Il dialogo tende all’unita’ attraverso il pluralismo
Data: Sabato, 22 gennaio 2011 ore 08:01:56 CET
Argomento: Redazione


C’era una volta l’ottavario per l’unità dei Cristiani: dal 18 al 25 gennaio. Fu introdotto 100 anni fa nel 1910 e tendeva all’ecumenismo, che  ha come vero risultato finale il superamento dello stesso l’ecumenismo:  una Chiesa cioè non solo dei e per "cristiani", ma di tutti, cristiani e "non cristiani". Luca Medici (alias Checco Zalone ) nel suo film “Che bella giornata” canta:
“L’amore non ha religione
non è cattolico, non è mormone ,
l’amore credimi non è ortodosso
l’amore è quando ti diventa grosso… il cuore.
L’amore non è evangelico, né protestante
l’amore è quando ti diventa grande… il cuore.
L’amore non ha religione,
nessun confine, nessuna nazione.
Né americano, né bolscevica.
L’amore è quando lei ti dà… la vita!”
C’è in Francia la Comunità di Taizé: una comunità cristiana monastica ecumenica ed internazionale fondata nel 1940 da Roger Schutz.  Egli aveva scelto come sede quel piccolo centro per le suppliche di una anziana abitante di Taizé, che gli chiedeva di fermarsi sulla collina per condividere - con i pochi abitanti - la sventura della seconda guerra mondiale. Fratello Roger accolse e aiutò i profughi della guerra, soprattutto ebrei e fu denunciato alla Gestapo nel 1942 mentre si trovava in Svizzera e dovette fermarsi a Ginevra e tornò in Francia solo a guerra finita.  Anche se di religione protestante, fu relatore  teologo dell'ecumenismo al Concilio Vaticano II. Scrisse la regola dei monaci di Taizè e stabilì il rispetto del dialogo e la fuga dalla “dittatura” della maggioranza. Nella comunità le decisioni non vengono prese per alzata di mano ma dopo un sereno confronto  tra i “fratelli”, che in caso di diversità di opinioni, su invito del priore, si ritirano in silenziosa meditazione claustrale. Dopo di che tornano a riunirsi ed, in coscienza, approvano la soluzione migliore in vista del  bene comune , a prescindere dalla forza numerica.
Ci fu, negli anni 60, un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni XXIII , che diceva: “Vengo dall’umiltà e fui educato a una povertà contenta e benedetta... La Provvidenza mi trasse dal mio villaggio nativo e mi fece percorrere le vie del mondo… preoccupato più di quello che unisce che di quello che separa e suscita contrasti”. Indisse il Concilio Vaticano II  e aprì la strada al dialogo tra la Chiesa e il mondo.
Gli successe Paolo VI, che scrisse un’enciclica sul dialogo l’Ecclesiam suam nell’agosto del 1964. Per Montini la Rivelazione può essere raffigurata con la metafora del dialogo, che doveva essere raccomandato all’attenzione dei Padri conciliari, perché in qualche modo disatteso da una Chiesa cattolica troppo ripiegata su se stessa, lenta e tardiva ad aprirsi a relazioni positive verso l’esterno. Nel documento papale vengono delineati gli aspetti caratteristici di questo “dialogo” (n. 83-85):
1.      La chiarezza innanzi tutto. Il dialogo suppone ed esige comprensibilità, è un travaso di pensiero, è un invito all'esercizio delle superiori facoltà dell'uomo;
2.     Altro carattere è la mitezza. Il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, non è comando, non è imposizione.
3.      È pacifico: evita i modi violenti; è paziente; è generoso.
4.      Il dialogo ispira la fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell'attitudine ad accoglierla da parte dell'interlocutore: promuove la confidenza e l'amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un bene comune, che esclude ogni scopo egoistico.
5.      Il dialogo si svolge con  prudenza pedagogica , facendo grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta (se bambino, se incolto, se impreparato, se diffidente, se ostile) e si studia di conoscerne la sensibilità, cercando di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione per non essergli ingrato e incomprensibile.
6.      Ma l’atteggiamento fondamentale del vero dialogo è l’ascolto dell’altro.
Negli ultimi 30 anni il magistero (a parole e a gesti) di Giovanni Paolo II e la sua teologia ci hanno resi consapevoli che la prospettiva del dialogo non può più essere intesa come un accessorio e opzionale alla missione della Chiesa. Il dialogo non è né compromesso né buonismo. E’ il riconoscimento della libertà dell'interlocutore. Su questo punto, il magistero di Giovanni Paolo II costituisce un indubbio e coerente sviluppo del Concilio. Nella enciclica “Novo Millennio Ineunte” propone un ardito accostamento tra il compito dell’“inesauribile approfondimento della verità cristiana” e quello del “dialogo cristiano con le filosofie, le culture, le religioni”. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa, che deve  realizzare concretamente la sua identità e missione di segno e strumento dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, deve diventare anche la casa e la scuola del dialogo.
 
Anche Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Verbum Domini insiste su riferimenti specifici al dialogo interreligioso, al rispetto e alla libertà: ‘Il dialogo non sarebbe fecondo se non includesse anche un autentico rispetto per ogni persona, perché possa aderire liberamente alla propria religione. Per questo ricorda «la necessità che sia effettivamente assicurata a tutti i credenti la libertà di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la libertà di coscienza»; infatti, «il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli». Oggi il dialogo è un obiettivo indispensabile: da solo è capace di salvare le società dall’autodistruzione, far giungere a conquiste impensabili e migliorare la qualità della vita per tutti. 
Nel Web circola il discorso di Capodanno di Antonio Albanese (alias Cetto La Qualunque) che ha questo bel finale: “La storia mi chiama e io rispondo: presente. Innanzituttamente: basta con lo scontro. Basta con la lotta all’avversario. Il paese ha bisogno di una fase nuova, di pacificazione tra gli opposti. Intalsensamente ho già pronti i nuovi slogan. Basta con la lotta tra maggioranza e opposizione. basta con la lotta tra laici e cattolici. Quando dico basta è basta! Siamo in una fase nuova. Non serve la lotta ma il dialogo. E non solo tra forze politiche. Serve il dialogo anchemente tra istituzioni e cittadini, tra amministrati e amministratori…Dialogo! La parola d’ordine è dialogo! Insommamente, infinemente e concludibilmente… “
Il 25 gennaio si conclude l’ottavario dell’unità dei Cristiani con la festa della conversione di Paolo sulla via di Damasco. Il 27 gennaio è il giorno della Memoria.
 

Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com






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