Il leader dei contestatori: ''Non siamo noi ma la Gelmini a difendere i privilegi dei baroni strapag
Data: Lunedì, 29 novembre 2010 ore 20:10:00 CET Argomento: Comunicati
"Non
andiamo affatto a braccetto coi baroni universitari, come dice il
ministro Gelmini. Piuttosto è il governo che ne difende i privilegi. Vi
siete mai chiesti perché la conferenza dei rettori è schierata a fianco
della riforma?».
Lorenzo Zamponi, 27 anni, padovano,
dottorando in sociologia a Firenze, è uno dei leader del
Link-coordinamento universitario che in questi giorni guida
l’occupazione “creativa” dei monumenti simbolo del Paese. Zamponi non è
un barricadiero a prescindere: la riforma Gelmini vuol combatterla nel
merito, fuori dagli slogan.
Ad esempio non crede che l’università italiana sia il migliore dei
mondi possibile a rischio distruzione dal nuovo provvedimento.
«L’attuale sistema è già vecchio, sclerotizzato, dominato da una casta
baronale ristretta». Il punto vero per Zamponi è che la riforma «non fa
che aggravare questa sclerosi». Per almeno 4 motivi.
«Non risolve la frammentazione dell’offerta formativa anzi, agendo
sulla governance degli atenei, accentra ancor di più il potere in mano
ai rettori; apre i cda ai privati; trasforma il diritto allo studio nei
prestiti d’onore, causando un indebitamento precoce dei giovani; infine
abolisce la figura dei ricercatori, sostituendoli con figure precarie».
Voi accusate la deriva privatistica dell’università italiana. Però
l’alto numero di disoccupati laureati dimostra lo scarso collegamento
tra università, mondo delle imprese e mercato del lavoro, no?
«Non la metterei così. Le nostre università negli ultimi anni si sono
già aperte al mondo delle aziende ma con scarsi risultati.
Evidentemente non è quello il modello. Se la qualità della didattica si
abbassa per via dei tagli, è ovvio che si produce un livellamento dei
laureati e chi esce non trova facilmente lavoro».
Sicuri che sia solo un problema di risorse e non di qualità della spesa
universitaria? Ad esempio: siete favorevoli ad introdurre meccanismi di
valutazione per i docenti?
«Certo che lo siamo. Il problema è che questa riforma introduce
un’agenzia ad hoc ma senza specificare con quali criteri e quale
trasparenza si valuterà la didattica. Sembra più una scusa per fare
altri tagli».
A proposito di docenti. Perché siete contrari a meccanismi di
differenziazione economica tra chi è produttivo in termini di
pubblicazioni e didattica e chi no?
«Guardate che esiste già una differenziazione eccessiva negli atenei
italiani».
In che senso?
«Ci sono pochi baroni intoccabili e strapagati, che spadroneggiano
senza controlli, e poi ricercatori sottopagati che fanno didattica
gratis. E’ questa riforma che non vuole toccarli. Perché il ministro
non accetta la proposta della Rete 29 aprile? Si eliminino le tre fasce
attuali (ordinari, associati, ricercatori) e si introduca il ruolo
unico di docenza. Poi, dentro a questo perimetro, ci sia una
progressione di carriera su meccanismi di valutazione».
Secondo voi perché non l’accetta?
«Per salvaguardare evidentemente le rendite di posizione dei baroni.
Non a caso la conferenza dei rettori (Crui) appoggia questa riforma».
In Inghilterra hanno alzato le tasse. La formazione e la buona
didattica costano, dicono Oltremanica…
«Sì, ma in Inghilterra esiste un sistema di borse di studio capillare.
Da noi il sistema copre a malapena 180 mila studenti e, coi prossimi
tagli, scenderanno a poche migliaia. E comunque esistono anche altri
modelli a tasse zero, come in Germania».
Però in Italia le tasse non sono altissime, rispetto alla media Ue
«Solo in teoria. Ormai molti atenei, specie quelli ben gestiti del Nord
Italia, hanno dovuto aumentare le tasse a prescindere. Sono alla canna
del gas. Padova ha sempre chiuso in pareggio. Ora ha un passivo di 19
milioni».
Come valutate il miliardo in più messo dal governo sulla riforma? «Una
presa in giro».
Perché una presa in giro?
«Perché tolti i 300 milioni che andranno a finanziare il concorso per
ricercatori, gli altri 700 sono la metà del taglio da 1,3 miliardi
fatto da Tremonti. Non c’è alcun investimento vero».
In Italia ci sono 322 università, compresi i poli periferici. Sicuri
che in tutto questo ginepraio non ci siano sprechi da tagliare?
«Certamente. Questa frammentazione è una follia politico-clientelare
senza alcuna ragione scientifica».
Allora sul punto il ministro ha ragione…
«Macché! La riforma non censura minimamente questa deriva. Punta solo
ad incentivare la federazione degli atenei ma sull’unico criterio di
bilancio, non su quello scientifico/didattico, che è quello che
dovrebbe contare...».
(da La Stampa.it di Marco Alfieri)
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