Il testo del messaggio augurale del presidente Napolitano
Data: Sabato, 01 gennaio 2011 ore 10:48:08 CET Argomento: Redazione
Buona
sera e Buon Anno a voi tutti, italiane e italiani di ogni generazione.
Non vi stupirete, credo, se dedico questo messaggio soprattutto ai più
giovani tra noi, che vedono avvicinarsi il tempo delle scelte e cercano
un'occupazione, cercano una strada. Dedico loro questo messaggio,
perché i problemi che essi sentono e si pongono per il futuro sono gli
stessi che si pongono per il futuro dell'Italia.
Incontrando di recente, per gli auguri natalizi, i rappresentanti del
Parlamento e del governo, delle istituzioni e dei corpi dello Stato, ho
espresso la mia preoccupazione per il malessere diffuso tra i giovani e
per un distacco ormai allarmante tra la politica, tra le stesse
istituzioni democratiche e la società, le forze sociali, in modo
particolare le giovani generazioni.
Ma non intendo tornare questa sera su tutti i temi di quell'incontro.
Ribadisco solo l'esigenza di uno spirito di condivisione - da parte
delle forze politiche e sociali - delle sfide che l'Italia è chiamata
ad affrontare; e l'esigenza di un salto di qualità della politica,
essendone in giuoco la dignità, la moralità, la capacità di offrire un
riferimento e una guida.
Ma a questo riguardo voi che mi ascoltate non siete semplici
spettatori, perché la politica siete anche voi, in quanto potete
animarla e rinnovarla con le vostre sollecitazioni e i vostri
comportamenti, partendo dalle situazioni che concretamente vivete, dai
problemi che vi premono.
Siamo stati anche nel corso di quest'anno 2010 dominati dalle
condizioni di persistente crisi e incertezza dell'economia e del
tessuto sociale, e ormai da qualche tempo si è diffusa l'ansia del non
poterci più aspettare - nella parte del mondo in cui viviamo - un
ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come
nel passato. Ma non possiamo farci paralizzare da quest'ansia : non
potete farvene paralizzare voi giovani. Dobbiamo saper guardare in
positivo al mondo com'è cambiato, e all'impegno, allo sforzo che ci
richiede. Che esso richiede specificamente e in modo più pressante a
noi italiani, ma non solo a noi: all'Europa, agli Stati Uniti. Se il
sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del
passato, è per noi occidentali non più perseguibile, ciò non significa
che si debba rinunciare al desiderio e alla speranza di nuovi e più
degni traguardi da raggiungere nel mondo segnato dalla globalizzazione.
E innanzitutto è conquista anche nostra, è conquista della nostra
comune umanità il rinascere di antiche civiltà, il travolgente sviluppo
di economie emergenti, in Asia, in America Latina, in altre regioni -
anche in Africa ci si è messi in cammino - rimaste a lungo ai margini
della modernizzazione. E' conquista della nostra comune umanità il
sollevarsi dall'arretratezza, dalla povertà, dalla fame di centinaia di
milioni di uomini e donne nel primo decennio di questo nuovo millennio.
Paesi e popoli con i quali condividere lo slancio verso un mondo
globale più giusto, più comprensivo dell'apporto di tutti, più
riconciliato nella pace e in uno sviluppo davvero sostenibile.
sollevarsi dall'arretratezza, dalla povertà, dalla fame di centinaia di
milioni di uomini e donne nel primo decennio di questo nuovo millennio.
Paesi e popoli con i quali condividere lo slancio verso un mondo
globale più giusto, più comprensivo dell'apporto di tutti, più
riconciliato nella pace e in uno sviluppo davvero sostenibile.
E' in effetti possibile un impegno comune senza precedenti per
fronteggiare le sfide e cogliere le opportunità di questo grande
tornante storico. Siamo tutti chiamati a far fronte ancora alla sfida
della pace, sempre messa a dura prova da persistenti e ricorrenti
conflitti e da cieche trame terroristiche : della pace e della
sicurezza collettiva, che esigono tra l'altro una nuova assunzione di
responsabilità nella Comunità Internazionale da parte delle grandi
potenze emergenti. Siamo chiamati a cogliere le opportunità di un
processo di globalizzazione tuttora ambiguo nelle sue ricadute sul
terreno dei diritti democratici e delle diversità culturali, ed
estremamente impegnativo per continenti e paesi - l'Europa, l'Italia -
che tendono a perdere terreno nell'intensità e qualità dello sviluppo.
