Ci basta il flop della sperimentazione della valutazione degli insegnanti?
Data: Mercoledì, 26 gennaio 2011 ore 10:30:00 CET
Argomento: Comunicati


Perché il sistema Gelmini non riesce a partire? Quali criteri dovrebbero essere adottati? e quali dovrebbero essere gli obiettivi reali della valutazione? Un intervento di Rosanna De-Ponti e Aldo Tropea affinché il flop attuale non pregiudichi il futuro.
di Rosanna De-Ponti  e Aldo Tropea (da PdScuola)
Sembra che la sperimentazione del sistema di valutazione dei docenti voluta dalla Gelmini non riesca a partire.
Si tratta di capire se la risposta negativa della quasi totalità delle scuole delle città prescelte per la sperimentazione sia dovuta solo ad un’alzata di scudi corporativa, ad una risposta indispettita alla politica dei tagli,  o se, invece, i docenti abbiano qualche ragione.
Occorre, però, evitare che gli errori contenuti nella sperimentazione affossino un discorso che è decisivo per la qualità dell’insegnamento e che va affrontato con le giuste premesse metodologiche e con strumenti adeguati. 
La sperimentazione nasce come applicazione della L.150 (la cosiddetta 'legge Brunetta' che intende “premiare” il merito del 25% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione) e individua due modalità :
- il criterio della “reputazione” professionale per il riconoscimento individuale attribuito da una commissione interna (DS, due docenti, il presidente del CdI)
- il livello di “miglioramento” degli apprendimenti conseguiti dall’ istituto  riconosciuti da una  équipe esterna ed indipendente.

La sperimentazione interseca il complesso e annoso problema della valutazione del lavoro e della professionalità dei docenti. Tuttavia  tale valutazione dovrebbe avere anche (e soprattutto) la finalità più ampia di assicurare la qualità del servizio erogato: questo è l’aspetto che continua ad essere sottovalutato.  Negli anni la crescita dei posti di lavoro non è stata accompagnata dal riconoscimento della centralità della funzione docente come cardine del sistema di formazione e di istruzione, come patrimonio da incrementare e valorizzare, patrimonio che richiedeva interventi di monitoraggio delle prestazioni e di sostegno al miglioramento continuo.

• Nella sperimentazione proposta dalla Gelmini non vi è alcun riferimento alla valorizzazione del patrimonio di professionalità esistenti e alla necessità di puntare al successo formativo (anzi l’aumento della selezione degli studenti sembra essere un obiettivo del ministro). E’ chiaro che successo formativo non significa “promozione facile” o “sei politico” come finge di equivocare il ministro, bensì il raggiungimento, per il maggior numero di studenti, di risultati formativi sempre più elevati.
• Non viene indicato alcun criterio o parametro di valutazione: con quali criteri la commissione (formata da dirigente scolastico, due insegnanti e un rappresentante dei genitori) deciderà a chi assegnare il premio? Senza lo sforzo di declinare su cosa si basa la “reputazione”, il premio rischia di essere attribuito sulla base delle relazioni interpersonali esistenti e l’inserimento di un genitore nella commissione non basta a superare l’autoreferenzialità.
• La sperimentazione si limita a  “fotografare”, con maggiore o minore precisione,  la situazione esistente per premiare gli insegnanti e gli istituti già oggi “più bravi”, e non innesca  un processo che, premiando i migliori, trascini tutto il sistema a migliorare i risultati individuali e di istituto.
Anzi, in un sistema in cui le prove nazionali hanno evidenziato notevoli differenze fra zona e zona e fra istituto e istituto il rischio è quello di aumentare il divario fra le situazioni migliori (che avranno più risorse) e le situazioni peggiori alle quali non si indica la strada per il miglioramento e non si offrono gli strumenti per perseguirlo.
• Infine la 14° somiglia più ad una gratifica (primaverile anziché natalizia) che al riconoscimento di un merito professionale e, inoltre, accompagnata dai tagli a tutto il settore e al blocco degli scatti di anzianità, suona anche un po’ provocatoria.

Occorre però evitare che il legittimo rifiuto delle modalità di valutazione proposte dal ministro faccia naufragare la necessità e l’importanza della valutazione dei risultati scolastici e della valutazione delle prestazioni professionali dei docenti. Queste valutazioni sono invece indispensabili per il rilancio della scuola pubblica.

