INTERVISTA. C’è
ancora un posto oggi
per la società dei poeti, oltre l’ornamento? A colloquio con il critico
e
scrittore Giovanni Casoli
Una specie di incantesimo materialista. «È come se noi
vivessimo in esso. Siamo convinti che è vero
solo ciò
che vediamo e tocchiamo. In questo modo abbiamo disimparato a vedere la
realtà».
Giovanni Casoli, critico letterario, ma soprattutto
poeta, autore di una singolare ed efficacissima raccolta di testi e
poesie dal
titolo emblematico, Sul fondamento poetico del mondo (editrice 'L’ora d’oro', Poschiavo), lo dice come se
fosse la cosa
più normale di questo mondo: «Alla mattina apro la finestra e vedo
l’arte,
un’opera d’arte. Sembra una cosa strana, ma per i pensatori antichi era
persino
un’ovvietà».
Anche
una santa contemporanea come Bakhita sosteneva di aver intuito
Dio, prima di conoscerlo, guardando il cielo stellato.
«Qualcosa di simile la troviamo in Pavel Florenskij,
teologo e scienziato russo, fucilato nel 1937 da Stalin, che lasciò
scritto ai
suoi figli: 'Quando vi sentite tristi guardate le stelle e l’azzurro
del
cielo'. Allo stesso modo la poetessa olandese Etty Hillesum, morta nel
1943 ad
Auschwitz,scriveva: 'Un solo spicchio di azzurro mi riempie di una
gratitudine
indicibile a Dio'».
È
la poesia che fa vivere?
«Ne ho la certezza. Proprio qualche giorno fa sono
andato a vedere, nel testo greco, il significato della terza parola
della
Bibbia: poieo. In italiano significa
creare e da
essa derivano anche i termini poema e poesia. Del resto per i Padri
della
Chiesa non c’era dubbio: Dio è l’autore del poema del mondo. Anche
Heidegger sosteneva
che al principio il linguaggio era poetico, mentre nei nostri tempi è
così
convenzionale che 'assomiglia a un canto svanito'».
Quindi
qual è il compito della poesia?
«C’è una frase del pittore svizzero Paul Klee secondo
la quale 'compito dell’arte non è riprodurre il visibile, ma rendere
visibile
l’invisibile'. Nei fatti, ciò che ci attira in un’opera d’arte non è
ciò che
vediamo materialmente. Mi viene in mente la Pietà Rondanini di
Michelangelo.
Per molti è un’opera incompiuta. In realtà mostra come un grande
artista sappia
esprimere l’invisibile attraverso il visibile. La Rondanini si addentra
nell’invisibile, usa il visibile come porta per entrare
nell’invisibile. È così
che si realizza il bello».
Quanto
è merito dell’artista e quanto del fruitore?
«Certamente l’opera d’arte diventa efficace quando
riesce a essere colta dal fruitore. Ecco che si svela il titolo del mio
libro. Sul
fondamento poetico del mondo
non è un complemento di argomento, ma di stato in
luogo.
Tutti noi siamo sul fondamento poetico del mondo. La
rivelazione dell’invisibile che viene dall’arte non riguarda solo
l’arte, ma il
mondo stesso. Il fondamento poetico del mondo è quell’indicibile,
quell’invisibile che attraverso l’arte diventa concreto e che, ancor
prima, si
offre col mondo e col suo autore, che è Dio... Ogni mattina apro le
finestre e
vedo un’opera d’arte. Se non ci riesci è perché sei vittima
dell’incantesimo
materialista, che ti ha fatto perdere la capacità di vedere la realtà
per
quello che è».
È
per questo che internet e i social network hanno tanto successo?
«Certo. Sebbene internet sia uno strumento mirabile di
comunicazione, troppo spesso diventa un terribile alibi per non vivere,
per
ingannarsi, per non vedere la realtà».
La
capacità di incanto conduce a Dio, il disincanto al diavolo?
«In un certo senso sì. Teologicamente il diavolo è
colui che non ha accettato Dio, la verità, ma si è superbamente chiuso
nel
proprio limite rifiutando l’arte creativa del suo Creatore. In questo
senso il
rifiuto della poesia è il rifiuto di Dio. Dio crea il mondo sempre, in
continuità, anche se nella nostra superbia non ce ne accorgiamo.
Ma se non ritorneremo come bambini...».
Senza
poesia non si è uomini liberi?
«La vera poesia non è un ornamento, un abbellimento
delle parole. La poesia è il fondamento delle cose, la cui sostanza è
nel loro
uscire continuamente dalla sorgente che le crea. Il poeta è un
collaboratore di
Dio. Si mette dalla sua parte, anche se si ritiene ateo».
Quindi
la poesia esiste a prescindere dall’uomo?
«Certo che sì».
Ma
senza l’uomo non avrebbe alcun senso.
«Perché l’uomo è la coscienza dell’universo, la ragione
del creato».
Il
Creatore ha fatto il mondo per noi.
«Per questo motivo è falso lo scientismo che sostiene
che il mondo è stato fatto a prescindere dall’uomo. È radicalmente
falso».
«Mi
meraviglio degli uomini che non sono assorti in Dio». Lo dice in
una sua poesia.
«Chi guarda le cose e si pone domande non può che
restare assorto in Dio. Tutta la Bibbia è uno sguardo rivolto
contemporaneamente al creato e al suo Creatore».
Nelle
sue poesie ricorrono i concetti di morte, dolore, giudizio,
paradiso, inferno... La poesia è nei «novissimi»?
«Lo è in modo acuto e definitivo.
Riflettere sulle cose apre alle realtà ultime, che sono
esito e fine della vita. La poesia non può non partecipare a questo».
Viene
da scrivere Poesia con la maiuscola.
«Io la intendo così. La vera poesia è creazione. Una
poesia vera non ci lascia mai come prima».
Lei
dice che sentire poeticamente è doloroso.
«Rispetto alle comode abitudini è come un forcipe: ci
tira fuori. E nascere è doloroso».
Tornando
alla Bibbia: vengono in mente il dolore e la rinascita di
Giobbe.
«In quel libro si può trovare l’esatta comprensione
poetica del mondo. Dopo essere stato premiato con nuove ricchezze per
la sua
fedeltà nel dolore, Giobbe si rivolge a Dio con una frase illuminante:
'Prima
ti conoscevo solo per sentito dire, adesso ti ho visto'. Non che lo
abbia visto
fisicamente, ma è finalmente diventato capace di vederlo là dove prima
non lo
vedeva: nelle sue opere».
di ROBERTO I. ZANINI (AVVENIRE)