«Studia qui, siamo i migliori» Spot comparativi per le scuole. I test Invalsi per attrarre studenti. «Così evitiamo i tagli»
Data: Domenica, 20 febbraio 2011 ore 18:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


È come gli spot della tv. Il biscotto A è migliore del biscotto B perché ha più vitamine e meno zuccheri. E la Mazzini è migliore della Garibaldi perché i suoi studenti sono più bravi sia in italiano che in matematica. Le scuole italiane scoprono la pubblicità comparativa. Sito Internet dell’Istituto Beata Maria Vergine, Merate, provincia di Lecco: «Per testimoniare la qualità del nostro lavoro in classe e per invitare altre scuole a fare altrettanto abbiamo deciso di pubblicare i risultati dei nostri studenti alle prove Invalsi» . E cosa diavolo sono queste prove Invalsi? L’idea degli spot parte proprio da qui. Dire che in questa scuola hanno tutti dieci non funzionerebbe: ogni insegnante ha un suo metro di giudizio e il dieci della Mazzini può valere il sette della Garibaldi.                   
Ma da qualche anno nelle nostre elementari e medie si fanno anche test di italiano e di matematica uguali per tutti e corretti per tutti allo stesso modo dall’Istituto per la valutazione del sistema educativo, l’Invalsi appunto. Non ci sono simpatie o antipatie, non esistono insegnanti di manica larga o di manica stretta: il metro di giudizio è sempre lo stesso. Grazie a questi test ogni scuola conosce qual è il suo punteggio reale. E può sapere se fa meglio o peggio della media regionale e nazionale. A farsi pubblicità così, naturalmente, sono solo le scuole sopra la media Le scuole private con l’obiettivo di attirare studenti, visto che vivono di rette oltre che di contributi pubblici. «Naturalmente— dice Stefano Pierantoni, preside dell’Istituto Beata Maria Vergine, vicino a Lecco— vogliamo far vedere che lavoriamo bene. Ma credo che il confronto sia utile per tutti, in modo da estendere i modelli che funzionano e scartare quelli che non funzionano» . La stessa spiegazione che danno alla media Kolbe di Lecco, 10 punti sopra la media lombarda, 15 sopra quella italiana. Ma a mettere i loro punteggi su internet sono anche scuole pubbliche come la Luciano Manara di Milano o la Valpantena di Verona. Che interesse hanno, loro? «Per una questione di trasparenza — spiegano alla elementare del secondo circolo di Pompei — ma anche per avere un buon numero di richieste. Così riusciamo a salvare gli organici dai tagli» . A ciascuno il suo (motivo), e la pubblicità cresce. In Inghilterra e in alcuni Stati degli Usa pubblicare i risultati è obbligatorio. Esiste una vera e propria classifica delle scuole, dalla migliore alla peggiore, che le famiglie leggono e rileggono al momento delle iscrizioni. In Italia no, ogni istituto conosce solo il proprio risultato. Se vuole può confrontarlo con la media regionale e nazionale ma una graduatoria completa non c’è. «Il nostro obiettivo— dice Elena Ugolini del consiglio d’indirizzo dell’Invalsi — non è dividere tra buoni e cattivi ma valorizzare il lavoro degli insegnanti. Maestri e professori lavorano in situazioni molto differenti e con ragazzi che arrivano da famiglie molto diverse fra loro» . Ecco, quei numeri ci dicono davvero se la scuola funziona? In realtà così com’è, il dato Invalsi non spiega tutto. Di solito le scuole di città hanno punteggi più alti di quelle di paese, quelle del Nord fanno meglio di quelle del Sud. Ma, all’inizio della carriera scolastica, famiglia e ambiente di provenienza possono pesare più degli insegnanti. Nei prossimi mesi l’Invalsi aggiornerà i risultati depurandoli dagli effetti delle condizioni sociali, economiche e culturali. Neutralizzando, cioè, il vantaggio che lo studente può avere in partenza considerando titolo di studio e lavoro dei genitori, libri e computer che trovano in casa e altro ancora. Il nuovo punteggio indicherà il valore aggiunto dalla scuola, come già si fa in Inghilterra o negli Stati Uniti. Potremmo scoprire che una scuola del centro città è buona solo perché pesca i bambini più fortunati, mentre quella di provincia parte sì svantaggiata ma li fa migliorare molto di più. Anche gli spot dovrebbero cambiare. (Di Lorenzo Salvia da Corriere della sera)

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