I professori bravi meritano un premio. Ma non quello improvvisato dal governo
Data: Domenica, 21 novembre 2010 ore 20:12:10 CET Argomento: Rassegna stampa
È mancanza di
rispetto verso i docenti spacciare la resistenza che parte della scuola
democratica e attiva sta esprimendo nei
confronti del piano-valutazione Gelmini-Brunetta-Aprea come tentativo
di sottrarsi al giudizio.
Le molte persone serie, in nome delle quali mi sento di
poter parlare, non hanno questa intenzione. Ma criticano le soluzioni
improvvisate: siamo docenti e conosciamo il valore di ricerca e di
riflessione. Nella consueta medietà dei toni – dopo “la riforma
epocale” ecco “un giorno storico per la scuola italiana: si iniziano a
valutare i professori e le scuole su base meritocratica” – la
meritevolissima Gelmini (quale cursus honorum le avrà garantito la
poltrona di ministro?) ha annunciato la fase 2 della strategia.
Dopo aver delegittimato i docenti in ogni modo, amplificato il dramma
del precariato, ridotto le scuole in ginocchio e alienato agli
studenti il diritto allo studio, con una scrematura che ha fruttato
allo Stato 8 miliardi di euro e alla scuola 140.000 posti di lavoro
tagliati, ecco il premio. Si tratta di due diversi progetti: il primo ,
rivolto alle scuole medie (per ora delle province di Pisa e Siracusa),
prevede di valutare gli istituti. Considererà i risultati dei test
Invalsi e una serie d’indicatori (tassi di abbandono, rapporto
scuola-famiglia, scuola-territorio, virtuosità nella gestione delle
risorse). Valutatori: un ispettore ministeriale e due esperti
indipendenti (perché, ci sono quelli dipendenti?). Le relazioni finali
definiranno una graduatoria.
ALLE SCUOLE MIGLIORI premi fino a 70 mila euro. Un secondo
progetto – che riguarderà i docenti di Napoli e Torino – prevede di
individuare quelli che si “distinguono per le capacità e le
professionalità dimostrate”. Dirigente, due docenti eletti dai colleghi
e, come osservatore, il presidente del Consiglio di Istituto (un
genitore) valuteranno. Il curriculum e un misterioso “documento di
valutazione”, nonché l’indice di gradimento presso studenti e genitori,
costituiranno gli elementi di giudizio.
Quali i finanziamenti? La sperimentazione sarà pagata con
parte del 30% dei risparmi ottenuti grazie a “razionalizzazioni” di
spesa, al netto delle risorse per il recupero degli scatti biennali
(questa la buona notizia). Di tale somma si parla già
dall’inaugurazione della “cura da cavallo” per la scuola (i tagli) che
avrebbe da tempo consentito il “premio” ai meritevoli. In questa strana
politica in cui tagli, fannullonismo, inefficienza, semplificazione e
razionalizzazione sono artatamente finiti in un solo calderone,
assestando un colpo definitivo alla credibilità sociale di scuola e
docenti; in questo strano Paese che non è ancora in grado – a 3 anni da
un documento di Fioroni in merito – di certificare seriamente e
oggettivamente le competenze degli alunni, come l’Europa chiede di fare
e fa da anni – la rincorsa a misurazione che non transiti attraverso
una seria cultura della valutazione (inaugurata nei sistemi scolastici
di alcuni Paesi UE più di 30 anni fa attraverso studio e finanziamenti)
appare un re-styling frettoloso e pericoloso.
COME TENER CONTO della differenza abissale che implica
l’insegnare in una zona o nell’altra del Paese? Come non trasformare le
scuole in meccanici progettifici, per essere più concorrenziali sul
mercato della premialità? Come ponderare i risultati di un test Invalsi
a Scampia o ai Parioli a Roma? Come evitare la costituzione di cordate
di potere nelle scuole, e il diffondersi di competizione senza
competitività? Non ci s’interroga,
infine, sul fatto che l’“utenza”, talvolta, potrebbe non avere ragione?
Basta pensare alle ristrettezze in cui gli istituti versano e ai salari
degli insegnanti per intuire che la lotta sarà tra dediti al
volontariato o seguaci del neoliberismo. Comunque una guerra tra
poveri. La tanto decantata Finlandia non ha mai riformato la propria
scuola, che fornisce performance eccezionali. Ha solo mantenuto alta la
considerazione sociale dei propri docenti.
(di Marina Biscaino da Il Fatto)
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