragazzo che, s’è fortunato,
lavora con scadenza, che non conosce la sicurezza della retribuzione,
che non può pensare al matrimonio, perché poi come si campa?
Considerate se questa è una ragazza, senza certezze, senza un degno
impiego, con la rassegnazione che nulla può cambiare, vuota la passione
e gelida la speranza, come un randagio sotto l’acquazzone.
Può sembrare esagerato utilizzare lo schema della famosa e triste
poesia di Primo Levi per cominciare un articolo dedicato al mondo dei
giovani precari.
In realtà, la condizione di tanti e quanti che vivono, non volendolo,
in una situazione insicura, perché manca la continuità del rapporto di
lavoro e un reddito adeguato per potere pianificare la vita, è anche un
disagio esistenziale, uno stato d’animo che cozza con i ‘fortunati’ e i
‘privilegiati’, ovvero con la ‘generazione sandwich’, come la
definiscono gli americani, quella che da un lato deve, giocoforza,
mantenere i figli e al contempo badare alla vecchiaia dei genitori.
In Sicilia, terra di precari pubblici e privati, di Lsu, precari della
scuola e operatori call-center, sono tanti, troppi, i giovani che
quotidianamente fanno i conti con il gorgo, dentro al quale finiscono i
sogni di una vita da vivere, anziché da sopravvivere.
Alessandro ha 24 anni.
Appena tre anni fa era assistente tecnico per conto della Wind a
Palermo. Risolveva i problemi della gente con i router, con l’Adsl.
Cinque ore al giorno con la cuffia e con un pc davanti agli occhi, una
telefonata dopo l’altra. Era un ‘interinale’, un temporaneo. In
azienda, infatti, si divideva così la gente: da un lato gli
‘indeterminati’ e dall’altro il resto. Creando così un’alienante
sineddoche, catalogativa per giunta, tra una parte del contratto (la
persona) e il contratto stesso.
Pensa Alessandro: “Sei precario dentro, perché ti sembra sempre di fare
il passo più lungo della gamba. Le difficoltà maggiori stanno proprio
nel vivere male la tua realtà economica. Spendi poco per il timore di
rimanere a secco domani. La paura, poi, nasceva una settimana prima dei
rinnovi contrattuali, sempre la stessa: Resterò qui o sarò di nuovo un
disoccupato?”.
Ma ora ha deciso di dare una svolta alla sua vita: “Ho scelto la libera
professione. Non credo più nei posti fissi. Sono realtà vecchie e
utopie attuali, accessibili solo a pochi ‘eletti’, spesso figli di
onorevoli o inciuciati vari. Se devo mangiare, oppure no, adesso lo
scelgo io. Non voglio più dipendere da un Tizio o da un Caio che mi
dicono: – C’è crisi, da domani non lavori più – . Qualcuno disse che
‘chi fa da sé, non sbaglia mai’. Io andrò avanti così”.
Linda, anche lei
palermitana, è una precaria della scuola. Ha sottoscritto contratti di
tutti i tipi, soprattutto con gli istituti privati “a tempo
determinato, co.co.co con busta paghe ‘gonfiate’, a tempo, ma con un
impegno maggiore. Ho lavorato anche in nero”. Una condizione che vive
“malissimo. Il precariato – racconta Linda – è l’aberrazione del
lavoro. Il contratto dovrebbe rendere l’uomo libero, autosufficiente e
dargli dignità; il precariato rende schiavi, dipendenti dalla famiglia
di origine, e non permette di realizzarti”.
“Il problema – insiste una delle tante precarie della scuola – sta nel
non potere pensare al futuro. E la difficoltà non sta tanto nel non
pensarlo, quanto nel fatto che comunque arriverà, a grandi passi, e noi
non avremo gli strumenti per affrontarlo. Il precariato non tiene conto
dei cicli vitali: l’uomo invecchia, si ammala, si riproduce. Il
precariato ci toglie tutte queste possibilità. Prescindendo, poi, dalla
componente umana della nostra condizione, rubiamo una risorsa
importante a tutta la società”.
Infine, il modicano
Michele, che ha deciso di lasciare la Sicilia per andare a
vivere a Roma: “Sono stato e sono ancora un precario con contratto di
somministrazione occasionale, volgarmente detto contratto a chiamata.
Ogni mese devo fare i conti con l’affitto, con le bollette – che
scadono sempre – e le piccole spese extra. Il momento triste è quando
ci si accorge che non si è riuscito a mettere da parte nemmeno un euro,
seppur si sia risparmiato un po’ su tutto”.
Per Michele, che
ha 26 anni, “il precariato è la maledizione del millennio. Una bella
sorpresa per chi viene spinto a studiare in fretta per laurearsi in
tempo e poi scopre che il tanto vituperato lavoro è una bufala
colossale. Si sta male non solo per mancanza di soldi (per carità, pure
questo è un problema) ma, anche e soprattutto, perché non si riesce a
capire che ruolo si ha nel mercato del lavoro, quanti contribuiti sono
stati versati, se si avrà una dignitosa pensione: insomma la maggiore
preoccupazione è il non sapere se il gioco valga la candela”. Un tema,
quello del precariato, che, però, non riguarda solo la Sicilia.
Interessa, ahinoi, tutto il Mezzogiornod’Italia.
Walter
Giannò (Da “Sud”)
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