Appunti su Verga e il naturalismo francese: una riflessione didattica.
Data: Sabato, 22 gennaio 2011 ore 07:14:47 CET
Argomento: Redazione


Se è vero che l’arte è una forma di rispecchiamento della realtà storicamente determinata dalla varietà dei rapporti economici e sociali intercorrenti fra gli uomini di un determinato periodo, e se è pur vero che essa di codesta realtà umana riesce, a suo modo, a farsi interprete, attraverso alla coscienza critica e problematica degli scrittori più sensibili, dei mutamenti e delle esigenze reali del proprio tempo, caratterizzandone gli aspetti più “ tipici” e significativi in ordine alle tendenze reali e ideali della società; allora possiamo intendere in che senso l’arte del realismo della seconda metà dell’Ottocento è a suo modo, nelle sue varie fasi e nei suoi vari aspetti, una forma di “rispecchiamento” della “ presa di coscienza”, da parte degli scrittori, della complessa e mutata realtà sociale e delle contraddizioni oggettive in essa indotte dai processi di accumulazione capitalistica e di industrializzazione propri del mondo borghese.
In effetti, il dibattito teorico sul romanzo nella seconda metà dell’800  si fa sempre più ampio e articolato, sia in Francia come in Italia, nella misura in cui, proprio in questi due paesi, come del resto poi in tutta Europa, tra gli anni ’60 e ’80 avvengono profonde trasformazioni economiche politiche e culturali, che impongono, anche nel campo artistico – letterario, una rifondazione del ruolo dell’intellettuale nella nostra società industrializzata e di massa, e una rimeditazione del rapporto arte-società.
La diffusione delle dottrine positivistiche del marxismo e del socialismo insieme con la maturazione politica della coscienza di classe del movimento operaio, mentre da un lato creano modi nuovi, e talvolta spregiudicati, di analizzare a fini conoscitivi la realtà, espressi peculiarmente nel rifiuto di ogni metafisica a favore di teorie che si limitano a scoprire le leggi e i vari fenomeni naturali e storici,  e a riconoscere, in codeste leggi,  l’unica verità dimostrabile; dall’altro, offrono agli scrittori nuove teoriche per un approccio più scientifico con la realtà storico-sociale, espresso nel rifiuto di ogni mitologia romantico-idealistica a favore di un’arte oggettiva e realistica.
A ragione scrive Sipala che il realismo della seconda metà dell’Ottocento è “ incardinato come movimento nella storia” e che “ la coerenza della sua elaborazione intellettuale e poetica ha fondamento nella coerenza stessa della sua ricerca del vero rivelato dalla scienza e definito/costruito dalla storia”
Sarà, dunque, la scienza ad offrire alla letteratura gli strumenti per la nuova indagine.
Ai postulati della Bellezza e della Verità ideali la nuova arte contrappone il nudo e crudo vero con la “v” minuscola; al soggettivismo, al dramma psicologico abbondantemente impiegati dal romanticismo in letteratura sino alle forme più languide ed estenuate del sentimentalismo edulcorato e lacrimoso, il nuovo scrittore-scienziato contrappone la serietà di un impegno sociale dell’arte intesa a prospettare e a realizzare un quadro organico del mondo fenomenico ispirato a criteri di oggettività, razionalità e sistematicità.
Il romanzo diventa una “forma d’inchiesta sociale”, un coraggioso atto di accusa e di denuncia delle piaghe e delle colpe, delle miserie e delle contraddizioni della civiltà borghese, “un documento umano”, storia dei costumi e dell’ambiente ricostruiti e analizzati secondo il metodo positivo proprio delle scienze fisiche e naturali. (1)
In tal senso, Balzac, Flaubert, De Goncourt segnano con i loro romanzi i precedenti più immediati del naturalismo e del romanzo “sperimentale” di Zola.
