Le prove Invalsi sono obbligatorie per le scuole!
Data: Sabato, 05 marzo 2011 ore 10:30:00 CET
Argomento: Redazione


Come ogni anno, da quando l’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione è comparso sulla scena, all’atto della somministrazione agli alunni, delle verifiche degli apprendimenti dallo stesso Istituto predisposte, nel mondo della scuola si scatenano polemiche tendenti più che a mettere in discussione la congruità nel merito delle stesse ad affermare il ruolo e il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche nella somministrazione stessa.
La valutazione spaventa. La valutazione esterna spaventa più di quella interna. La paura di possibili ricadute negative sui docenti i cui alunni non abbiano fornito buona prova di sé nelle verifiche, chiude il cerchio delle reazioni suscitate dal sistema di valutazione.
Queste allora le domande: può l’istituzione scolastica impedire lo svolgimento delle prove INVALSI? Sono queste obbligatorie? O possono queste invece svolgersi solo se le istituzioni scolastiche lo abbiano permesso? E, in questo caso, quali organi avrebbero la relativa competenza decisionale?
Gli artt. 3 L. 28 marzo 2003, n°53 (norma di delega) e 3 D.Lgs. 19 novembre 2004, n° n. 286 (norma delegata) attribuiscono all’INVALSI la competenza amministrativa ad effettuare, tra l’altro, “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti”.
Tali verifiche sono strumentali al “progressivo miglioramento ed armonizzazione della qualità del sistema d’istruzione” (come emerge dall’art. 3, lett. b) L. n. 53/2003.) Esse si distinguono nettamente dalle verifiche strumentali alla “valutazione periodica e annuale degli apprendimenti e del comportamento degli studenti”, che lo stesso art. 3, lett. a) L. n. 53/2003 (poi ripreso sul punto dal D.Lgs. n. 59/2004) assegna alla competenza amministrativa dei “docenti delle istituzioni d’istruzione e formazione frequentate”.
È significativo notare come i due differenti tipi di valutazione da svolgere entrambe sugli studenti (degli apprendimenti e del comportamento, da un lato e delle conoscenze e abilità, dall’altro lato) siano distinti espressamente (per finalità e per “chi” se ne occupa) all’interno di una medesima disposizione legislativa.
La valutazione (delle conoscenze e abilità degli studenti) operata dall’INVALSI e la valutazione (degli apprendimenti e del comportamento) operata dai docenti hanno finalità differenti, sebbene condividano la finalità ultima di elevare il “prodotto” apprendimento. Tale funzione (quella di valutazione delle conoscenze e abilità degli studenti quale elemento rilevante per la valutazione della qualità del sistema d’istruzione) è prevista per la prima volta (ed attribuita all’INVALSI) solo con la riforma del 2003 (L. n. 53/2003 e d.lgs. n. 286/2004).
L’art. 3 D.Lgs. n. 286/2004, nell’attuare la delega della ricordata L. n. 53/2003, amplia il quadro delle competenze dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione, dopo averlo ribattezzato come Istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo d’istruzione e di formazione (INVALSI).
L'Istituto: “a) effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni d’istruzione e d’istruzione e formazione professionale, anche nel contesto dell'apprendimento permanente. Per la formazione professionale le verifiche concernono esclusivamente i livelli essenziali di prestazione e sono effettuate tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore della valutazione delle politiche nazionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane;
1997, n. 281. Le relazioni riferiscono sui risultati e possono segnalare indicatori ritenuti utili al miglioramento della qualità complessiva del Sistema”.
Nessuna disposizione normativa attribuisce invece all’INVALSI un potere d’intervento sulle istituzioni scolastiche o sui docenti i cui allievi abbiano ottenuto risultati più scadenti: la “restituzione dei risultati” alle istituzioni scolastiche (“i dati rilevati...appartengono esclusivamente alla singola scuola alla quale verranno restituiti nel modo più disaggregato possibile, cioè secondo la distribuzione delle risposte domanda per domanda”: così la “lettera di adesione” al Sistema Nazionale di Valutazione del febbraio 2009), costituisce passaggio necessario ad ogni processo valutativo ed ha lo scopo di stimolazione della discussione interna sui risultati, al fine di individuare i punti di forza e di debolezza, di migliorarne l’efficienza o di consolidare i risultati raggiunti, ecc.
Sotto il profilo formale, la competenza dell’INVALSI a distribuire agli studenti test per la verifica delle conoscenze e abilità degli stessi deriva dalla legge e, cioè, correttamente dall’unica fonte normativa che (in base alla Costituzione: art. 97, 1° comma) ha la “forza” giuridica di creare gli enti e le loro funzioni, gli organi e le loro competenze (riserva relativa di legge).
