Il “Novellino” di Masuccio e la “Dissimulazione onesta” di Accetto, ovvero: l’ipocrisia per compiace
Data: Domenica, 21 novembre 2010 ore 18:30:00 CET Argomento: Redazione
Il Novellino e la
Dissimulazione onesta: due opere emblematiche che riflettono, sia pure
in momenti storici e culturali diversi, una condizione di crisi
dell’intellettuale e di disagio nel suo rapporto con il potere.
Due opere anche drammatiche, nella misura in cui i loro rispettivi
autori mostrano di avere coscienza della crisi e di volere in qualche
modo ( nei modi e nelle forme consentite dai tempi) renderla esplicita
anche quando ragioni d’opportunità, e di prudenza, lo sconsigliano.
In queste due opere la verità è
ascosa. Non è pronunciabile. E tuttavia a saper interrogare i
testi e forzare la tecnica della preterizione anche i silenzi parlano,
significano qualcosa; le autocensure,
le cancellature, le ferite e le cicatrici del testo a saperle leggere
(e quindi ricostruire ) fanno emergere alla luce un corpo testuale che
dice anche il non detto e il non dicibile.
Nel corpo “ cicatricoso “il Novellino manifesta l’infamia suppliziante
del secolo ingrato e ipocrita. Come accadrà durante la Controriforma: “
Si conosceranno le cicatrici da ogni buon giudizio, e sarò scusato nel
fare uscire il mio libro in questo modo, quasi esangue, perché lo
scrivere della dissimulazione ha ricercato che io dissimulassi, e però
si scemasse molto di quanto da principio ne scrissi”, dirà Torquato
Accetto nel 1641, introducendo alla Dissimulazione onesta con le
metafore di Quintiliano.
Il riferimento a Quintiliano e alla metafora del corpo-testo
“cicatricoso” non è certo casuale; è, semmai, polemica nei
confronti di una classicità della scrittura non più praticabile né
recuperabile. Le regole della “emendatio” contemplate nella Institutio
oratoria sono volutamente disattese, anzi le ferite e le operazioni
chirurgiche dentro il corpo- testo sono ostentatamente esibite a
testimoniare che la precarietà della scrittura dell’opera e il suo “
castigamento”, e il suo tormento, sono anche quelli del suo
autore ( veritas indagatio per tormentum).
Attraverso la scrittura dissimulante lo scrittore racconta e si
racconta; il discorso verbale si carica di allusioni e di richiami a
sottocodici letterari ( abilmente manipolati e intrecciati tra di loro
), ricostruibili pure per “cenni “ o per “incisi”; come per
“muta signa” le parole parlano, a volte astutamente irrelate, la
polemica e la sfiducia e la delusione.
Scrive Giorgio Manganelli a proposito della Dissimulazione onesta:”
l’autore è scriptor necans, sacrificato e sacrificante…Il “servitor”
Accetto, sacrificando il corpo del proprio libro, ha compiuto una
scelta morale, che è gesto di grande libertà”. E ancora; “:Nella
Dissimulazione onesta il testo “assente”parla attraverso l’obliquità
delle citazioni; attraverso i giochi ‘ritmici’ e la semantizzazione
delle figure foniche…Accetto decapita e decauda citazioni facili che
significano per ciò che in esse è stato tagliato”.La d i s t r u
z i o n e, dunque, al posto dell’e m e n d a m e n t o la oscura
brevità al posto del plane dicere, del dire per esteso; ma tutto
questo, per dire di più “onestamente”, per essere – come argutamente
qualche critico si è espresso - imprudentemente prudente.
Pure scrittore “necans” è Masuccio Salernitano. Anche il suo Novellino
non è opera portata a rifinitura ( come invece prescriveva il
classicismo quintilianeo ); è incompleto di “ notivoli parti”; privo di
assai “delicature”, e diverso rispetto al progetto scrittorio iniziale.
