Si scrive salva-precari; si legge ammazza-precari
Data: Giovedì, 06 gennaio 2011 ore 16:00:00 CET
Argomento: Opinioni


Dopo anni di studi duri e appassionanti, 3 lustri di precariato, pendolarismo, spese, sacrifici e “tappabuchismo”, il precario appare più malinconico di un vagone abbandonato, avendo perso il lavoro, l’autonomia economica e l’identità professionale.
Improvvisamente, come la vedetta di un’antica nave che grida a squarciagola “Terra!”, arriva lo squillo del destino. E’ una fantastica maternità: cattedra piena, su 2 scuole, vicino casa.
Le stelle che, in quel momento, passano sul cielo siciliano possono vedere dall’alto un uomo felice.
Si riparte: gli occhi brillano come la punta di un sigaro acceso, le strade appaiono sentieri d’oro, tutto trasuda senso e valore. 
Trattandosi di classi superaffollate, la sfida educativa si presenta tanto ardua quanto entusiasmante. Alcuni dormono russando un mambo, altri camminano sui muri; tutti, se esistesse la materia animazione, avrebbero 10 e lode.
Dopo 3 mesi, tappa dopo tappa, a fatica ma progressivamente, il domatore di studenti comincia ad incassare speciali dividendi. Siamo diventati qualcosa che assomiglia molto ad una classe, abbiamo tutti un nome, un certo livello di autostima e cominciamo ad individuare e valorizzare i nostri piccoli talenti nascosti. Persino il precario.
In questo contesto, arriva Babbo Natale e porta il decreto salva precari. Alla luce dell’esperienza acquisita, guardiamo ad esso con angosciosa aspettativa, come alla pentola della cucina di una strega. Quel nome, poi, suggerisce tutte le forme di scongiuro, anche le più sconce.
Viene istituito un elenco prioritario di aspiranti che scavalca la graduatoria classica fondata su titoli e curriculum. E’ una clamorosa ingiustizia. Non si possono stravolgere le regole in corso d’opera. Il cambiamento può riguardare il futuro, non il passato, perché l’anno scorso i docenti hanno preso decisioni sulla base delle norme che c’erano senza potere prevedere come sarebbero mutate.
Tuttavia, la principale sfida al buon senso sta nel criterio di selezione dei “sommersi” e dei “salvati”. Priorità assoluta per tutti coloro i quali, nell’anno scolastico 2008-2009, hanno insegnato per 180 giorni consecutivi in un’unica scuola; gli altri possono appendere il registro al chiodo.
E se 2 docenti, con gli stessi titoli e lo stesso numero di anni di servizio, hanno svolto entrambi 180 giorni di insegnamento ma il primo in una scuola e l’altro in due? Uno sarà promosso e l’altro dovrà cambiare mestiere.
Si parla tanto di meritocrazia ma, in questo modo, l’unica cosa che conta davvero è il caso.
La strada maestra per ritrovare equità e merito è una sola: estendere la platea dei beneficiari a chi ha maturato 180 giorni di servizio, anche con più contratti.
Dal momento che il precario ha perso il posto in graduatoria, la cattedra deve passare “all’avente diritto”, calpestando il sacrosanto principio della continuità didattica.
Non riesco a dirlo né a me stesso né ai miei studenti. I ragazzi ci guardano. In una regione dove lo Stato è ospite, gioca in trasferta, le mie lezioni non sono più credibili. I governi non aprono le porte del futuro, lo rapinano.
La scuola A non ha i soldi per chiamare un nuovo supplente e preferisce aspettare il ritorno della titolare. Risultato: 2 mesi senza fare lezione (vacanze di Natale incluse).
La scuola B divide le ore residue a 2 colleghi. Misteriosamente, dopo un po’ i prof spariscono e ne arrivano altri 2. Dopo un paio di mesi arriva la titolare. Risultato: 4 docenti in un anno.
Virgilio parla di lacrimae rerum: c’è un grido che sale dalle cose usate male.

Guglielmo La Cognata
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