Formazione permanente per i docenti: aggiornamenti e produzione di ricerche e studi
Data: Martedì, 18 gennaio 2011 ore 07:25:07 CET
Argomento: Redazione


La scuola è per la vita; questo si dovrebbe dire in continuazione ai nostri alunni. Purtroppo, però, a volte si dimentica che la scuola dovrebbe essere per la vita … anche per i docenti.
Dal trattato di Maastricht dei primi anni Novanta alla Strategia di Lisbona del 2001 non si è fatto altro che giustamente ribadire l’importanza di una educazione che miri a migliorare la sostanziale qualità della vita; un’educazione, quindi, che sia permanente, per evitare fenomeni come l’analfabetismo di ritorno, l’abbandono scolastico e tutte quelle problematiche legate ad un livello d’istruzione e di formazione che non coglie pienamente tutte le potenzialità della persona.
Tutti i docenti , crediamo, siano d’accordo nel porre l’accento sull’importanza del Long life learning, ma quanti , onestamente, si sono mai posti il problema che per trasmettere un habitus mentale, un’abitudine di vita, perché tale deve essere un processo di apprendimento che duri per tutta la vita, bisogna in primo luogo possederlo integralmente.
E dunque perchè mai si pensa alla formazione dei docenti, una tantum, al momento  dell’ assunzione, dando poi per assodata e conclusa la loro formazione e con essa, purtroppo, anche ogni ulteriore prospettiva di sapere e di conoscenze formative  in fieri?
Considerato che su questo sito si è aperto un dibattito per proporre e sdoganare anche per gli italiani il modello tedesco di eleggibilità dei presidi, per par condicio, vorremmo proporre l’altrettanto pragmatico modello inglese del docente che se vuole restare tale … deve produrre,e non solo insegnamento in classe, ma ricerca e studio sulle metodologie didattiche, sulle aree disciplinari di cui è competente e tutto il resto. Non si capisce infatti perché il campo della ricerca , anche su ciò che è peculiare del lavoro del docente, la didattica, e con essa correlati anche la pedagogia, la psicologia e quant’altro, debba restare di competenza dei docenti universitari e non  dei singoli docenti della scuola primaria e secondaria, soggetti dell’insegnamento.
Crediamo che prima di chiedere e richiedere ogni forma di giusta  e sacrosanta  rivalutazione economica  e sociale del proprio ruolo, è assolutamente necessario che ogni docente riguadagni in concreto la prospettiva  di essere al centro del proprio lavoro;  non solo come fruitore come si è fatto finora, ma anche  nella prospettiva innovativa di ideatore e ricercatore.
In Gran Bretagna vale infatti il detto “ pubblic or perish” ( o pubblichi o sei finito) e nessun docente rimane per molto a tempo indeterminato se non si adegua a questa regola.
In Italia, la produzione a cui è tenuto il docente è spesso solo di carattere compilativo; anche gli stessi Piani per l’offerta formativa spesso ricalcano schemi stereotipati, laddove ogni affermazione, ogni proposta educativa dovrebbe essere commentata, dovrebbe servire da spunto per approfondimenti, ricerche, studi e resoconti personalizzati di questi studi con lavori  e  scritti individuali, originali e diversi di anno in anno e diversi perché nascono da esperienze diverse.
Si potrà obiettare che  lo scrivere può portare solo ad una mera condizione teorica  della docenza.
Rispondiamo che  lo scrivere, legato sempre alla prassi del lavoro in classe, quando non è stereotipato, ovvero una pura “copiatura” delle idee altrui solo per scrivere qualche breve relazionetta “di forma”, ovvero quando comporta delle riflessioni proprie e maturate dalla ricerca metodologia e dalla comparazione tra differenti metodologie, è la forma più proficua di realizzazione dei saperi; la parola scritta, infatti, è pensiero e nessun pensiero può mai esistere se non lo si riesce ad esprimere. Promuovere il pensiero, e il pensiero soprattutto scritto, è la forma  eccellente per indirizzare un ruolo che sembra essersi logorato in un auto vittimismo autoreferenziale, una sorta di auto compatimento da vicolo cieco, ad un punto morto e senza una  concreta volontà di riscatto.
Un’educazione permanente dei docenti che non si esaurisca in pochi corsi di aggiornamento che stimolano poco a diventare “autori” della propria ricerca metodologica; insomma non veramente attivi ma quasi sempre soggetti passivi di una comunicazione  data loro quasi per grazia ricevuta, come una sorta di “travaso” di conoscenze e nozioni che poco dopo vengono del tutto smarrite.
Soltanto in questa soluzione vediamo un orizzonte nuovo e di vero riscatto per il ruolo docente.
Chi dipende dalle idee altrui dovrà sempre accodarsi al loro “ipse dixit”, chi comincia a lavorare invece da “autore”, da produttore del suo stesso lavoro, diventa autonomo e , alla lunga, può avere anche la forza di richiedere con autorevolezza.
 E siccome del modello anglosassone amiamo soprattutto il concetto del “self made man”, crediamo sia sempre più utile per se stessi e per gli altri, lavorare in questo senso invece che perdere tempo e preziose energie a colpevolizzare, inveire o fare la cernita dei vizi e dei difetti altrui; del governo, dei politici, dei corrotti…. I corrotti ci sono sempre stati, non si è mai vissuti nel migliore  dei mondi possibili, nemmeno gli antichi Greci o Romani vivevano in un paradiso di virtù, nemmeno per loro c’è mai stato il mondo ideale, il migliore dei mondi possibili. E invece di perdere inutile tempo a trovarlo dovremmo piuttosto chiederci in modo molto pratico e concreto: e noi cosa pensiamo di fare per noi stessi?
La scuola è per la vita; anche per i docenti.

Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it







Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-239055.html