Si può imparare a scrivere?
Data: Giovedì, 24 febbraio 2011 ore 07:40:21 CET Argomento: Redazione
Riproponiamo un
piccolo saggio, pubblicato l'estate scorsa, del nostro prof. Nuccio
Palumbo sulle piacevolezze velate ma di evidenza ubertosa della nostra
lingua.
Ci si chiede da tempo dove va la nostra lingua. Non solo i linguisti ma
anche noi insegnanti ce lo chiediamo quando correggiamo i compiti dei
nostri allievi. Nei loro scritti pare essere stata dimenticata la
ricchezza lessicale dell’italiano per optare senza esitazioni a favore
di un vocabolario omogeneizzato – per dirla con Pasolini – spesso
oscuro e banale. Nonostante nell’ultimo Garzanti siano state registrate
più di 3000 voci, paradossalmente il lessico si è impoverito e
appiattito.
Ma la cosa più inquietante -dal punto di vista che ci riguarda-
è il dover constatare che gli studenti, e non solo loro,
trovino sempre più difficoltà ad organizzare un discorso scritto
che abbia i requisiti di un testo cioè di un insieme di segni che
acquistano valore, all’interno della struttura linguistica , dal
rapporto logico-grammaticale che si instaura fra essi. Spesso ci
troviamo di fronte a elaborati che appaiono non tanto poveri di
contenuti quanto piuttosto con contenuti disorganici e malconnessi.
Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org
Si può imparare a scrivere? Esiste una formula che possa offrirci la
chiave per entrare nei segreti della scrittura? Di solito formule non
se ne danno. Suggerimenti sì, moltissimi. E noi non staremo a
snocciolarli. Nella teoria le modalità da seguire nella stesura
di un testo sono note a tutti.
Per scrivere un testo bisogna: 1) CONOSCERE BENE L’ARGOMENTO; 2)
PREPARARE LA SCALETTA; 3) INTENDERE E COGLIERE LA SITUAZIONE NUCLEO
SOSTANZIALE O CENTRALE DELL’ARGOMENTO; 4) PROCEDERE CON ORDINE (fare
uso corretto della punteggiatura delle concordanze della consecutio
temporum ecc.); 5) ESSERE CHIARI EFFICACI CONCISI SEMPLICI
CONCRETI; 6) APPLICARE UNA FORMA CORRETTA E APPROPRIATA ; 7) RENDERE
DUTTILE E ARIOSO IL PERIODARE, ALTERNANDO IN RAPPORTO CON LE
ESIGENZE COMUNICATIVE O ESPRESSIVE LA COORDINAZIONE CON LA
SUBORDINAZIONE.
Sono tutte raccomandazioni preziose e di buon senso, presenti in tutte
le grammatiche di ieri e di oggi. Senonchè, all’atto pratico della
scrittura, quando bisogna mettere nero su bianco, tutte queste
raccomandazioni sembrano cadere nel vuoto. I risultati degli
scritti dei nostri studenti, che ci troviamo sotto gli occhi, sono
spesso deludenti.
Evidentemente l’arte dello scrivere è “arte difficilissima da
acquistare”. I suggerimenti non bastano. Le conoscenze grammaticali
sono necessarie, ma non sufficienti. Non sono sufficienti perché
per apprendere l’arte della scrittura bisogna passare dalla grammatica
della frase alla grammatica del testo. E per capire la grammatica
del testo bisogna in primo luogo saper leggere.
Ecco il primo punto.
Prima di insegnargli a scrivere è più utile che l’alunno impari a
leggere, a saper leggere.
In tal senso, suggerirei il contrario di quanto suggerisce quel
professore ai suoi ragazzi di scuola media di cui parla il prof.
Barletta in un suo articolo pubblicato sulla “SICILIA” del 22 ottobre
2002: e cioè suggerirei non tanto a un ragazzo“ scribe et
rescribe et scribendo meliora scribes”, quanto piuttosto “ lege, lege,
et legendo ad scribendum parabis “.