Balzac,  nella prefazione alla sua  Comédie Humaine, aveva già teorizzato che l’analisi sociale era il fine del romanzo,al posto della ricerca dei valori assoluti e astratti, e che il romanziere doveva farsi sociologo. La società umana andava studiata alla stessa stregua di un sistema naturale e con metodo “scientifico”. Zola, rincarando la dose, scriverà nella prefazione alla seconda edizione del romanzo Therése Raquin :” …il mio fine nel comporre il romanzo è stato soprattutto un fine scientifico…Ogni capitolo è lo studio di un curioso fatto fisiologico…Ho semplicemente fatto su due corpi  vivi il lavoro analitico dei chirurghi sui cadaveri”. E ancora : “…per il romanziere tutta l’operazione consiste nel prendere i fatti della natura, studiarne il meccanismo agendo su di essi attraverso modificazioni di circostanze e di luoghi, senza mai scostarsi dalle leggi della natura”( Le roman expérimentale).Ecco formulata la teoria del romanzo naturalista, del romanzo “sperimentale” le cui “pezze di appoggio” saranno le leggi darwiniane sull’evoluzionismo, gli studi sulla ereditarietà di Lucas, la fisiologia delle passioni di Letourman, l’introduzione alla medicina sperimentale di Bernard, la filosofia dell’arte di Taine, la sociologia di Comte (“ La circolazione sociale è identica a quella vitale”) e, infine, il socialismo : “Ogni volta ormai che intraprendo uno studio mi trovo di fronte il socialismo” ( Zola).
In altre parole, il metodo sperimentale porterà alla conoscenza scientifica dell’uomo nella sua azione individuale e sociale. In più, con Zola la battaglia per una letteratura “vera” e “sociale” coinciderà con la scoperta degli effetti ideologici e politici che la rappresentazione oggettiva comporta, con la convinzione cioè che solo avendo il coraggio di guardare in faccia la realtà è possibile svellere ,o comunque risanare, le piaghe sociali e raggiungere,così, uno stadio di reale progresso : “ Noi cerchiamo – scrive Zola – le cause del male sociale : facciamo l’anatomia delle classi e degli individui per spiegare i guasti che si producono nella società e nell’uomo. Questo ci obbliga spesso a lavorare su soggetti corrotti, a scendere in mezzo alle miserie e alle follie umane. Ma noi forniamo i documenti necessari perché si possa, conoscendoli, dominare il bene e il male. Ecco ciò che abbiamo visto, osservato e spiegato in tutta sincerità; ora spetta ai legislatori far nascere il bene e svilupparlo, lottare contro il male, per estirparlo e distruggerlo…La nostra virtù non è più nelle parole ma nei fatti” ( Roman expérimentale )
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La disposizione verso il popolo nel naturalismo, almeno con Zola, è cambiata, perché mutato appare l’atteggiamento ideologico degli intellettuali e degli artisti nei confronti delle classi oppresse.

  Scrive Fortini che “l’antagonismo cosciente di classe si era enormemente accresciuto nel trentennio che va dal ’48 alla fine degli anni ’70; e che, da parte della intellighenzia borghese avanzata, gli strumenti interpretativi erano mutati da strumenti volti a recuperare le somiglianze a strumenti volti a sottolineare le diversità. Le tecniche del naturalismo sono a un tempo la negazione del tardo romanticismo rivoluzionario( I miserabili) erede a sua volta della letteratura populista dell’età di Luigi Filippo, che cerca di rinfrescare l’antico patto fra borghesia repubblicano-giacobina e sanculotti; e sono l’affermazione di una possibile sintesi a un più alto livello, quello rappresentato dalla ideologia della scienza, ossia dall’incontro degli intellettuali radical socialisti e delle masse organizzate: la sintesi da cui nascerà – e di cui morirà – l’intellettuale militante della prima metà del XX secolo”.(2) Ciò significa, nel caso specifico di Zola,- incalza ancora Fortini - che i nodi di fato biologico e di determinazioni sociali entro cui sembrano costretti a muoversi i personaggi, siano essi borghesi o proletari, sono poi la molla che fa scattare la carica eversiva, la presa di coscienza del personaggio, che acquista una caratterizzazione ben precisa e, quindi, un “ruolo” e una funzione “ideologica”. A esemplificazione di ciò, basterebbe leggere  “Germinal”, che è una vigorosa testimonianza sulle reali condizioni di lavoro nelle miniere e una spietata denuncia contro gli egoismi padronali,ecc.ecc., oltre che un romanzo “psicologico”.


In che rapporto sta il verismo del Verga con il romanzo naturalista francese? Quali le affinità metodologiche e ideologiche con il realismo “scientifico”?
