Il linguaggio come strumento di conoscenza e di cambiamento.
Data: Mercoledì, 05 gennaio 2011 ore 23:30:15 CET
Argomento: Redazione


“ Il parlare umano è una specie, un modo d’agire” diceva K. Buhler e nella sua essenziale semplicità forse poche altre definizioni del linguaggio si adattano meglio alla comprensione di quell’attività specifica che è il comunicare e che si pone alla base di ogni altro approccio alla conoscenza.
Nella comunicazione possiamo riconoscere soprattutto due aspetti: il contenuto e la forma del contenuto.
Il contenuto è il significato logico della parola, la sua coerenza interna al testo scritto ed orale ma anche l’adesione alla “volontà” soggettiva dell’espressione.
Infatti, nell’ambito delle convenzioni linguistiche, la grammatica, c’è sempre, e così deve essere, l’intenzionalità della comunicazione che non può essere ridotta a riduttivi schematismi.
Spesso, a scuola, nello studiare la comunicazione si fa riferimento a concetti che però risultano svuotati dalla loro vera funzione.

Si parla infatti di emittente, ricevente, referente del messaggio, codice linguistico… ma nella mente degli alunni spesso rimangono formule astratte, da sapere e conoscere, riconoscere al massimo, ma raramente viene fatto loro notare quanto esse rientrino nel modo proprio d’agire dell’individuo, quanto, cioè , il linguaggio è azione propria e completa ed intenzionalità.

Infatti, non esiste ascolto senza che vi sia l’intenzione di comprendere. Come non esiste il credere senza  la volontà di credere in qualcosa, o lo sperare senza un obiettivo da raggiungere.

In buona sostanza, conoscere un concetto linguistico è una cosa, ma riscoprirvi in esso il rapporto tra linguaggio e pensiero è il vero obiettivo dell’insegnamento di ogni lingua.

A scuola, purtroppo, molti docenti, invece, continuano ad insegnare una grammatica prescrittiva e normativa ma accantonano quasi del tutto l’analisi generativista della lingua, dimezzando così fortemente l’aspetto di creazione-produzione continua del linguaggio. Il linguaggio è il cardine principale, il continuum tra presente, passato e futuro. Ogni forma di conoscenza, scientifica o tecnologica che sia, passa sempre attraverso questa dimensione generativa della lingua a cui si riferisce e , senza la quale, non esiste proprio l’attività, ovvero la funzione di qualcosa di vivo e in perenne evoluzione. Se il corpus delle norme grammaticali viene presentato come un insieme finito di parole, denominazioni, invece, si perde il punto di vista della realtà storica della lingua ed il proprio vissuto personale nell’ambito di un preciso contesto sociale.

 Ciò spesso determina quel disamore dei giovani verso lo studio della grammatica. Per questo motivo Noam Chomski parlava di una grammatica trasformazionale, in grado di cogliere, produrre e capire, non solo un “mondo definito e preconfezionato” di termini, di idiomi, bensì un universo aperto e virtualmente infinito di frasi, parole, contesti linguistici. Quest’ultimo non si può limitare a definizioni che tengono conto soltanto di un livello di rappresentazione univoca.. Non è possibile sacrificare la struttura profonda e semantica della comunicazione, non tener conto di quella pecularietà dell’individuo che è, appunto, l’intenzionalità

 

  Se per metafora, prendiamo un esempio dalla fisica, metafora didattica ma ben calzante per ogni contenuto, cioè il Terzo principio della dinamica,ovvero, ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, ovvero che le  reciproche azioni fra due corpi sono sempre uguali e dirette in senso contrario, si delinea una prospettiva metalinguistica, in cui l’apprendimento sia dell’ortoepia che dell’ortografia che  di quel meraviglioso “ordine cosmico” dell’universo-linguaggio, la geometria della parola, che è la sintassi, hanno una diretta azione sulla formazione e con-formazione del pensiero; lo regolano, lo educano e lo accrescono.

 

 E se per estensione  di metafora prendiamo un altro esempio desunto sempre dalla fisica, cioè  quella convenzione chiamata  la  regola della mano sinistra di Fleming,  che mostra la direzione della spinta ,cioè la forza di reazione scambiata tra due corpi, su un conduttore che porta una corrente in un campo magnetico, in cui vengono rappresentate la spinta, il moto, la corrente, possiamo immaginare lo studio di una lingua,  la spinta  , cioè la sinergia data dalla comparazione tra il linguaggio usato e conosciuto e il suo arricchimento  a spirale ( secondo il modello strutturalista bruneriano), mentre  il moto e la corrente  invece  possiamo immaginare come tutte le connessioni tra aspetto semantico e idea che confluiscono in quel campo magnetico che è la mente ( che non è una scatola vuota e nemmeno un deposito per vaghe nozioni) ma che è fondamentalmente una “forza viva”, appunto per questo la dignità metaforica di definirla “campo magnetico” e non solo da un punto di vista meramente fisiologico, come del resto affermano anche le neuroscienze.

L’intenzionalità del comunicare è molteplice, non ha solo uno scopo informativo! Se così fosse, per esempio, a cosa servirebbe altrimenti il linguaggio poetico?

Se consideriamo la famosissima analisi di Heidegger  del linguaggio poetico( in particolare Heidegger si riferiva alla poesia di Holderlin e non a caso scelse proprio quest’autore…. ma ne parleremo in altro momento…) si comprende benissimo come lo scopo del linguaggio, non  è un semplice strumento di comunicazione con i suoi annessi ma qualcosa di molto di più e cioè uno strumento complesso, non definitivamente  stabilito, composto da norme variabili nel tempo, contraddistinto da una natura generativa ed una finalità progressiva sia di tipo informativo che formativo. Ed è un generatore di energia, di quella forma particolare ed inimitabile di energia che è il pensiero ( pensiero e parola sono infatti strettamente connessi tanto da non poter distinguere un incipit tra essi).

Se la lingua è espressione di pensiero e quindi dell’esistenza, non mera capacità informativa, se la parola è prova del pensiero che produce cambiamenti nel mondo, se essa non può essere relegata ad una condizione atomistica ed isolata della vita o dell’insegnamento, ne deriva che sia possibile, anzi auspicabile  recuperare tutte quelle forme espressive a partire dal linguaggio poetico che resterebbero tagliate fuori da una metodologia didattica molto limitata, anaerobica, attinente ancora alla sola sfera informativa della lingua , come , purtroppo, si continua a fare spesso nelle scuole.

Il pensiero produce cambiamenti nel mondo; da questa affermazione, che sia sempre verificabile in itinere, deve avere inizio lo studio di ogni lingua.



Tecla Squillaci
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