Nessuna norma attribuisce questa competenza (diversa essendo la valutazione periodica dell’apprendimento e del comportamento degli studenti spettante ai docenti) alle istituzioni scolastiche. Né conseguentemente agli organi amministrativi (organi collegiali e dirigente scolastico) che tali istituzioni compongono né al personale docente a titolo “individuale”.
Nessuna norma attribuisce “frazioni” di questa competenza né alcun “ruolo” amministrativo alle istituzioni scolastiche i cui studenti siano coinvolti nelle verifiche in questione.
Detto in altre parole, la legge non attribuisce alle istituzioni scolastiche (e dunque agli organi amministrativi di queste o al suo personale docente) un ruolo decisionale in materia.
Lo scopo della norma è invece quello di prevedere che soggetti diversi (INVALSI, istituzioni scolastiche, enti locali) interessati alla qualità del sistema formativo coordino le “rispettive competenze in materia di valutazione dell’offerta formativa”. Dove “concorrere” e “coordinare” da un lato non significa cogestire un’attività valutativa ordinaria (possibilità esclusa dalla riserva delle “rispettivi ambiti di competenza” contenuta nella disposizione), ma gestirla autonomamente per condividerne i risultati e dove l’oggetto del coordinamento è l’“offerta formativa”.
La collaborazione richiesta alle istituzioni scolastiche può essere di tipo meramente materiale nei limiti delle determinazioni variamente adottate dall’INVALSI: distribuzione dei test, vigilanza durante lo svolgimento, raccolta e spedizione, ecc. Nel corso degli anni, peraltro, l’INVALSI ha ridotto le attività richieste in proposito alle istituzioni scolastiche, ad esempio affidando, in tutto o parzialmente, l’attività di somministrazione dei test e di vigilanza durante lo svolgimento della prova non ai docenti in servizio presso le scuola, ma personale esterno.
L’INVALSI potrebbe, volendolo, “scavalcare” completamente le istituzioni scolastiche nella realizzazione della propria funzione istituzionale, decidendo di somministrare le prove in un “luogo” diverso dalle sedi e dai plessi scolastici: una simile scelta sarebbe più “complicata” dal punto di vista organizzativo e certamente più costosa, ma sarebbe compatibile con la normativa sopra ricordata.
È metodologicamente scorretta, sul piano giuridico, l’impostazione della questione in termini di uso di discrezionalità da parte degli organi dell’istituzione scolastica: la questione, se affrontata in seno di collegio dei docenti, non dovrebbe essere proposta all’ordine del giorno né successivamente gestita come se quell’organo avesse un potere deliberativo in proposito. Gli organi pubblici, in particolare quelli collegiali, in tanto legittimamente si occupano di temi e ne discutono collegialmente in quanto abbiano (recte in quanto la legge assegni) una competenza amministrativa in materia ed un connesso ruolo. Al di fuori di tale presupposto, ogni decisione assunta sarà inficiata da incompetenza (quale vizio di legittimità dell’atto amministrativo) e così le azioni ulteriori che a tale decisione conseguissero. D’altro canto, la mera discussione del tema senza attivazione della funzione deliberativa è parimenti rischiosa: non in termini di legittimità dell’atto, quanto in termini di corretta ed efficace gestione delle risorse umane (dovere facente capo al dirigente scolastico), essendo che il tempo trascorso per la partecipazione agli organi collegiali rientra fra i doveri di servizio “quantificati” dalla contrattazione collettiva (art. 29, 3° comma, CCNL Comparto Scuola 29 novembre 2007) e che tale partecipazione si suppone funzionale al potere deliberativo dell’organo.
La valutazione è sul piano legislativo un elemento dell’organizzazione pubblica che tocca il tema della qualità dei servizi, ivi inclusi quelli resi nel sistema scolastico (artt. 2, 4, 25, 45 D.Lgs. n. 165/2001; D.Lgs. n 286/1999): essa misura oggetti diversi, il personale, sotto il profilo della qualità delle prestazioni, e le strutture, in relazione agli obiettivi assegnati così come i risultati, dall’efficienza al soddisfacimento dell’utenza.
Si potrà dunque discutere sul “quo modo” della valutazione (peraltro, solo nelle sedi a ciò deputate), ma non certamente sulla funzione svolta dall’INVALSI, nel misurare il “prodotto” della formazione.
È auspicabile (oltre che ora imposto a chiare lettere dalla stessa legge) che si possa passare dalla valutazione della “qualità complessiva del sistema educativo” alla valutazione di ciò che è ad essa strumentale, in termini di prestazioni professionali del personale docente e dei dirigenti scolastici, ciascuno nell’ambito della specificità delle rispettive competenze. Ciò è tanto più necessario, ove si ponga mente che l’Italia è l’unico paese europeo, assieme alla Romania ed alla Lettonia, a non avere attivato alcuna modalità di valutazione né individuale né collettiva degli insegnanti.

Laura Paolucci (Avvocato dello Stato)





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