Omaggio alla satira e all’ironia: ridendo fustigare i costumi e scherzando dire grandi verità.
Data: Venerdì, 07 gennaio 2011 ore 08:56:35 CET
Argomento: Redazione


Per quanto si vada a ritroso nel tempo , il gusto per l'ironia è sempre stato insito nella natura umana. Il termine greco di "eironèia" ( simulazione-dissimulazione) ha sempre indicato, all'interno della tragedia, il suo imminente disvelarsi attraverso le parole di un ignaro ed inconsapevole personaggio.
 Ed acquistò valenza educativa e formativa con Socrate, cosa infatti è più argutamente ironico e stimolante del saper di non sapere?
E cosa dire di quell'altra grandiosa arte di meditare sui propri e universali difetti che è la satira? E quale opera è più moderna e gradevole nel fustigare in costumi che da sempre connotano gli esseri umani come il Satyricon di Petronio Arbitro?
Noi esseri umani,infatti,abbiamo sempre pensato ,in quanto esseri coscienti od onirici, predatori, enigmi sfingei, storici equivoci e colossali iperbole  del paradosso -uomo   di trasformare noi stessi attraverso anche il grottesco ed il paradossale.
Quanti scandalosi scambi d'identità possiamo realizzare con il riso come con  la perseveranza del buon ricercatore di vaccini e medicine, con la pervicacia dell'inventore o con la freddezza dell'economista? Con paziente matematico calcolo o con lo slancio pazzo di un attimo di estro improvviso quanti attendono a questa salvifica trasformazione dell'Io?
Quanti Io e Tu possiamo invertire d'istinto o smarrirci assolutamente come maree? E quanti Noi? Voi? Essi?
Ah... bellissimo l'espediente letterario di Groddeck nello "Scrutatore di anime",lì, il protagonista anfitrionescamente scambia il suo ruolo non con altri... ma con se stesso, ovvero con il suo Es, con il fauno libertino sopito in noi, il borghese signor Muller che si trasforma nel suo esatto contrario, il trickster ( burlone) Thomas Weltlein. L'incipit di tale rivoluzione copernicana , di questa paradossale apologia dell'apocatastasi dell'Io avviene durante la snervante lotta notturna contro un esercito di cimici che  presidiavano il suo giaciglio. ma, nell'angosciosa battaglia notturna, tra un nimbo di insetti inferociti, l'eroico signor Muller  contrae la scarlattina e giace dunque esanime, apparentemente sconfitto, delirante, febbricitante... ma alla fine  della sua malattia egli si accorge che la battaglia è vinta giacchè le cimici hanno contratto la scarlattina e sono dunque sterminate pure loro. Non solo, Muller stesso è morto per sempre, ovvero si è trasformato per sempre in Wetslein. E la trasformazione è irreversibile, definitiva, escatologica!
 Quante cimici dovranno pungerci perchè noi finalmente ci disponiamo ad abdicare al nostro vero Sè ed emendare ( purificare, togliere) i nostri vizi e difetti attraverso chi ce li fa anche burlescamente notare?
Mi chiedo... quanto incalcolabile tempo  dedichiamo invano a disinfestare, de-rattizzare, anestetizzare piuttosto che a pensare che piuttosto questi piccoli fastidiosi e buontemponi insetti potrebbero essere i nostri migliori alleati nella mutazione genetica che ci attende,nella trasformazione larvale da baco a farfalla? Invece che offenderci se tali queruli insetti per un attimo rivestono i nostri panni e la nostra stessa identità o stuzzicandoci ci inducono a cambiare... dovremmo essere loro grati eccome!