Dopo la morte del suo signore Roberto Sanseverino, principe
illustre e magnanimo, non è più possibile continuare a scrivere ( “non
è lo scrivere concesso” ); ma la metafora della incompiutezza, del
viaggio novellistico, che dall’incultura doveva portare alla cultura,
dalla inciviltà alla civiltà umanistico-aragonese, e il cui approdo
diventa, invece, un “contro-inizio”, è una sterzata tanto astuta,
quanto polemica nei confronti della corte aragonese, e un graffiante
atto di accusa contro l’amara ingratitudine dei potenti e “dotti
signori”. E’ anche il segno di un’amara sconfitta che si consuma
nell’esilio volontario dell’Arcadia “ insoave”, dove Masuccio si trova
ad essere oramai “pastore” senza più “pecore”.
Il viaggio simbolico del Novellino fatto con “disarmata barca “ che,
che dal tempestoso mare delle “detestande operazioni di certi
religiosi”, doveva approdare alle “ istorie di singulare virtù” e alle”
gran magnificenze da gran principi usate”, nel suo corso scrittorio –
novella contro predica- ha dovuto subire un’inversione di rotta, ha
dovuto sottoporsi a tagli e a camuffamenti, ricorrendo a quella
industria di non far vedere le cose come sono, che è la ricetta della
dissimulazione , come insegnava Accetto, per non urtare contro gli
scogli della “interlocuzione lettoria”, divenuta ormai diffidente e
sospettosa nei confronti dell’autore.
Il Novellino era stato scritto con l’intento di celebrare la civiltà
umanistico-aragonese. La satira anticlericale e l’acido accanimento
misogino connotano le prose di Masuccio. La sua scrittura, sostenuta e
alimentata dagli ideali umanistici della cultura laica del secondo
Quattrocento, si propone di competere con la parola “orale” dei
predicatori e di denunciare la loro falsità e il loro illusionismo
verbale tanto fascinoso quanto menzognero.
Questo impegno scrittorio dell’autore oltre ad essere un impegno
etico-culturale è anche politico e sociale nella misura in cui lo
scrittore, combattendo contro i falsi eredi di San Paolo, che le loro
Artes esercitano ai danni dei “ simplices”, in effetti non solo mette
in guardia i veri cristiani a non cadere nei “volpini lacci “
della falsa religione della chiesa predicante, ma intende difendere
anche la comunità laica dalla invadente prepotenza del controllo
clericale; indirizzare un messaggio alla classe politica e
intellettuale del suo tempo, perché ponga un freno a codesta
prevaricazione della Chiesa, e alla subdola coercizione da essa
praticata sui “semplici”.
Nella stesura definitiva il Novellino acquista un significato “altro”.
L’opera d’emendazione, -complice l’alchemico Pontano, - di censura e di
autocensura, lascia trasparire una polemica e una insoddisfazione
nei confronti di quella stessa corte che pure Masuccio aveva celebrata.
Ma attraverso il silenzio e il non detto, la polemica appare più
risentita e pungente. Lo stesso Pontano, metafora della potenza
alchemica della cultura che riscatta dalla bestialità, figura
“autoriale” e codice umanistico di riferimento stilistico, a cui si
contrappone quello anti-umanistico della predica bernardiniana , il
mercuriale Pontano, che aveva apprezzato le “fabellae”, le
“spicciolate”, è costretto a far rientrare la prosa polemica del
Novellino nella camicia di forza della convenienza e della prudenza.
Ma la metafora, fra le altre, del mancato approdo all’Arcadia soave,
restava aperta, a saperla decifrare, ad una ammiccante pluralità di
significati!
testi
consultati
*Torquato Accetto: Della dissimulazione onesta ( a cura di S.Nigro)
ed.Laterza
*Novelle del Quattrocento ( a cura di G.Fatini) ,Utet, 1944
*G.Manganelli, Letteratura come menzogna, Adelphi, 2004
Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org
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