Le chicche di orrore del Codice Brunetta nelle scuole
Data: Venerdì, 26 novembre 2010 ore 14:41:23 CET Argomento: Rassegna stampa
E'
stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 31 ottobre scorso, ed è
arrivata alle scuole solo in questi giorni, il Decreto legislativo del
27 ottobre 2009, n. 150: "Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15,
in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e
di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni".
Non sorprendano i termini temporali della perfezione giuridica.
Vischiosità abbastanza usuale tra l'apparato politico e quello
giuridico amministrativo. Ma andiamo alla sostanza. Il nuovo
regolamento, passato oramai alle cronache come Codice Brunetta,
disciplina in modo nuovo i rapporti tra dipendenti ad amministrazione
pubblica, anche delle scuole. Vi sono in esso numerose chicche di
orrore.
La prima: la conoscenza di tutta quanta la materia è demandata, per
norma scritta, ad internet. Chi non usa il computer e non ne è a
conoscenza non può trovare scuse d'ignoranza. La pubblicazione sul sito
della scuola e dell'amministrazione ministeriale sostituiscono in tutto
gli obsoleti codici in forma cartacea (comma due, articolo 55, decreto
numero 165, 2001, riformulato). Ma siamo ancora alle quisquilie.
Il capo d'istituto ha praticamente competenza esclusiva, salvo una
parvenza di opposizione che non ha potere ostativo, per il rimprovero
verbale, il rimprovero scritto, la multa sino a quattro ore e la
sospensione sino a dieci giorni con sospensione dello stipendio. Il
preside decide in tutta solitudine quale decisione prendere anche dopo
aver letto l'ipotetica opposizione scritta od orale del dipendente, che
non può appellarsi a nessun organo superiore. Per la sospensione di più
di dieci giorni, il licenziamento con preavviso o senza preavviso la
competenza passa all'Ufficio procedimenti disciplinari del luogo dove è
avvenuta la supposta infrazione. Sono stati aboliti tutti i luoghi di
discussione arbitrale con l'unica limitazione, per gli Uffici
competenti, del rispetto delle temporalità previste per l'ascolto o la
lettura delle opposizioni scritte od orali che i dipendenti possano
produrre. Ma il solo ricorso reale diventa la magistratura ordinaria.
Un complicato sistema si instaura per i rapporti tra le condanne in
sede penale del dipendente condannato in via ordinaria per reati di
varia natura. Tali condanne fanno scattare automaticamente il
licenziamento mentre all'assoluzione nella stessa sede non segue
meccanicamente il reintegro sul posto di lavoro (comma due, articolo
55-ter). Vi sono anche sanzioni per chi si rifiuta di collaborare,
tradotto in vulgaris, per chi non vuole fare la spia (comma 7, articolo
55-bis) "..il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla
stessa amministrazione pubblica dell'incolpato o ad una diversa, che,
essendo a conoscenza per ragioni d'ufficio ...di informazioni rilevanti
...rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta....è
soggetto all'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione
del servizio con privazione della retribuzione ...fino ad un massimo di
quindici giorni..". Viene in mente immediatamente l'abiura di Galileo
Galilei resa al tribunale dell'inquisizione nel 1633.
Ma il tutto sarebbe ancora in piedi se i casi da sanzionare fossero
quelli di malversazione e di furto di tempo e/o di denaro
all'amministrazione. Questi casi sono comunque contemplati: falsa
attestazione di presenza in servizio, false dichiarazioni per la
progressione di carriera, condanna penale definitiva, ingiustificato
rifiuto del trasferimento.
Ma c'è un caso che lascia basiti, l'orrore giuridico e politico della
faccenda: gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose
- fin qui va bene NDR - o comunque lesive dell'onore e della dignità
personale altrui. Ecco il punto dolente. Intanto come si fa a
dimostrare la lesività dell'onore in termini oggettivi e poi l'onore di
chi? Evidentemente non c'è chi non pensi a critiche anche radicali ai
ministri interessati e fonte di tanta sapienza giuridica.
Spiace dover ricordare a chi professa una posizione totalmente
liberale, Immanuel Kant. In un suo breve scritto, "Risposta alla
domanda: Che cos'è l'illuminismo" Kant ci dice"...il pubblico uso della
propria ragione deve essere libero in ogni tempo ... mentre l'uso
privato della ragione può anche più spesso essere strettamente
limitato... Intendo per uso pubblico l'uso che della propria ragione
l'uso che uno ne fa come studioso davanti all'intero pubblico dei
lettori. Chiamo invece uso privato della ragione quello che alcuno può
farne in un certo impiego e funzione civile a lui affidata."
In soldoni: durante il lavoro si ubbidisce e dopo si può criticare. Al
di là della possibile concordanza con tale posizione kantiana , che
qualcuno potrebbe non condividere, la norma Brunetta si situa
addirittura in una situazione pre-kantiana. Immaginiamo un collegio
docenti dove un insegnante si azzardi a dire la sua su una disposizione
dell'amministrazione. Per quanto riguarda il Decreto legislativo in
oggetto quel momento si configura come ambito lavorativo, ma è anche un
ambito propriamente di discussione collettiva, pubblica. Così come il
Consiglio d'istituto o un'assemblea sindacale in orario lavorativo. In
questi luoghi, secondo la noma che stiamo esaminando, non è possibile
elevare critiche che "potrebbero essere lesive dell'onore
dell'amministrazione o delle persone", evidentemente ministri e altre
figure dirigenziali, che in essa lavorano.
Tali momenti si configurano anche come momenti pubblici della ragione
che Kant ci dice debba essere libera da vincoli, naturalmente fatta
propria la decenza e l'attenzione verso atti penalmente rilevanti,
l'ingiuria ad esempio. Ma la casistica ministeriale lascia troppo
spazio all'indeterminatezza ed al potere del preside, che vien così
elevato a padre- padrone dell'insegnante e dei lavoratori ATA, senza
che la sua pozione professionale diventi altro da quella di esser,
seppur privilegiato, un dipendente. Il privilegio lo si evince, in
questa materia dal diverso trattamento economico anche in casi di
sospensione dal servizio che non contempla, per questa figura, la
sospensione totale dallo stipendio.
Ambiguità e strette repressive che ancora di più ci spingono nel
baratro della barbarie giuridico-culturale.
Tiziano Tussi (da Fuoriregistro)
redazione@aetnanet.org
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