«La sfida è partita: Più donne nella politica, più politica per le donne». Intervista a Susanna Camu
Data: Martedì, 15 febbraio 2011 ore 14:30:00 CET Argomento: Rassegna stampa
Da oggi chiunque
voglia dare una prospettiva alla straordinaria energia che
ha attraversato le piazze di domenica dovrà far questo: mettere le
donne al centro della politica. Più donne nella politica e più politica
per le donne. Il punto fondamentale, come sempre, è l’ascolto. La
comprensione: quel che è accaduto domenica è un segnale precisissimo e
potente, bisogna coglierlo. La reazione patetica del presidente del
Consiglio e il silenzio di chi lo circonda mi fa pensare che a destra
l’abbiano capito benissimo. Alle opposizioni di centrosinistra la
piazza - questa piazza che non è di nessuno - chiede concretezza,
risposte chiare, cambiamento. Unabella sfida. Comincerei a pensare a
due o tre cose da fare, fossi un leader politico, poche perché se no
non sono vere. Da leader sindacale questo intendo fare, di questo
abbiamo discusso stamani in segreteria Cgil: mostrare che c’eravamo e
abbiamo capito, dare un segno nell’attività quotidiana. Faremo una
grande campagna contro le discriminazioni sulla maternità, riprenderemo
la legge sulle dimissioni in bianco, metteremo la donna al centro del
discorso sul lavoro
precario”.
Susanna Camusso, partiamo dalla piazza. È stata una sorpresa la
dimensione del successo?«No, non è stata una sorpresa la quantità di
persone. Piuttosto la diffusione, la presenza contemporanea in tutte le
piazze d’Italia e in molte nel mondo. È il segno di un sentire diffuso,
una novità anche per il movimento delle donne. Una richiesta corale,
collettiva che giustamente gli osservatori stranieri interpretano come
una grande svolta: la differenza di lettura dei giornali stranieri da
quelli italiani, ieri, era impressionante. La trasversalità l’avevamo
cercata. Quel che è accaduto è che la trasversalità ha portato in
piazza non solo persone che si riconoscono in uno o nell’altro
schieramento politico ma moltissima gente che a manifestare in strada
non va mai, e che probabilmente si è nel tempo allontanata - delusa -
dall’impegno collettivo. È stata la manifestazione meno organizzata che
io abbia mai visto, non c’erano autobus né raduni, era una monumentale
somma di persone singole. Molte donne mi hanno fermata per dirmi: io lo
votavo. Ecco, c’erano tutte: anche quelle che al principio lo hanno
votato. Si è rotto domenica il teorema su cui Berlusconi ha fondato il
suo successo: il fascino che esercita ed il legame col mondo femminile.
Non ha più la piazza, non ha più le donne».
Questo giustifica il nervosismo, la paura, la reazione che non coglie
nel segno?«Sentirlo dire “io amo le donne” mi è sembrato patetico. Tra
l’altro cerca sempre e solo di salvare se stesso. Dire che erano
radical chic significa non avere occhi per vedere. La verità è che non
hanno la chiave per una risposta, questa volta: era una moltitudine di
popolo, gli è stata sottratta la parola popolo. Fra riempire un teatro
e riempire un paese c’è differenza. Il silenzio dei suoi alleati mi
pare eloquente. Loro hanno capito. Cominciano a dubitare. Hanno il
problema della loro collocazione futura. Lui si arrocca, e ci sarà il
rischio del veleno nella coda. Il suo mondo però si sta sfaldando.
Questo potrà avere conseguenze politiche concrete». La maggioranza si
batte nelle urne.
Potrà il movimento tradursi in una trasformazione
dell’elettorato?«Certamente Berlusconi non si dimetterà per le piazze.
Ma il movimento, se si consolida, può minare il fondamento del suo
contratto. Su cosa fonda l’arroganza del non mi dimetto? Sui numeri
parlamentari di cui dispone perché è in grado di mettere a disposizioni
nuovi posti in futuro. Ma se il popolo non gli garantisce più il
consenso, quale sarà allora la sua merce di scambio? »
Se il movimento si consolida, lei dice. Come, e scandendo quali
rischi?«Dandosi appuntamenti ravvicinati e non dimenticando mai il
segnale di domenica. Che è prima di tutto una richiesta di amorpatrio,
questo è in fondo il tema della dignità e del rispetto delle regole,
della giustizia uguale per tutti dei diritti e dei doveri. Un paese che
si possa amare di sentimento ricambiato. Poi una richiesta di
cittadinanza per le donne: bisogna rimettere le donne al centro della
politica, questo è il vero punto. In un modo nuovo, vero, autentico,
forte. L’8 marzo, il prossimo appuntamento, sia il giorno della dignità
del lavoro. Non a parole, in pratica: parliamo delle retribuzioni delle
donne, di lavoro povero e invisibile, parliamo di conflitti in tema di
maternità, di precarietà. È una linea che ci porta diritti al grande
tema che abbiamo di fronte: non considerare la famiglia il fondamento
della società, ma la persona. Perché finché la famiglia sarà al centro
i diritti delle donne saranno subordinati a quello che si vuole sia il
loro ruolo dentro le famiglie. Le donne al centro del nucleo familiare.
Anche le politiche di conciliazione in questo senso possono essere una
trappola che inchioda le donne a quel destino dato: ti diamo più tempo
per fare tutto perché diamo per scontato che tu debba fare sia questo
che quello. Il carico familiare è comunque tuo. Partiamo allora dalla
paternità obbligatoria, per esempio. Donne e uomini come persone con
gli stessi diritti e gli stessi doveri».
Un tema che chiama all’appello anche le forze di opposizione.
«Naturalmente. Un tema complesso e delicato, ma la realtà in cui
viviamo lo è e dobbiamo affontarlo».
Crede che sia possibile un cambio di mentalità e di passo, in chi fa
politica, senza un ricambio generazionale?«Il ricambio generazionale è
la risposta più semplice. Certo che la richiesta c’è, non si può
ignorarla. Ma le piazze di domenica erano di nonne e nipoti, non credo
il tema fosse solo quello del rinnovamento della classe politica. Della
sua capacità di ascolto, piuttosto. È una piazza che vuole risposte,
che pretende di essere ascoltata, che cerca chi la sappia rappresentare
con gesti semplici e concreti. Chi capirà questo entrerà in un tempo
nuovo. Del resto indietro ormai è impossibile andare, davvero. Indietro
non si torna». (da L'Unità di Concita De Gregorio)
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