Già Seneca lo raccomandava: lectio diligens ad scribendum
parat ! Naturalmente non “ cuiuslibet libri lectio alit mentem “ ma
quella dei buoni libri, della buona letteratura. E ciò non solo perché
solo la lettura dei classici può rappresentare oggi più che mai, di
fronte alla dilagante società dello spettacolo fondata sul
predominio delle immagini, “ l’unica scelta di civiltà che
ci può aiutare a capire meglio noi e gli altri, a credere nei
valori dell’uomo e a essere utili alla società in cui viviamo” ma anche
e soprattutto perché è la Letteratura, oggi, “ l’unica terra
promessa - come scrive I. Calvino- in cui il linguaggio diventa quello
che veramente dovrebbe essere: ordine, precisione, nitidezza di
immagini, incisività, resa delle sfumature del pensiero e della
immaginazione. Sono questi i valori da difendere - scrive Calvino
nella terza delle sue sei lezioni americane - I valori della
Letteratura che risponde, ovviamente, a queste esigenze”. Valori che
possono salvarci da una “ epidemia pestilenziale” che pare abbia
colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso
della parola, salvarci da questa peste del linguaggio che si manifesta
come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo
che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche,
anonime, astratte, a diluire i significati, a spegnere ogni scintilla
che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. Solo la
Letteratura può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi
della peste del linguaggio.(Calvino)
Dunque, la Letteratura come studio del linguaggio, ma anche come
lettura dei testi finalizzata a soddisfare il piacere della scrittura.
Il piacere di acquisire attraverso la letteratura un ordine del
linguaggio che dia ordine al nostro pensiero. Questo il tema.
Per molti lustri lo studio della Letteratura si è affidato al
metodo di uno storicismo moralistico trasmesso da
generazioni di professori per i quali il senso di un’opera letteraria
consisteva senz’altro nei famosi contenuti, nella “sostanza dei
contenuti” che lo studente poteva e doveva, rimasticandoli, memorizzare
e ripetere, attingendo dai manuali e dalle critiche, dalle prefazioni,
dalle recensioni e postfazioni varie tutto quello che era
possibile attingere riguardo al contenuto del testo,riguardo a ciò che
era stato detto da altri sulla sostanza del contenuto del
testo, sul significato sostanziale e sul valore del suo messaggio.
La lettura diretta del testo poteva essere ignorata, ignorata la forma
del contenuto e del significante (il lessico, le strutture sintattiche
e logico-argomentative, ecc.), ridotta a puro involucro, trascurabile
elemento decorativo. In sostanza, per anni, in passato, lo studio
della letteratura si è praticato a spese di una “lettura in
contumacia”, in cui il testo non esisteva se non come oggetto
visto dall’esterno, da utilizzare solo in relazione ad elementi
biografici dello scrittore o da citare a conferma di certe scelte
tematiche dell’autore stesso messe a confronto per somiglianza o per
differenza con quelle di altri scrittori.
Tutto questo non poteva certo servire a livello di scrittura né tanto
meno si prestava ad offrire allo studente strumenti e metodologie che
lo guidassero a farsi un proprio giudizio motivato del testo, a
sviluppare il gusto per la scoperta personale che ne maturasse la
sensibilità estetica e le capacità
espressive.
Ora, se è vero che l’obiettivo complessivo dell’insegnamento
dell’italiano va identificato nella comprensione e analisi dei testi,
che consentano di acquisire una conoscenza sempre più
organica e approfondita della civiltà nostra e della nostra
cultura e che in questa prospettiva le conoscenze linguistiche
vanno fortemente strumentalizzate alla lettura dei testi, è anche vero
che la lettura deve essere una lettura “diligens”
consapevole , cioè atto mentale di cooperazione critica fondamentale
per promuovere nel lettore quel processo ermeneutico ( ed euristico)
senza il quale leggere un testo è fatica inutile. E nel nostro caso
lettura consapevole significa lettura finalizzata alla
individuazione della architettura logica e comunicativa del testo,
inteso – ripeto - come insieme di segni che stanno in rapporto fra
loro, significa individuazione di un ordine degli scopi ovvero
delle proposizioni che è dato e garantito dai connettivi dalle
congiunzioni coordinanti e subordinanti. Sono questi segni funzionali i
fattori di coesione testuale e anche quelli che aiutano a capire certe
sfumature del pensiero. Sono questi segni che orientano il
ragionamento del discorso, che guidano l’articolazione del traffico
delle parole che segnano le fermate e i passaggi. Faccio subito un es.
