Pirandello nella lista degli “atei celebri”
Data: Giovedì, 23 dicembre 2010 ore 23:30:00 CET
Argomento: Redazione


Mi sono stupito che Pirandello fosse anche “poeta”. Evidentemente i suoi successi come autore di teatro mi hanno impedito di conoscerlo sotto un’altra prospettiva: un autore “religioso”, un catto-laico, un cristiano anonimo, un ateo credente. Non avevo mai letto con attenzione il suo “Sogno di Natale”, pubblicato insieme ad altri racconti nel 1935, un anno prima della sua morte. La semplicità della fede popolare si unisce alla sua aulica cultura e la commozione infantile è mitigata dall’ironia dell’anziano che prima o dopo si pone delle domande sul mistero di Dio. Come il dubbioso Agostino delle Confessioni e Ritrattazioni e il riformatore esagerato Lutero, che al presepe di Francesco d’Assisi preferì l’albero illuminato e decorato. Si dice che Capuana esortò Pirandello ad abbandonare la metrica e i versi, perché il verismo letterario non poteva né doveva consentirli.
Ma Natale è sinonimo di poesia, e non conta la rima né il verso per essere poeti pur preferendo la prosa e il racconto. Guido Davico Bonino, nell’approssimarsi del Natale 2010, ha pubblicato il volumetto “Sogno di Natale e altri racconti” (pp. 120, ed. Interlinea). Nei nove pezzi, legati dal filo del Natale o comunque dal problema della fede o al tema della Chiesa, emerge la posizione di un Pirandello con una forte sensibilità religiosa, che, pur rimanendo laico, è aperto al dialogo con l’Oltre.
La tentazione a cui si espone Pirandello è dunque religiosa, dal punto di vista di una filosofia esistenziale cristiana. Non potendo concludere con la fede che si inchina al mistero di Dio, egli naviga nel grande mare delle proprie intuizioni. Lontano da ogni tipo di dogmatismo schematico di qualsiasi natura, l'agrigentino rimane sempre fedele alla sua identità elementare e insostituibile di mediterraneo, aggrappato alle grandi tradizioni religiose.
La sua ontologia non elimina né l'assoluto né il misterioso, anzi deriva da questi la sua originale forza. La sua presunta immanenza è superata dal desiderio di una alternativa: l'ignoto è realmente sofferto come dimensione oscura dello spirito. E' dunque possibile una lettura pirandelliana alla luce degli esistenzialisti cristiani come Kierkegaard, Marcel, Bergson .
Se Pascal, distinguendo tra cuore e ragione, aveva concluso che "il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce" , Pirandello ha riconosciuto, pur amaramente, che la ragione non è in grado di spiegare l' umana esistenza.
Ricercatore instancabile del senso della verità, è anche l'erede di una ricca tradizione apologetica religiosa. Sente il misterioso e l'indefinito, e se la sua solitudine sembra lontana dalla certezza della fede, è sempre questa una condizione dell'anima che continua ad interrogarsi. Il profondo argomentare di Pirandello nella sua conclusione assume il carattere di un nuovo interrogativo. Pur eliminando le certezze, questo mondo rimane aperto, esprimendo effettivamente la sconfitta della ragione di fronte a realtà superiori.
Con Adriano Tilgher, si può parlare di misticismo ateo. Il vecchio Prof di Storia e Filosofia, prestato alle Lettere, ha una convinzione: le introduzioni, le recensioni, le note e tutto il resto lascino il posto all’autore che è venuto a trovarci.
Cessi questo mio prologo, si apra il sipario e , come un regalo speciale di Uno Nessuno Centomila, sulle note di una nenia in una notte placida con o senza stelle, entrino gli attori, le maschere nude, le persone e i sei personaggi… e sull’applauso degli spettatori protagonisti, entri in scena… il RACCONTATORE.

SOGNO di NATALE (di Luigi Pirandello)
Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l'impressione d'una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l'anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors'anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi. Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori... E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo: - Buon Natale - e sparivo... Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d'incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d'un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita. Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l'immagine di lui m'attrasse così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m'arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii. Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d'una luce interiore, sorvolava su un'alta siepe di rovi, che s'allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant'egli era alto, via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo. Dall'irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d'una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell'immenso arco dell'orizzonte. Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide. A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d'una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava pretesto a gozzoviglie. - Non dormono... - mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d'odio e d'invidia pronunziate nell'interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l'impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: - Anche per costoro io son morto... Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch'ero la sua ombra per terra, non mi disse: - Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere. Era una chiesa magnifica, un'immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e d'oro alla volta, piena d'una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava su l'altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d'incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d'argento splendevano a ogni gesto le brusche d'oro delle pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale. - E per costoro - disse Gesù entro di me - sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte. Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese: - Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo... Cerco un'anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d'ogn'altro di buona volontà. - La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni? - Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari. - Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona. Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l'impressione sul mio capo inchinato, m'avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa.

Cala la tela, con gli AUGURI di giovannisicali@gmail.com





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