La scuola fa schifo. E se fosse ottima? di Giorgio Israel
Data: Lunedì, 27 dicembre 2010 ore 08:41:58 CET Argomento: Rassegna stampa
Gli ingegneri
francesi dell’Ottocento se ne intendevano di valutazioni numeriche:
furono loro a inaugurare l’applicazione della matematica alle questioni
sociali, economiche e gestionali, e proprio per questo erano
disincantati. Affermavano che i numeri possono essere usati per
neutralizzare decisioni politiche scomode e per rendere accettabili le
affermazioni più contraddittorie, producendo statistiche inconsistenti
«perché nulla è più elastico dei numeri». Con i numeri si può
convalidare tutto e il contrario di tutto.
Abbiamo già parlato qui delle conclusioni contraddittorie che emergono
dalle varie classifiche delle università e delle scuole. Si aggiungono
ora i risultati Ocse-Pisa che attestano la superiorità delle scuole
statali italiane su quelle private e paritarie. L’Invalsi è arrivato
alla conclusione opposta… Inoltre, su queste pagine, il governatore
lombardo Formigoni ha sottolineato l’ottimo risultato conseguito dalle
scuole della regione nei test Ocse-Pisa, e si sa che la Lombardia ha un
elevato numero di scuole private e paritarie. E allora? Oltre alla
contraddizione - certamente dovuta all'uso di parametri e test
differenti, il che ridicolizza ancora una volta il mito della tanto
vantata «oggettività» - siamo di fronte statistiche del genere «pollo
di Trilussa», che informano sulla frazione di pollo che mangia «in
media» ogni persona in un dato periodo. In realtà, qui interessa sapere
esattamente quanti polli vengono mangiati da ciascuno. Altrimenti,
dando retta a Ocse-Pisa, una famiglia rischia di iscrivere il figlio a
occhi chiusi a una scuola statale di infima qualità, oppure, dando
retta all’Invalsi, di iscriverlo a una pessima scuola paritaria.
Ne segue che l’unica cosa sensata e utile non sono queste statistiche,
bensì una valutazione capillare dei singoli istituti scolastici e anche
dei singoli insegnanti. Il problema è però come fare questa
valutazione. Uno dei metodi suggeriti da coloro che inseguono
l’«oggettività» è di far ricorso ai test. Un progetto sperimentale
varato dal ministero dell’Istruzione propone di valutare le scuole
misurando il livello di miglioramento degli apprendimenti degli
studenti mediante i test Invalsi: in parole povere, si tratta di
proporre dei test all’inizio e alla fine dell’anno per constatare
l’esistenza di un miglioramento. Questo metodo ha due difetti. In primo
luogo, i test servono a stimare il miglioramento degli apprendimenti in
ambiti molto ristretti, come l’ortografia o la grammatica, ma già in
matematica non rispondono affatto allo scopo di valutare le capacità di
ragionare matematicamente, di formulare e risolvere un problema, bensì
non vanno oltre il dar conto dell’esattezza della risposta, che è poca
cosa. Non parliamo poi di materie come la storia o la letteratura. Vi è
inoltre il rischio di indurre le scuole a limitarsi alla funzione di
addestramento a superare i test, riducendo gli studenti a risolutori di
quiz, magari abili allo scopo specifico pur essendo autentici ignoranti
e incapaci. Il secondo difetto è che i test non piovono dal cielo: sono
formulati da persone con una specifica preparazione e vedute personali,
talvolta persino da ditte di dubbia competenza. In definitiva, essi non
danno alcuna garanzia di serietà ma servono soltanto a creare un’aria
di rigore «scientifico», nascondendo la «spazzatura» della soggettività
sotto il tappeto. Si apprende poi che si terrà conto di altri
indicatori come il rapporto scuola famiglia - e chi non sa che
purtroppo molte famiglie di fronte a un brutto voto schiaffeggiano il
professore anziché lo studente? - e che il risultato verrà valutato da
un team composto da un ispettore e da due esperti indipendenti, senza
dire come sarà certificata la competenza di questi «esperti».