a proposito di sfumature del pensiero. Si consideri l’uso della
“e congiunzione coordinante con funzione esplicativa e con funzione
aggiuntiva in questi versi di Dante . Dante, Inferno,c. VI
v. 73:
“giusti son due, e non vi sono intesi” ; “ Io mi volsi a man destra, e
puosi mente / all’altro polo, e vidi quattro stelle /…” . Purgatorio,
c.I, vv.22-24. Nel verso prima citato dell’Inferno la “e” ha
funzione esplicativa : come dire : i giusti sono pochi e in conseguenza
di ciò, purtroppo non sono ascoltati, nessuno li segue . Aggiungendo il
secondo fatto “e non vi sono intesi”, Dante ha spiegato che c’è un
rapporto di causa –effetto col primo : la giustizia è amata da pochi e
a causa di ciò non è seguita. Nei versi del Purgatorio la
“e” ha funzione aggiuntiva. Dante fa due cose, l’una dopo l’altra
: dopo che si volta, pone mente all’altro polo e vede quattro stelle.
In quanto coordinante con funzione aggiuntiva non può stare a
inizio di un enunciato, a differenza di una “e” con funzione
esplicativa : “ E sparve, e i di’ nell’ozio/ chiuse in sì breve sponda,
/…; come se Manzoni dicesse con quella “e” : e
nonostante tutto , quell’uomo che sembrava immortale , morì come tutti
i mortali . Questa “e” iniziale non solo aggiunge un’altra notizia alle
precedenti, ma vuole esprimere un giudizio, spiegare che c’è un
rapporto tra ciò che è stato detto in precedenza. E ancora : “
Quest’ultima preghiera signor caro/ non si fa per noi…/ ma per color
che dietro a noi restaro”.
(
) Con il “ma” coordinante avversativa con funzione esclusiva.
Diversa dal “ma” o dal “però”
coordinanti avversative con funzione modificante.
“Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti
/ a cui esperienza grazia serba “ ( Paradiso,c. I,vv.70-72) . Dove
troviamo un “ però” avversativo con funzione modificante. E gli
esempi potrebbero continuare con tanti “ma “ e “ però “
“quindi”, “infatti” “dunque e “perciò” illustri e significativi nei
testi dei nostri classici e invece fuori posto e
inconcludenti spesso negli scritti dei nostri
giovani dove ballano all’impazzata senza sapere cosa ci stanno a
fare. Perché tanto uso sconsiderato delle
congiunzioni? Perché non basta leggere . Bisogna
leggere bene per capire l’architettura del testo.Perché non basta
–dicevamo- la grammatica della frase bisogna conoscere la grammatica
del testo, perché è dentro un brano di testo che si può capire come
funziona effettivamente una congiunzione.
Abituare attraverso la lettura l’alunno a sapere riconoscere il valore
funzionale che lo scrittore assegna ai vari connettivi ai fini
-ripeto- dell’ordine degli scopi ovvero all’ordine delle proposizioni
che giustificano l’ordine del piano del discorso, è già un primo passo
per avviarlo alla conoscenza profonda dei meccanismi che presiedono
alla scrittura di un testo, dei meccanismi che assicurano la coesione
di un testo. Il piacere della lettura consapevole diventa piacere della
scrittura consapevole. Una lettura che sappia cogliere il valore della
funzione dei connettivi è già una lettura propedeutica alla
didattica della scrittura. Non è del tutto vero il detto latino res
tene verba sequentur. In molti scritti dei nostri allievi- lo dicevo
all’inizio- non mancano tanto i contenuti quanto piuttosto la coesione
la coerenza l’unitarietà del discorso; la collocazione spesso sbagliata
entro l’architettura testuale dei connettivi rende incoerenti i loro
testi . Quante volte non abbiamo sentito i nostri giovani iniziare i
loro discorsi con un sonoro e perentorio “dunque” ignorando il
carattere argomentativo di questo connettivo che è parte della
dimostrazione della fondatezza di quanto affermato in precedenza. O con
“perciò” che esprime una consecuzione vale a dire la rappresentazione
di una relazione di causa a conseguenza : e non può dunque stare senza
aver nulla alle spalle senza avere dei precedenti discorsi come invece
ce l’ha il “ però” del dantesco : “ Però ti son mostrate in queste
rote / pur l’anime che son di fama note (Paradiso,c. XVII,
vv.135-138). Premesso che non vi è un’astratta capacità di scrivere,
indipendente dalla materia a cui si applica, dalla situazione
comunicativa in cui si esercita, dagli scopi che si propone, si può
dire che si impara a scrivere entro uno specifico tipo di testo,
riconoscendo i vincoli di libertà che quel tipo di testo impone alla
architettura e alla verbalizzazione dei contenuti. Si impara a scrivere
a partire dalla imitazione dell’architettura di un altro testo preso a
modello ovverosia a partire dalla riutilizzazione dei suoi
connettivi e – se del caso -di alcuni legamenti sintattici presi
a modello. L’imitazione dell’architettura testuale -
soprassedendo in questa sede sulla discussione circa le diverse
tipologie testuali –utilizzabili
-è esercizio quanto mai stimolante e utile per
l’avviamento alla scrittura di testi dei nostri ragazzi
perché li costringe a inventare un discorso , a
svolgere un pensiero la cui coerenza e coesione è garantita
dalla sua capacità di adattamento al movimento imposto dai connettivi.
