Una
cosa è chiara. La nostra voglia di incontrarci è più forte della vostra
voglia
di scontro. Nonostante le manifestazioni, gli atti vandalici, le
violenze (e le
minacce, come quella tremenda della bomba dimostrativa trovata ieri
sulla metro
di Roma), nonostante le accensioni violente del dibattito, da parte di
studenti, intellettuali (?) e politici; insomma, nonostante l’Italia
sia fatta
apparire come pervasa da una voglia aspra di scontro, noi sappiamo una
cosa che
non troverete scritta su tanti giornali e sugli striscioni: è più forte
la
voglia di incontro.
Ci avvertiva Pavese: la bellezza suprema degli uomini si vede nei loro
incontri. In quelli tra padri e figli, tra compagni, tra colleghi, tra
amici.
Tra innamorati. Tra gente di cultura e di idee diverse. Noi lo
sappiamo.
Segretamente lo sappiamo. E soffertamente. Perché troppi media sembrano
sobillare la voglia di scontro. E troppi politici e troppi
intellettuali.
Mentre noi sappiamo (e tutti sanno, in fondo) che solo dagli incontri
nasce
qualcosa di buono ed emerge la vera forza rivoluzionaria, quella che
cambia le
cose.
Negli scontri si acuisce solo il senso dell’avversario. Lo si dipinge
come il
male. E da scontro così nasce solo altro scontro. E odio. Mai
costruzione. Mai
riforma. L’Italia invece è un Paese di incontri. La stessa identità di
italiani
fu scelta da popoli che decisero di incontrarsi, cessando una logica di
solo
scontro. E la nostra storia ha trovato momenti di reale progresso solo
quando
gente diversa ha deciso di incontrarsi.
Fu così per la Costituente. Ed era gente che veniva da esperienze
opposte. Che
era passata dalla logica dello scontro alla scommessa dell’incontro. Si
dice
che questi giovani (i manifestanti occasionali, non quelli di
professione)
stanno indicando un disagio. Se il disagio genera solo scontro, sarà
disagio
sterile. Un disagio che genera vuoto, il peggio che può accadere. Ma
anche il
disagio può essere un motivo di incontro. Perché il malessere – va
detto a
questi giovani – non è un lasciapassare per lo scontro o la violenza. E
il loro
è anche il nostro disagio. Su questo occorre incontrarsi.
Ma quanti adulti sono disposti a incontrarsi veramente con questi
ragazzi? A
condividere tempo, energie, risorse? A giocare responsabilità e rischio
di
costruzione e non solo slogan? Si dice, con uno slogan appunto, che
sono
ragazzi (una parte non maggioritaria, va detto anche questo) che
manifestano e
scelgono lo scontro perché non sentono sicurezze sul futuro. Ma il
futuro non è
un problema solo dei giovani. È un problema dei padri, come dei figli.
In modo
diverso, ma con uguale intensità. Il futuro per un padre si chiama
problema
della eredità. Cosa lascio? Cosa ho costruito?
Drammatico come le domande di un giovane circa il suo futuro. Su questo
occorre
incontrarsi. E non solo nelle aule del Parlamento, dove la prassi degli
incontri diviene regola democratica, che o si accetta o ci si pone solo
in
sterile logica di scontro. Si tratta di incontrarsi anche in tutti i
luoghi
della vita quotidiana. Tra padri e figli, tra padri e padri, tra amici,
tra
colleghi, tra compagni. Noi sappiamo e lo diciamo forte: la nostra
voglia di
incontri è più forte della vostra voglia di scontro. Più forte di voi
manifestanti o politici o giornalisti o intellettuali che cercate un
triste
entusiasmo nel soffiare sullo scontro.
Tra il fumo e i titoloni e in mezzo a segni inquietanti noi vediamo che
l’Italia ha forte voglia di incontri: imprevedibili, faticosi, anche,
ma
segnati da desiderio di costruzione. Gli incontri che fanno la bellezza
dell’Italia e dell’esser uomini. Tutti, ragazzi e no, devono decidere
se stare
dalla parte della bellezza o della sterilità.
Davide
Rondoni