La scuola discrimina i poveri: un’indagine della Banca d’Italia
Data: Giovedì, 10 febbraio 2011 ore 07:21:16 CET Argomento: Rassegna stampa
La scuola di
fatto discrimina gli studenti che vengono da ambienti culturali e
sociali più modesti: non li aiuta a raggiungere i coetanei più
abbienti, che ricevono molti più stimoli già dai primi mesi di vita. A
queste conclusioni arrivava poco meno di tre anni fa uno studio della
Banca d’Italia dal titolo un po’ neutro: “I divari territoriali nella
preparazione degli studenti italiani: evidenze dalle indagini nazionali
e internazionali”. Considerazioni non troppo diverse da
quelle odierne di Pietro Citati e Marco Lodoli.
Lodoli in particolare sottolinea quanto la scuola oggi non
aiuti più a migliorare la propria condizione sociale ed economica,
l’ascensore sociale è bloccato, si dice da tempo. Dall’indagine della
Banca d’Italia, condotta da Pasqualino Montanaro, la disfatta della
scuola italiana emerge ampiamente dai dati: sui test di
matematica, per esempio, “in media il punteggio ottenuto da uno
studente con lo status sociale più elevato supera del 25% circa quello
ottenuto da uno studente con lo status sociale più basso”. Differenze
analoghe si ottengono nel confronto tra Nord e Sud. Montanaro, partendo
dall’analisi dei dati Ocse, sottolinea come “le differenti
condizioni sociali e culturali, già a partire dall’età prescolare,
influiscono in maniera decisiva sulle abilità cognitive, sulla capacità
di esprimere se stessa, di percepire i colori, di comprendere spazi e
forme, di rappresentare fenomeni di natura quantitativa”.
Ora, è evidente che uno studente di classe più agiata sia
avvantaggiato. Quello che non appare in teoria altrettanto
scontato è invece il fatto che la scuola non fornisca allo studente
meno fortunato dal punto di vista sociale strumenti per ottenere un
livello culturale paragonabile a quello dei suoi coetanei, favoriti
dall’ambiente familiare e sociale.
Poi c’è anche un altro discorso. Forse a scoraggiare gli studenti c’è
anche il futuro che li aspetta, in una società dove la meritocrazia è
scomparsa da tempo, ammesso che ci sia stata in qualche momento
storico. Il 55% dei giovani trova lavoro grazie agli amici e ai
parenti, dimostrano i dati pubblicati dall’Istat. Del resto anche
dal governo arrivano caldi inviti a non mirare troppo in alto: meglio
un buon lavoro manuale che anni di studio inutile, ripete senza
stancarsi il ministro del Lavoro Sacconi.
Un ultimo dato. I due terzi degli intervistati tra i 20 e i 30
anni, in un rapporto Luiss sulla classe dirigente pubblicato nel
febbraio del 2007, si sono detti convinti che avrebbero
avuto ”un lavoro e una posizione sociale sostanzialmente simile
oppure tendenzialmente inferiore a quella dei genitori”. Era prima
della crisi. Adesso non sarebbero più tanto ottimisti.
(da http://amato.blogautore.repubblica.it/)
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