Ora in questa sede vorrei sottoporre alla vostra attenzione
alcune prove concrete , molto semplici ma significative,- a mio
avviso - di scrittura di testi fatta sopra altri testi
,realizzate dai ragazzi in classe con la mia collaborazione La prima
prova di scrittura è modellata su un testo di tipo dimostrativo-
argomentativo: si tratta di un “ricordo”(155) guicciardiniano . Dopo la
lettura in classe del testo mirata ad evidenziare la trama dei
connettivi che sorreggono l’argomentazione del discorso gli alunni sono
stati invitati a produrre un nuovo testo a partire dalla
sola imitazione dei connettivi individuati nel modello. Fra poco
vi leggerò il risultato. Per intanto vi posso assicurare che
l’obbligo di utilizzare determinati connettivi imposto all’alunno
ha aguzzato il suo ingegno che ha dovuto fare i conti tra
reggente e dipendente e seguire per ciò stesso un ordine degli
scopi ovvero delle proposizioni fondamentale per giustificare l’ordine
del piano del discorso; i connettivi hanno funzionato come
suggeritori di un tipo di scrittura che si andava svolgendo
svolta parallelamente al formarsi del pensiero dello scrivente, una
scrittura quasi in cerca di se stessa e delle idee a un tempo. La
procedura.
Leggiamo il ricordo 155 del Guicciardini e vediamone
l’architettura testuale .
“ Dicesi che chi non sa bene tutti e particulari non può
giudicare bene. E NONDIMENO io ho visto molte volte che chi
non ha il giudizio molto buono, giudica meglio se ha solo notizia della
generalità che quando gli sono mostri tutti e particulari: perchè
in sul generale se gli rappresenterà spesso la buona risoluzione; ma
come ode tutti e particolari, si confonde “.
Analizziamo il testo e facciamo notare ai ragazzi l’importanza
che in questo testo dimostrativo assumono i connettivi.
“Dicesi che”… chi…” Il testo inizia con un connettivo di tipo
dichiarativo. L’alunno deve sapere che la dichiarativa presenta al
lettore un fatto come scontato. Guicciardini , aggiunge entro la
stessa unità sintattica e semantica del periodo una espansione
servendosi di una relativa : “dicesi che chi non sa ecc.ecc.”. Il
secondo periodo si apre con un “ E nondimeno”, ossia con un
“ma” che significa “eppure”, “tuttavia”, “però”.L’alunno deve sapere
che si tratta di un connettivo con funzione modificante e che solo per
questo può stare a inizio di frase . Quel “nondimeno” ( che è il
sed tamen latino che si intona all’andamento discorsivo e ragionativo
del periodo) serve a introdurre dei fatti, delle considerazioni
orientate diversamente rispetto a una precedente
valutazione . Serve a rilanciare un altro ordine di riflessioni.
Questo secondo periodo è abbastanza complesso ma si muove scorrevole e
sicuro dentro la sorveglianza degli argini possenti dei
connettivi relativi comparativi e ipotetici fino a riposarsi con una
pausa segnata da due punti. Dopo i due punti il periodo riprende
con un “perché” un connettivo che si presenta come una giustificazione,
una prova di qualche cosa detta in precedenza. Il movimento del
pensiero si concede un’altra pausa,segnata da un punto e virgola. Dopo
il punto e virgola, il ragionamento,ormai avviato verso lo sbocco
finale, riprende con un “ma” che richiama il “nondimeno” con cui
iniziava il secondo periodo, riproducendosi la stessa situazione cui dà
luogo l’avversativa con funzione modificante, incalzata da un altro
connettivo di non facile individuazione funzionale ; “ come “, che
equivale a un “quando” “appena che “ (temporale) ma con sfumatura
ipotetica “ qualora”, “se” ,di eventualità: quando e nel caso in cui.
