Cina: la lingua inglese è fuori media
Data: Venerdì, 24 dicembre 2010 ore 13:38:55 CET
Argomento: Rassegna stampa


In nome dell’autarchia linguistica, arriva da Pechino il divieto di utilizzare l’inglese nei media cinesi. Lo ha annunciato l'amministrazione generale per la stampa e le pubblicazioni (Gapp), l' ente governativo preposto al controllo del settore, mediante una direttiva emanata lunedì e pubblicata oggi dai giornali.
In particolare, il dictat di Pechino bandisce le parole straniere in pubblicazioni scritte in cinese e tutti quei neologismi “dal significato poco chiaro” e prevede “sanzioni amministrative”, dall’ammontare pecuniario peraltro non specificato, per quanti contravverranno allo stesso.  
Il provvedimento avrebbe lo scopo di preservare la «purezza» della lingua dei mandarini, contrastando il dilagante utilizzo di termini e sigle mutuati dall’idioma d’Oltremanica, che – sempre secondo l’ente “distrugge uno sviluppo linguistico e culturale sano e armonioso, ed esercita un influsso negativo sulla società”.
 In effetti l’'uso degli inglesismi è una vera e propria realtà nel contesto mediatico cinese che utilizza quotidianamente acronimi inglesi come Nba per indicare la Lega americana di basket, o il Pil per il prodotto interno lordo.
 La risultante ibrida, data dalla commistione linguistica tra inglese e cinese – “chinglish” lo chiamano – è attualmente sulla “bocca” di tutti e, utilizzato regolarmente nei “microblog” – surrogati cinesi di Twitter, attualmente vietato in Cina - ha finito per influenzare non solo l’espressione orale ma anche quella scritta. Le parole straniere, chiarisce l’Amministrazione generale della stampa e le pubblicazioni, potranno essere utilizzate in casi eccezionali, quindi solo “se necessario”, salvo fornirne un’adeguata traduzione o spiegazione in cinese.
 Di fatto, considerata l’ampia diffusione dell’inglese nelle scuole come nei luoghi pubblici e infine nei media, e stando al sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano China Youth Daily dal quale risulta che la maggioranza della popolazione è più impegnata a studiare l'inglese che il cinese, la crociata a favore della salvaguardia della lingua madre “non avrebbe ragione di sussistere”, spiega un editore citato dal quotidiano China Daily.
Storce il naso anche un professore dell'Università di lingue di Pechino, Dong Sheran che, citato dal quotidiano Global Times, ha affermato: «Viviamo in un mondo nel quale le parole nuove arrivano così in fretta che non si fa a tempo tradurle... la comunicazione globale non è un linguaggio chiuso alle parole straniere”.
FEDERICA MATTEUCCI  (http://www.agenziaradicale.com)

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