Se ci interessa non solo una modesta “premialità” per i docenti più “reputati” vanno rispettare alcune condizioni  :
1. la valutazione deve essere effettuata sulla base di criteri noti, oggettivi ed osservabili (come ben sanno gli insegnanti e gli studenti) ; nessuno è disposto a farsi valutare sulla base di criteri non dichiarati, aleatori e opinabili.
2. la valutazione non deve essere autoreferenziale cioè non può essere espressa da soli docenti,   ma deve tener conto del parere degli utenti e della valutazione del dirigente e deve avere, almeno per alcuni aspetti, un riscontro esterno
3. deve essere legata alla misurazione degli apprendimenti e quindi deve far riferimento a “risultati” concreti ottenuti.
4. infine deve essere fattibile, cioè non essere farraginosa e non costare troppo

Sarebbe anche necessario che l’esito della valutazione avesse un peso determinante nella “carriera” del docente, e non essere una mancia “una tantum”, se si vuole sciogliere il nodo di una carriera che si sviluppa solo per anzianità e che penalizza, in nome di un egualitarismo punitivo nei confronti dei migliori, le professionalità costruite con un serio impegno personale; se in questo momento le risorse non ci sono è sempre possibile porre le premesse per disegnare gli scenari futuri.

Concretamente, nella situazione attuale, è possibile :
- chiarire che si intende innescare un processo di riflessione sui risultati che sarà utilizzato per migliorare gli esiti di tutto il sistema, oltre che per premiare chi ottiene (nelle condizioni date) risultati migliori. Prevedendo interventi compensativi e risorse maggiori, anche formative e progettuali per le situazioni “deboli”, interventi di cui saranno naturalmente valutati gli esiti;
- dichiarare gli standard delle prestazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività di insegnamento; standard riferiti all’efficacia e l’efficienza delle prestazioni individuali e di team (nel conseguire il miglioramento del successo formativo degli alunni); questi standard (che riguardano la gestione dei contenuti disciplinari, dei collegamenti interdisciplinari, delle indicazioni metodologiche, l’impiego del tempo, nonché la predisposizione di esercitazioni per il recupero, la previsione di attività alternative facilitanti modalità di apprendimento diversificate, l’utilizzo di nuove tecnologie) possono essere declinati, negli istituti, in comportamenti osservabili che fanno parte del Piano dell’Offerta Formativa (che anche l’utente può verificare).
A questo punto sarà possibile stabilire in quale misura il docente si approssima agli standard descritti. E anche agli studenti delle scuole superiori potrà essere chiesto, non di dare un generico “voto” agli insegnanti (su che cosa : l’affabilità, la severità, la coerenza,la cultura, la giustizia..), ma di “misurare” quanto i comportamenti reali si avvicinano a quelli dichiarati.  Gli istituti che hanno già sperimentato forme di valutazione potranno essere i protagonisti della sperimentazione e potranno fornire indicazioni utili per la generalizzazione;
- fissato quanto sopra descritto, e quindi evitato ogni sospetto di parzialità e opinabilità, un’agile commissione o anche il solo dirigente (che negli altri settori è prassi normale che valuti i propri collaboratori), può indicare i “meritevoli”;
- l’attribuzione dei fondi agli istituti deve essere legata all’incremento dei risultati di apprendimento, valutati da un ente esterno, e quindi deve far riferimento a “risultati” concreti ottenuti, in modo da premiare i miglioramenti più che la situazione di partenza, come d’altronde previsto nella sperimentazione  . 
Queste potrebbero essere le condizioni per trovare nelle scuole interlocutori disponibili  ad accettare e fare propria una cultura della valutazione. 

1- “La valutazione degli apprendimenti sarà articolata all’interno di un percorso pluriennale che utilizzerà le prove INVALSI come strumento per la valutazione degli apprendimenti all’inizio e alla fine della prima classe della scuola media e alla conclusione della terza media. Le metodologie seguite sono quelle già in uso da parte dell’INVALSI che tengono conto anche del contesto socio-culturale nel quale opera la scuola. Alla fine del primo anno sarà condotta dall’équipe esterna anche un’approfondita analisi su tutta una serie di elementi che interessano la scuola nel suo rapporto con il territorio e con l’utenza insieme ad elementi legati al “clima” educativo, all’integrazione, alla dispersione, all’utilizzo delle risorse finanziarie, all’offerta formativa etc..., tenendo sempre conto del contesto socio-economico nel quale la scuola opera. Queste analisi saranno condotte utilizzando strumenti e sulla base di un “protocollo” comune.”

2- Anche per L.Ribolzi : “ … questa sperimentazione (che, voglio sottolinearlo ancora una volta, non coincide con la valutazione a regime degli insegnanti, … sarà necessaria una seria volontà politica, oltre a un cospicuo investimento, per arrivare a parlare di “sistema nazionale di valutazione”… “ se premiare la qualità rappresenta un’acquisizione fondamentale, altrettanto importante sarà garantire un sostegno per il miglioramento delle scuole “deboli”, che spesso sono tali perché operano in un contesto svantaggiato e devono quindi disporre di risorse maggiori, anche formative e progettuali …”.

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