Si tratta, dicevo, di un testo argomentativo- dimostrativo
, e la movenza consecutiva del testo argomentativo è tutta
giocata su una serie di connettivi come “nondimeno”
“quando” come” “perché” “se” “meglio… che” “ma” . Sulla base di queste
indicazioni , il gioco dei connettivi può partire. Ho invitato i
ragazzi a riscrivere un testo utilizzando solo i connettivi del testo
preso a modello , un testo a tema libero ma a creatività sorvegliata.
E’ venuto fuori ,fra tanti, questo che, anche per la sua brevità , vi
leggo, scritto da una ragazza di primo liceo dal titolo : Se il prodigo
può essere avaro : “ Si dice che chi è prodigo per natura non può mai
essere o comportarsi da avaro. Tuttavia (nondimeno) io ho potuto
constatare che spesso chi si trova in particolari situazioni di
ristrettezza, aguzza l’ingegno per risparmiare e non sperpera se si
accorge che così facendo può sopravvivere meglio che quando
scialacqua: perché in tal caso opera per il suo bene ; ma se
dovesse continuare ad essere avaro senza averne più motivo, allora va
contro la propria natura”. Siamo di fronte a un bel
“ricordo”, non c’è che dire, a un testo coerente e coeso messo su
sopra piccoli ma robusti puntelli : i connettivi, che garantiscono la
stabilità del testo. I connettivi di un classico.La
seconda prova di scrittura –diciamo creativa- ha preso avvio da una
lirica di Leopardi. .Sentite come si è messo in moto il pensiero e l’
immaginazione di un alunno di prima liceale guidato e stimolato ,per
così dire, dal “ma”e dal “così” dell’Infinito leopardiano,due
connettivi che costituiscono in fondo , l’architettura testuale di
quell’idillio: due connettivi che messi a inizio di frase hanno sempre
messo in imbarazzo i cruscanti della grammatica tradizionale. Ma quando
si fa notare ai ragazzi che essi sono legamenti testuali, le cose
cambiano Il “ma” e il “così” sono connettivi che stanno a inizio di
frase proprio per la loro funzione modificante ovvero per la loro
natura di legamenti sostituenti : il “ma” che significa tuttavia e il
“così” che vuol dire in conseguenza di ciò si richiamano a quanto detto
prima. “ Sono un ragazzo tranquillo dal carattere sedentario a cui
piacciono le cose semplici e concrete che danno sicurezza. La mia casa,
qui, in periferia,lontano dai rumori della città, quegli alberi là, che
cingono il mio giardinetto e quasi mi proteggono da sguardi
indiscreti. Ma sedendo talvolta sulla poltrona del mio salottino e
chiudendo gli occhi, mi piace sognare cose lontane e impossibili,
fingermi avventure e amori intriganti e misteriosi. Mi piace
vagabondare in spazi infiniti. Così, anche se per poco, mi
astraggo dalla realtà di ogni giorno e per qualche attimo con la
immaginazione provo dentro di me un piacere indicibile e
dolcissimo”.
Finora abbiamo presentato connettivi che funzionano a breve o media
distanza: ossia che legano le parole all’interno dell’enunciato o gli
enunciati vicini o di poco lontani. Ma il metodo resta naturalmente
valido anche per testi più complessi e più lunghi. Basterà
allenare i ragazzi a letture più ampie, a cimentarsi con architetture
più vaste di testi classici; solo da essi si potrà apprendere
come funzionano i legamenti sintattici che legano blocchi di
testo. Si potrà per imitazione di connettivi e di
legamenti sintattici che funzionano a grande distanza di un testo
riscrivere un altro testo: coerente,unitario e coeso. Un ultimo
esempio, per vedere che l’esercizio della imitatio funziona.
Questa volta a dare l’imput al pensiero e all’immaginazione
dell’allievo è stata una lettera del Petrarca: L’ascesa a Monte Ventoso
, imitata senz’altro nell’armonioso e scorrevole movimento dei suoi
legamenti sintattici di tempo di luogo di causa ed effetto,di
numerazione di valutazione, se non anche nella tormentata
spiritualità che la lettera del Petrarca sottintende.
Lettera di un amico: resoconto di un viaggio.
Mio caro Andrea,
da quando ci siamo lasciati dopo gli ultimi giorni di
scuola, ho sempre aspettato tue notizie
Ma poiché vedo che non arrivano, sarò più generoso di te, e ti scriverò
io.