Sfuggendo da noi stessi, dall'alveo di una malcelata identità sociale, sempre accettata tacitamente dagli altri, ma alla fine  persino mortalmente noiosa
 ed insana persino al nostro più profondo Progetto dell'IO, ci allontaniamo per un frangente  dall'infausta nausea di essere sempre noi stessi, dalla funerea noia di osservarsi sempre uguali e mai diversi, stantii... sempre servilmente pronti a dover salvare l'apparenza e con l'unico soldino che ognuno riceve in credito alla nascita, quali novelli gatti con gli stivali, comperarci dei bei stivaloni, un vestito elegante e magari un cappello piumato da moschettiere con i quali comparire alla corte del re!
E con tutto ciò, noi, furbastri conoscitori del mondo, rinunciando però al vero Progetto dell'Io, ci attacchiamo ostinatamente a quello che altri,il mondo, il capo, la moglie, il ruolo... hanno decretato per noi!
Ma che siano benedette le fastidiose cimici,allora!
Se esse possiedono il dono magico di farci obliare un momento della nostra identità , confonderci con improbabili sosia, con intrallazzatori d'ogni risma, con gli smemorati cronici....o con ogni sorta di farsesco personaggio.
Benchè il tarlo di essere sconosciuti a noi stessi, quello, talvolta assillante ma in pochi e rari momenti di lucidità,ma pressocchè sempre ignorato, escluso, ricacciato fuori dalla nostra mente,inascoltato, indesiderato,inaccettabile... benchè quel tarlo, dicevo, è di troppa rara specie per essere ospitato nella maggior parte dei cerebri mortali.
E così, poniamo, se in nostro aiuto vengono questi poveri insettucci o immonda malattia che ci cancella per un po' i connotati ferini ed obsoleti del nostro volto col suo esantema da vivido affresco palatino, se essi, vengono alfine in nostro aiuto, in aiuto del vero progetto del Sè,generosi e fecondi, con la follia di ricami e pruriginosi sfoghi, invece che gridare allo scandalo ed all'offesa, dovremmo esserne grati, eccome!
Che qualcuno, un misero esserino, ma così magnanimo e nobile per pochi frangenti si metta nei nostri sozzi panni  da vittima perpetua della convenienza-connivenza sociale,del borghesismo, dell'obnubilimento asfittico del nostro Essere,che qualcuno ci faccia, una tantum, nella vita il grande dono di scambiare il nostro ruolo di caparbia sfericità impiegatizia con quello romanzesco di una collezionista di suppellettili comiche o di ardito esploratore di terre cimmerie.... bisognerebbe corrergli incontro e chiamarlo amico e benefattore!
Che questo qualcuno, ridendo, fustiga i propri ed altrui vizi e difetti, dovrebbe essere considerato un gran beneficio,una boccata d'ossigeno puro che riattivi i nostri neuroni asfittici, un alito di frescura da pineta branderburghese, l'occasione imperdibile della nostra vita di scrutare a fondo la nostra anima, di vederci allo specchio per quel che siamo e per quel che dovremmo essere.
 Nelle risibili o invereconde reazioni altrui all'impareggiabile satira ed all'ironia possiamo solo riconoscerci come lo zero coupon di noi stessi, senza alcuna speranza di investimento positivo, che sia simpatia o amicizia, nelle molte anime circondarie della casa circondariale in cui abbiamo rinchiuso tristemente la nostra anima.Tale fausto evento, l'analisi di se stessi,il rispecchiamento  o meno in archetipi umani, per un qualsivoglia imprevisto accidente  è un ricambio di sangue, la ri-capitalizzazione di cedole scadute e fuori corso,l'apertura ai pubblici avvoltoi sociali del fondo chiuso di noi stessi, altro che arrabbiare od inveire! Un parto del genere è degno solo dei migliori capocomici, quelli che tengono testa alla vita e non si fanno da essa, invece, irridere.
E per finire questo  omaggio al gusto del ridere e dell'ironia, ecco a voi una chicca, una vera e propria "lectio magistralis", a riprova che anche i Giudici non sono affatto quegli esseri grigi e compassati che spesso si crede:
« La satira è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene": Prima sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 9246/2006


Tecla Squillaci
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