In risposta alla Lettera aperta di Chiara del Liceo ''Spedalieri''
Data: Sabato, 18 dicembre 2010 ore 21:19:39 CET Argomento: Redazione
Ho
letto con piacere e commozione la lettera aperta di Chiara Aiello del
Liceo classico “Spedalieri” di Catania, lettera indirizzata ai
Professori della sua scuola, ma che io sento indirizzata anche a me,
Professore del Liceo “Don Bosco”, ex-allievo dello “Spedalieri”. Così
mi permetto di dire la mia.
Carissima Chiara,
grazie per le tue parole trepidanti e forti allo stesso tempo, parole
che mi commuovono e scuotono perché sento miei i tuoi pensieri e le tue
esigenze. Permettimi di considerarti una mia alunna e di condividere
con te e i tuoi compagni qualche mia riflessione. Prima di credere
nella scuola, credo in te e in tutti voi, cioè sono convinto che siate
quanto di più prezioso un docente possa ricevere in dono dal suo
lavoro, dunque non lo stipendio né il posto fisso né le vacanze né le
gite! Hai ragione a chiedere di più alla classe docente, io lo ripeto
sempre ai miei alunni e come vorrei che non si stancassero mai di
farlo. Ho bisogno di chi come te mi ricordi costantemente «per chi
cammino», perché ho scelto questa professione, per chi devo mettere in
gioco tutto me stesso quotidianamente.
E allora, entrando a scuola e in
classe ogni giorno, mi sentirò ancora più “innamorato” della vita,
dello studio, delle mie materie, del mio lavoro, di chi mi è stato
affidato fosse anche il più distratto, poco studioso, disturbatore tra
gli alunni.
Ci sono cose nella scuola e per un docente che nessuno
stipendio o posto fisso potranno mai eguagliare, quei gesti, sguardi,
quelle parole e azioni degli alunni che mi fanno ripetere spesso che
vale la pena starci anzi, ancor più, mi riempie il cuore essere nella
scuola.
Quando in famiglia o gli amici mi chiedono come va a scuola, io
dico sempre che mi diverto moltissimo (spero anche i miei carissimi
alunni) e che l’unica cosa che mi stanca è la burocrazia. In questo
tempo di crisi hai ragione ad invitarmi a puntare in alto e a farlo
insieme a miei studenti, non a lamentarmi o a trascinarmi.
I problemi
della scuola per me (che sono comunque un precario!) non dipendono da
questo o quel ministro, ma da quanto io mi scommetto nell’educazione
con tutte le mie energie, la fantasia, la competenza. Quando entro in
classe ho davanti persone vere, cuori che battono, teste che sognano
(non fra le nuvole!), e in quel tempo non c’è altro da fare che dare il
meglio di me, chiedere il meglio da loro, scoprire insieme il gusto
dello studio, la passione per la vita, il senso della scuola. Non c’è
niente di sofisticato, tutto molto semplice, ma non certo banale,
perché non è banale la vita di un adolescente per il quale io ho
responsabilità che non possono essere mai secondarie rispetto ai
“problemi politici” della scuola italiana. Non funziona l’idea che
siccome il ministro è cattivo e incapace, mi tratta male e non
considera le mie esigenze, allo stesso modo farò in con i miei studenti
per diretta conseguenza o forse anche per ripicca!
Nessuno può dirsi
educatore nella scuola quando si permette di usare come scudo i propri
ragazzi.
La scuola sarà appassionante, avrà un senso quando la
smetteremo – noi insegnanti – di scaricare sugli alunni le nostre
povertà, fisime, ideologie, per dare loro invece strumenti veri per
riconoscere le proprie risorse, la bellezza delle cose e dello studio,
la capacità critica e soprattutto quella di sognare, coi piedi per
terra e lo sguardo in cielo.
Forse li conoscerai già, ma voglio donarti
ugualmente alcuni pensieri di Alessandro
D’Avenia, un giovane
professore di Milano che ha scritto il bellissimo romanzo (che ti
invito a leggere) “, Bianca come il latte, rossa come il sangue”
(Mondadori).
So che daranno fastidio ad alcuni miei colleghi, ma
preferisco dare fastidio piuttosto che lamentarmi.
Le scrivo perché me
le ripeto ogni mattina prima di andare a scuola, credo sia una bella
preghiera laica:
«Se vedranno
in te il fuoco ti ripagheranno con uno
stipendio che nessun altro mestiere dà: saranno innamorati della
bellezza, del bene, della verità. Non furbi che devono fregare un
adulto, ma innamorati della vita con le sue luci e ombre. Forse ti
manderanno ugualmente all’inferno come Dante ha fatto – per altri
motivi – col suo maestro Brunetto, ma sapranno riconoscerti di avere
insegnato loro “come l’uom s’etterna”: come l’uomo trova la felicità.
Quello che tutti vogliono su questa terra: un maestro può insegnarlo,
nella sua ora. L’unità di misura della scuola è l’ora di lezione: in
quei sessanta minuti può avvenire il miracolo ordinario della scuola.
Tutti vogliono un piatto buono al ristorante e poi non pretendiamo una
lezione ben preparata? Scioperate per questo, ragazzi: mandate a casa i
professori che non fanno lezione, così accade in qualsiasi altra
professione, altrimenti sono loro a mandare a casa voi, senza futuro».
Grazie e buon Natale!
Marco
Pappalardo
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