Questa estate ebbi finalmente l’impulso di realizzare ciò che mi
ripromettevo da anni : una gita in Toscana.
Alla fine di Luglio, desideroso di svagarmi, mi sono recato in un
piccolo paesino dell’Appennino toscano, arrampicato a metà costa
su monti, tra boschi di castagni e abeti.
Il luogo dove mi trovavo era molto pittoresco con quelle sue stradine
in salita e le case tutte fiorite di gerani e garofani rossi, con la
sua vecchia chiesa dal campanile svettante e quadrato, con il municipio
ornato di stemmi.
E giù, in fondo alla valle, tra grossi massi scorreva il fiume,
rinserrato fra fianchi di monti folti di boschi. Oltre quei
monti altri monti più alti, soffusi sempre di un colore violetto che al
tramonto si accendeva.
Poiché, come ben sai, mi piace moltissimo camminare, approfittai
subito delle giornate serene e abbastanza fresche per fare delle belle
passeggiate e per scalare le montagne, di cui serbo ancor vivo il
ricordo.
Una mattina, poco dopo l’alzata del sole, mi misi in cammino e, sceso a
valle, lasciai la strada nazionale per prendere una scorciatoia e
iniziare la mia scalata alle montagne, deciso di puntare direttamente
verso l’alto.
Mentre attraversavo la vallata alla ricerca di un sentiero più agevole,
via via che salivo cresceva il silenzio intorno, non incontravo
nessuno, e mi sentivo circondato da un senso di solitudine che non
aveva, però, nulla di pauroso, ma mi dava quasi la sensazione di
venire fuori dal mondo.
Cammina, cammina, cominciai a sentire la stanchezza e perciò
decisi di riposarmi un pò.
Mentre mi rifocillavo, arrivò un vecchio della zona che mi
consigliò di tornare indietro e di differire la fatica del salire
perché stava per arrivare un violento temporale.
Il cielo, infatti, come spesso succede in montagna, si era
improvvisamente guastato, e l’aria s’era fatta più fredda.
Per un attimo ebbi una esitazione, ma subito decisi di continuare la
mia ascesa, tanto era il desiderio di potere ammirare tutta la
vallata dalla cima delle montagne.
Rinfrancatomi un po’, mi rimisi in cammino più in fretta, ancora
lontano com’ero dalla meta.
Una forte volontà mi dava l’energia per continuare. Finalmente,
stanco e ansimante, ma felice, arrivai in cima a una montagna più alta
di tutte; ci ero riuscito.
Mi sedetti su un sasso e guardai le nuvole bianche e nere che si
sfioccavano fondendosi con l’azzurro del cielo; davanti a me, in
lontananza, si aprì un’ampia distesa di prati verdi, sui quali
pascolavano qualche mucca e poche decine di pecore. Qua e là si
scorgevano dei casolari bassi, anneriti dal fumo e dagli anni.
Ti posso assicurare che mentre ammiravo questo spettacolo meraviglioso,
mi sono commosso.
Non so quanto rimasi immobile in contemplazione, non riesco
neanche a descrivere la meraviglia che il mio spirito ha provato. Una
esperienza veramente irrepetibile. Di fronte a tanta grandezza
della natura, niente è forse più grande da ammirare, tranne l’anima.
Sarebbe stato molto più bello se fossi venuto con me. Ma spero che non
mancherà l’occasione per avventurarci insieme.
Arrivederci a presto. Tuo Giovanni.
Il gioco dei connettivi funziona. Si può scrivere un testo con un
altro testo solo che si sappia leggere con diligenza e capire che per
costruire una casa,cioè un discorso, non bastano i mattoni,cioè le
parole; ci vuole la calce o il cemento armato,cioè i connettivi o
legamenti sintattici che legano blocchi di testo, necessari a tenere in
piedi una costruzione,la struttura del periodo , la coerenza e la
coesione del discorso.
A tal fine quale migliore palestra per esercitare i nostri allievi alla
scrittura, di quella offerta dai nostri classici? Bisognerà partire da
loro per recuperare ciò che sembra abbiamo perso: l’ordine la
precisione,le sfumature del pensiero e il piacere della immaginazione,
in una parola :il senso della
nostra umanità, della classicità su cui in definitiva si fonda la
nostra identità storica e culturale.
Prof. Nuccio Palumbo.
Dedicato ai miei ex alunni del liceo “Spedalieri “di Catania
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