Ecco, da questo scenario non possono prescindere i giovani nel porsi
domande sul futuro.
Non possono porsele senza associare strettamente il discorso
sull'Italia e quello sull'Europa, senza ragionare da italiani e da
europei. Molto dipenderà infatti per noi dalla capacità dell'Europa di
agire davvero come Unione: Unione di Stati e di popoli, ricca della sua
pluralità, e forte di istituzioni che sempre meglio le consentano di
agire all'unisono, di integrarsi più decisamente. Solo così si potrà
non solo superare l'attacco all'Euro e una insidiosa crisi finanziaria
nell'Eurozona, ma aprire una nuova prospettiva di sviluppo
dell'economia e dell'occupazione nel nostro continente, ed evitare il
rischio della sua irrilevanza o marginalità in un mondo globale che
cresca lontano da noi. Sono convinto che questa sia una verità
destinata a farsi strada anche in quei paesi europei in cui può
serpeggiare l'illusione del fare da soli, l'illusione
dell'autosufficienza.
Pensare con positivo realismo in termini europei equivale a non
illuderci, in Italia, di poter sfuggire agli imperativi sia della
sostenibilità della finanza pubblica sia della produttività e
competitività dell'economia e più in generale del sistema-paese.
D'altronde, sono convinto che quando i giovani denunciano un vuoto e
sollecitano risposte sanno bene di non poter chiedere un futuro di
certezze, magari garantite dallo Stato, ma di aver piuttosto diritto a
un futuro di possibilità reali, di opportunità cui accedere
nell'eguaglianza dei punti di partenza secondo lo spirito della nostra
Costituzione.
Nelle condizioni dell'Europa e del mondo di oggi e di domani, non si
danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove
generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di
superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, ho detto, si può
aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del
trascinarsi o dell'aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso
non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza
macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale.Trovare la via
per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni ; e quindi
sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica
corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle
imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe
essere l'oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra
le forze politiche e sociali, fuori dall'abituale frastuono e da ogni
calcolo tattico. morale.Trovare la via per abbattere il debito pubblico
accumulato nei decenni ; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i
capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il
dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia
assestare. Questo dovrebbe essere l'oggetto di un confronto serio,
costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori
dall'abituale frastuono e da ogni calcolo tattico. Ma affrontare il
problema della riduzione del debito pubblico e della spesa corrente,
così come mettere mano a una profonda riforma fiscale, vuol dire
compiere scelte significative anche se difficili. Si debbono o no, ad
esempio, fare salve risorse adeguate, a partire dai prossimi anni, per
la cultura, per la ricerca e la formazione, per l'Università? Che
questa scelta sia da fare, lo ha detto il Senato accogliendo espliciti
ordini del giorno in tal senso prima di approvare la legge di riforma
universitaria. Una legge il cui processo attuativo - colgo l'occasione
per dirlo a coloro che l'hanno contestata - consentirà ulteriori
confronti in vista di più condivise soluzioni specifiche, e potrà
essere integrato da nuove decisioni come quelle auspicate dallo stesso
Senato.
Occorre in generale individuare priorità che siano riferibili a quella
strategia di più sostenuta crescita economico-sociale che per l'Italia
è divenuta - dopo un decennio di crescita bassa e squilibrata -
condizione tassativa per combattere il rischio del declino anche
all'interno dell'Unione Europea. Vorrei fosse chiaro che sto ragionando
sul da farsi nei prossimi anni ; giudizi sulle politiche di governo non
competono al Capo dello Stato, ma appartengono alle sedi istituzionali
di confronto tra maggioranza e opposizione, in primo luogo al
Parlamento. E vorrei fosse chiaro che parlo di una strategia, e parlo
di priorità, da far valere non solo attraverso l'azione diretta dello
Stato e di tutti i poteri pubblici, ma anche attraverso la
sollecitazione di comportamenti corrispondenti da parte dei soggetti
privati. Abbiamo, così, bisogno non solo di più investimenti pubblici
nella ricerca, ma di una crescente disponibilità delle imprese a
investire nella ricerca e nell'innovazione. Passa anche di qui
l'indispensabile elevamento della produttività del lavoro : tema, oggi,
di un difficile confronto - che mi auguro evolva in modo costruttivo -
in materia di relazioni industriali e organizzazione del lavoro.
Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la
competitività del sistemapaese, comporta per l'Italia il superamento di
molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti
nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio
politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di
posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di
disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato
la bassa crescita economica almeno nell'ultimo decennio.
Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza.
Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con
più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto
l'urto della crisi globale scoppiata nel 2008.
Gli ultimi dati ci dicono che le persone in cerca di occupazione sono
tornate a superare i due milioni, di cui quasi uno nel Mezzogiorno ; e
che il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 anni e i 24
- ecco di nuovo il discorso sui giovani, nel suo aspetto più drammatico
- ha raggiunto il 24,7 per cento nel paese, il 35,2 nel Mezzogiorno e
ancor più disoccupazione, sotto l'urto della crisi globale scoppiata
nel 2008.
Gli ultimi dati ci dicono che le persone in cerca di occupazione sono
tornate a superare i due milioni, di cui quasi uno nel Mezzogiorno ; e
che il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 anni e i 24
- ecco di nuovo il discorso sui giovani, nel suo aspetto più drammatico
- ha raggiunto il 24,7 per cento nel paese, il 35,2 nel Mezzogiorno e
ancor più tra le giovani donne. Sono dati che debbono diventare
l'assillo comune della Nazione. Se non apriamo a questi ragazzi nuove
possibilità di occupazione e di vita dignitosa, nuove opportunità di
affermazione sociale, la partita del futuro è persa non solo per loro,
ma per tutti, per l'Italia : ed è in scacco la democrazia.
Proprio perché non solo speriamo, ma crediamo nell'Italia, e vogliamo
che ci credano le nuove generazioni, non possiamo consentirci il lusso
di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro
lieto vivere collettivo. C'è troppa difficoltà di vita quotidiana in
diverse sfere sociali, troppo malessere tra i giovani. Abbiamo bisogno
di non nasconderci nessuno dei problemi e delle dure prove da
affrontare : proprio per poter suscitare un vasto moto di energie e di
volontà, capace di mettere a frutto tradizioni, risorse e potenzialità
di cui siamo ricchi. Quelle che abbiamo accumulato nella nostra storia
di centocinquant'anni di Italia unita.
Celebrare quell'anniversario, come abbiamo cominciato a fare e ancor
più faremo nel 2011, non è perciò un rito retorico. Non possiamo come
Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato. Ci
serve, ci aiuta, ripercorrere nelle sue asprezze e contraddizioni il
cammino che ci portò nel 1861 a diventare Stato nazionale unitario, ed
egualmente il cammino che abbiamo successivamente battuto, anche fra
tragedie sanguinose ed eventi altamente drammatici. Vogliamo e possiamo
recuperare innanzitutto la generosità e la grandezza del moto unitario
: e penso in particolare a una sua componente decisiva, quella dei
volontari. Quanti furono i giovani e giovanissimi combattenti ed eroi
che risposero, anche sacrificando la vita, a quegli appelli per la
libertà e l'Unità dell'Italia! Dovremmo forse tacerne, e rinunciare a
trarne ispirazione? Ma quello resta un patrimonio vivo, cui ben si può
attingere per ricavarne fiducia nelle virtù degli italiani, nel loro
senso del dovere comune e dell'unità, e nella forza degli ideali.
Ed è patrimonio vivo quello del superamento di prove meno remote e già
durissime, come il liberarci dalla dittatura fascista, il risollevarci
dalla sconfitta e dalle distruzioni dell'ultima guerra, ricostruendo il
paese e trovando l'intesa su una Costituzione animata da luminosi
principi. No, nulla può oscurare il complessivo bilancio della profonda
trasformazione, del decisivo avanzamento che l'Unità, la nascita dello
Stato nazionale e la sua rinascita su basi democratiche hanno
consentito all'Italia. Di quel faticoso cammino è stato parte il
ricercare e stabilire - come ha voluto sottolineare ancora di recente
il Pontefice, indirizzandoci un pensiero augurale che sentitamente
ricambio - "giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e
quella religiosa".