Diciamo subito che le ascendenze metodologiche del verismo verghiano ci riportano, prima ancora che a Zola, a Balzac e a Flaubert. Il discorso sulla ideologia comporterebbe  un altro tema a parte e, quindi, lo tralasciamo come un “caso” da studiare in altra sede.
Qui possiamo dire questo: per Verga l’incontro col naturalismo e la grande narrativa francese fu decisivo ai fini della maturazione delle sue istanze realistiche, nel senso che da questi autori derivò la unitarietà  di ispirazione per un intero ciclo di romanzi e la chiave per una rappresentazione vera e schietta della realtà “contemporanea”. Il piano dell’opera verghiana risponde alla aspirazione di una rappresentazione globale della società, e l’ottica che presiede alla organizzazione di questa totalità è modellata  sulla sociologia deterministica; la realtà è vista come un organismo naturale il cui motore è la lotta per l’esistenza che ne dirige il corso vitale. Lo stesso ordine della distribuzione narrativa del ciclo dei “Vinti” segue uno schema evoluzionistico, che dal basso sale verso l’alto.
Senonché, il concetto di romanzo come rappresentazione scientifica della realtà contemporanea corrisponde pienamente in Verga soprattutto  alla scoperta di un metodo con cui esprimere la propria virile e fatalistica accettazione della realtà storica, un metodo che era insieme punto di arrivo “sia ideologico che estetico di un lento processo di maturazione di antiche esigenze realistiche e di superamento di irrisolte vocazioni idealistiche”.(3) E’,  cioè, l’acquisizione di una teoria del romanzo grazie alla quale realizzare una conoscenza realmente scientifica della realtà, oggettiva nella misura in cui non appariva più legata alla sua ottica umanamente passionale( Si legga la lettera al Farina ) .
Allora, il canone della impersonalità come metodo da realizzare nella scrittura dell’opera d’arte, appare lezione mutuata più che dal naturalismo di Zola, dal realismo flaubertiano. Si ricordi quanto scrive Flaubert in una lettera a Louis Colet del 1852 a proposito della “impassibilità” dello scrittore:”..l’autore deve essere nella sua opera come Dio nell’universo: presente dovunque, non visibile in nessun luogo. Bisogna che in tutti gli atomi, in tutti gli aspetti dell’arte ( che è come una seconda natura) si senta l’impassibilità ascosa e infinita. L’effetto, per lo spettatore, deve essere quello di uno sbalordimento. Deve dire: “Come è stato fatto tutto ciò?” Deve sentirsi annichilito senza sapere il perché”.
E’ questa la formula estetica che fa propria il Verga nel momento in cui risolverà il problema della oggettività e con esso la questione dell’arte verista con la teorizzazione della impersonalità, eliminando così ogni intervento “estraneo”, costringendo la complessità oggettiva della materia e l’analisi soggettiva, se pur scientifica, dell’autore entro i limiti di una entità estetica autonoma, vivente di moto proprio.
Anche per Verga, come già per Flaubert, la mano dell’artista nella composizione dell’opera “doveva rimanere invisibile”, e l’opera d’arte doveva prendere “l’aria di un avvenimento reale, quasi si fosse fatta da sé e avesse maturato e fosse venuta fuori spontanea senza portare traccia della mente ove germogliò, né dell’occhio che la intravide, né delle labbra che ne mormorarono le prime parole”.
Scrive Spinazzola . “ …la poetica della impersonalità media e racchiude tutti i motivi di forza del naturalismo verghiano…Per Verga l’arte è essenzialmente una metodologia ; non forma ideologica di conoscenza, ma forma artistica di rappresentazione, “forma” il cui scopo supremo è quello di restituire l’uomo alla realtà e la realtà all’uomo”.(4)
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Note:
1) G. Debenedetti, Verga e il naturalismo, 
2) E.Zola, Germinale.Traduzione di C. Sbarbaro.Introduzione di F.Fortini- Oscar Mondatori,1976
3) Musitelli Paladini, Nascita di una poetica:il verismo. Ed. Palumbo.
4) Spinazzola, Verismo e positivismo. Ed. Garzanti.


Nuccio Palumbo
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