Ancor meno convincente è il metodo di valutazione proposto per i
singoli docenti. Essa dovrebbe essere condotta da una commissione
composta dal dirigente scolastico e da due docenti dell’istituto eletti
dal collegio dei docenti. È sconcertante l’idea che coloro che debbono
essere valutati eleggano i loro valutatori. Ancor di più che a
presiedere tale nucleo sia il dirigente scolastico. Non dubitiamo che
la maggior parte dei presidi siano persone rigorose. Ma coloro che non
lo sono, e certamente esistono, e che hanno la tendenza a creare
cordate e «camarille» di docenti «amici», troveranno un’opportunità per
favorirle e per penalizzare le «pecore nere» che potrebbero anche
essere i docenti più validi. Senza contare che questa modalità di
valutazione si incrocia con la tendenza a trasformare il preside in
manager, che tende a promuovere in tutti i modi l’immagine della
propria scuola, come un’azienda di biscotti promuove la qualità del
proprio prodotto. Inoltre, anche qui si propone di usare come criterio
di valutazione il giudizio di famiglie e studenti e persino il
curriculum presentato dal docente (come dubitare che vi sarà chi avrà
il coraggio di parlar male di sé?).
Ritorna la questione iniziale: come valutare? Non c’è dubbio che
l’unica modalità valida sia quella delle ispezioni. Ma, sia ben chiaro,
non alla maniera dell’autoreferenziale corpo di ispettori in vigore in
Inghilterra che, di certo, non può vantare di aver contribuito al
miglioramento della scuola inglese, il cui sfascio è ormai denunziato
da ogni lato. Di recente, in una riunione di «esperti» scolastici, ho
assistito a un’interminabile presentazione delle virtù del sistema
inglese di valutazione. Dopo un’ora di ascolto posi una piccola
domanda: «Secondo voi com’è la scuola inglese?». Coro unanime: «Fa
letteralmente schifo!». E tuttavia l’elogio riprese come se nulla
fosse. Così ragionano gli «esperti»: a loro interessa solo la
metodologia. Peraltro, una delle ultime prove del disastro della scuola
inglese è data dalla constatazione che un numero crescente di famiglie,
pur di non mandare i figli in scuole in cui non si apprende nulla e
regna la violenza, affittano a ore docenti qualificati in tutte le
materie. I costi oscillanti tra 30-50.000 mila l’euro l’anno vengono
coperti quasi completamente dai voucher che le famiglie ricevono.
Tornando alle ispezioni, l’unico sistema che appare appropriato è
quello in uso in diverse università straniere: farle eseguire da
commissioni composte da insegnanti provenienti da scuole di diverse
città, da un ispettore ministeriale, e anche da insegnanti in pensione.
La commissione ispettiva si installa in un istituto scolastico per un
periodo di una decina di giorni rivoltandolo come un calzino,
assistendo alle lezioni, esaminando libri di testo, registri,
interrogando docenti, studenti e famiglie, e raccogliendo il suo
giudizio finale in un rapporto di valutazione concernente sia
l’istituto nel suo complesso che i singoli insegnanti, il quale verrà
sottoposto agli Uffici scolastici regionali e al ministero. La
valutazione potrà investire soltanto una quota annua degli istituti che
sarà tuttavia sufficiente ad avviare un processo virtuoso. Il punto
fondamentale è che la valutazione non deve essere concepita come una
tecnica gestionale bensì come un processo culturale. I rapporti di
valutazione saranno inevitabilmente oggetto di commenti incrociati, a
differenza del sistema dei test che nasconde dietro una falsa
oggettività scelte operate da soggetti incontrollati. Ma questo è
altamente positivo poiché avvia nell'insieme delle scuole e nella
comunità degli insegnanti un vasto processo di controllo interno alla
dinamica dell'istituzione scolastica, rigoroso, indipendente e alla
luce del sole, che è l'unico modo per produrre un'autentica crescita
culturale e della qualità dell'insegnamento e per favorire l'emergere
delle scuole e degli insegnanti migliori.(da
http://www.ilgiornale.it/cultura/la )
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