Sono convinto che nelle nuove generazioni sia radicato il valore
dell'unità nazionale, e insieme il valore dello Stato unitario come
presidio irrinunciabile nell'era del mondo globale. Uno Stato,
peraltro, in via di ulteriore rinnovamento secondo un disegno di
riforma già concretizzatosi nella legge sul federalismo fiscale. Sarà
essenziale attuare di collaborazione fra la comunità civile e quella
religiosa". Sono convinto che nelle nuove generazioni sia radicato il
valore dell'unità nazionale, e insieme il valore dello Stato unitario
come presidio irrinunciabile nell'era del mondo globale. Uno Stato,
peraltro, in via di ulteriore rinnovamento secondo un disegno di
riforma già concretizzatosi nella legge sul federalismo fiscale. Sarà
essenziale attuare quest'ultima in piena aderenza ai principi di
"solidarietà e coesione sociale" cui è stata ancorata.
Sarà essenziale operare su tutti i piani per sanare la storica ferita
di quel divario tra Nord e Sud che si va facendo perfino più grave,
mentre risulta obbiettivamente innegabile che una crescita più dinamica
dell'economia e della società nazionale richiede uno sviluppo
congiunto, basato sulla valorizzazione delle risorse disponibili in
tutte le aree del paese.
Il futuro da costruire - guardando soprattutto all'universo giovanile -
richiede un impegno generalizzato. Quell'universo è ben più vasto e
vario del mondo studentesco. A tutti rivolgo ancora la più netta messa
in guardia contro ogni cedimento alla tentazione fuorviante e perdente
del ricorso alla violenza. In particolare, poi, invito ogni ragazza e
ragazzo delle nostre Università a impegnarsi fino in fondo, a compiere
ogni sforzo per massimizzare il valore della propria esperienza di
studio, e li invito a rendersi protagonisti, con spirito critico e
seria capacità propositiva, dell'indispensabile rinnovamento
dell'istituzione Università e del suo concreto modo di funzionare.
Investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la
propria parte e dare loro adeguate opportunità. Che questa sia la
strada giusta, ho potuto verificarlo in tante occasioni. Dall'incontro,
nel gennaio scorso, con gli studenti di Reggio Calabria impegnati sul
tema della legalità, a quello, in novembre, con i giovani volontari di
Vicenza mobilitatisi per far fronte all'emergenza alluvione ; e via via
potendo apprezzare realtà altamente significative. Penso ai giovani che
con grandissima consapevolezza e abnegazione fanno la loro parte nelle
missioni militari in aree di crisi : alle famiglie di quelli tra loro
che sono caduti - purtroppo ancora oggi - e di tutti gli altri che
compiono il loro dovere esponendosi a ogni rischio, desidero rinnovare
stasera la mia, la nostra gratitudine e vicinanza. Penso ai giovani
magistrati e ai giovani appartenenti alle forze di polizia, che
contribuiscono in modo determinante al crescente successo nella lotta
per liberare l'Italia da uno dei suoi gravi condizionamenti negativi,
la presenza aggressiva e inquinante della criminalità organizzata.
Sì, possiamo ben aprirci la strada verso un futuro degno del grande
patrimonio storico, universalmente riconosciuto, della Nazione
italiana. Facciano tutti la loro parte : quanti hanno maggiori
responsabilità - e ne debbono rispondere - nella politica e nelle
istituzioni, nell'economia e nella società, ma in pari tempo ogni
comunità, ogni cittadino. Dovunque, anche a Napoli : lasciatemi
rivolgere queste parole di incitamento a una città per la cui
condizione attuale provo sofferenza come molti in Italia. Faccia anche
a Napoli la sua parte ogni istituzione, ogni cittadino, nello spirito
di un impegno comune, senza cedere al fatalismo e senza tirarsi
indietro.
Sentire l'Italia, volerla più unita e migliore, significa anche questo,
sentire come proprio il travaglio di ogni sua parte, così come il
travaglio di ogni sua generazione, dalle più anziane parte ogni
istituzione, ogni cittadino, nello spirito di un impegno comune, senza
cedere al fatalismo e senza tirarsi indietro.
Sentire l'Italia, volerla più unita e migliore, significa anche questo,
sentire come proprio il travaglio di ogni sua parte, così come il
travaglio di ogni sua generazione, dalle più anziane alle più giovani.
A tutti, dunque, agli italiani e agli stranieri che sono tra noi
condividendo doveri e speranze, il mio augurio affettuoso, il mio
caloroso buon 2011.
redazione@aetnanet.org
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