Ma la speranza cresce forte anche in un timido filo d’erba d’un mattino di gelo
Data: Lunedì, 15 novembre 2010 ore 09:10:00 CET
Argomento: Redazione


La memoria è una freccia che sciocca dentro covoni carichi di tempo. A volte dorme per anni, per secoli e minuti interi senza risvegli, senza fare rumore. Altre volte, invece, sbotta all’improvviso e galoppa veloce e libera come cavalli e sirene bagnate di freschezza. E ricorda storie incredibili e nomi fantastici, d’altri tempi, della giovinezza lontana e perduta, della prima campanella di scuola e della “notte prima degli esami”, del primo bacio sotto il portone, dei tanti no ricevuti, delle prime lettere d’amore mai spedite, delle feste di compleanno, delle maschere di carnevale.
Anche la scuola, tra interrogazioni e verifiche, tra lezioni e programmazioni, può essere un luogo ideale per ricostruire ricordi private e segreti, vicende personali e familiari, memorie storiche e collettive. Perché la memoria può diventare il collante di un popolo, di una nazione, soprattutto per le imminenti celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.
Un’occasione storica da ricordare e da vivere. Tutti insieme, nord e sud, giovani e anziani, insegnanti e alunni… Ancora sentiamo l’eco delle parole del conte di Cavour, primo Presidente del Consiglio, “fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. E il fumo delle cannonate dei bersaglieri per fare breccia a Porta Pia e conquistare Roma capitale d’Italia.
Siamo ancora nel 1870. Iniziano gli anni dell’unificazione, la questione meridionale e il brigantaggio, le prime opere pubbliche, la conquista delle prime colonie, la destra e la sinistra storica. Le prime lotte sociali e l’attentato mortale al re Umberto I.
Siamo già nel 1900. Gli anni della belle époque e del profumo di Parigi. Tra alleanze e Sarajevo siamo alla Grande Guerra. Alle trincee dell’“inutile strage”, alla disfatta di Caporetto e alla riscossa di Vittorio Veneto.
E, intanto, la vecchia Europa scompare sotto le baionette e le bombe. Siamo al difficile dopoguerra, alla “vittoria mutilata”, al biennio rosso, ai fasci di combattimento e alla “Marcia su Roma”.
Un ventennio osannante e cupo si apre sulla nazione a sentire, al passo d’oca di uomini neri, una voce dura dal balcone di piazza Venezia: “Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili!”.
E’ il 10 giugno 1940. Ancora una guerra e un orrore senza fine. E l’Europa affoga nel sangue. L’otto settembre: la morte della nazione. E la liberazione degli alleati con le bombe e il cioccolato nelle strade di Roma.
E i ragazzi con il mitra e la speranza a combattere sulle montagne: “i migliori italiani di mezzo secolo”. E poi il referendum, l’ultimo saluto ai Savoia, la gioia per la nascita della Repubblica. La Costituzione.
Siamo nel secondo dopoguerra. La ricostruzione e il ritorno alla vita normale. E la speranza di un’Italia migliore. La televisione, “Rischia tutto” e quel festival dei fiori con la voce di Nilla Pizzi e di Modugno.
E il grande cinema neorealista: De Sica, Fellini e la “Dolce vita”. Siamo già nei favolosi anni sessanta a ballare con il juke box, Mina, Celentano e il mito dei Beatles. La nuova frontiera con il papa buono e John Kennedy. Ma già si avverte la voglia di sessantotto, di riforme e di diritti con il fumo delle barricate nelle piazze e nelle Università, i tanti misteri e le prime bombe sugli innocenti a piazza Fontana. E chi ha dormito nella notte dell’allunaggio?
Con Tito Stagno in diretta per vedere e toccare la mitica Luna. Intanto il cielo si oscura d’autunno. E’ la notte della Repubblica. Un rosario insanguinato di nomi e di segreti segnati da una stella a cinque punte. E di città colpite a lutto e lastricate di lapidi a ricordo e monito: Via Fani, Via Caetani, la stazione di Bologna, Ustica. Il 1978, l’assassinio di Aldo Moro, l’anno dei tre papi e del governo di solidarietà nazionale. E poi è un correre veloce negli anni ottanta nella Milano da bere e degli yuppie.
La notte stellare di Madrid con le mani a toccare il cielo insieme al presidente partigiano. E poi tutti a gridare “perestroika” e “solidarnosc” sino alla caduta del Muro di Berlino. Poi la delusione nelle notti magiche di Italia ’90. E finalmente, scoperchiare la pentola dei ladri a tangentopoli, a osannare i giudici e a lanciare monetine ai politici corrotti con i palazzi di giustizia di Milano e di Palermo, simboli della sete di verità e riscatto degli italiani.
Poi la stagione del sangue dei giusti, delle stragi e del pianto per la morte dei giudici Falcone e Borsellino. A sventolare le bandiere bianche contro la mafia nelle strade. Anche noi siamo stati palermitani, in una città martire, marchiata a piombo dai kalashnikov.
Poi la provvida discesa in campo del cavaliere, le sue vittorie e le sue sconfitte con il professore bolognese affossato anche lui, per ben due volte, dai suoi amici. E un’altra magica vittoria mondiale a rinfrancare le profonde ferite della nazione.
E forse i migliori italiani d’inizio millennio sono i lavoratori in mobilità, i docenti precari, con la loro carica di rabbia e di speranza, pronti a lottare per un tozzo di pane e di dignità. Eroi magnifici di un’Italia che volge ancora le ali al futuro in compagnia dei sogni.
Quanta vita in un respiro lungo cento cinquant’anni! Da un lato sempre i perdenti, dall’altro quelli che fanno finta di vincere. In palio tutti i problemi di un’Italia alla deriva, dove i sogni sfumano nei freddi mattini e faticano a sopravvivere e il potere torca il seme dell’arroganza e della menzogna.
Ma la speranza cresce forte anche in un timido filo d’erba d’un mattino di gelo.
E nell’era di facebook ricevo dal mio amico Pasqualino un messaggio carico di poesia e di carusanza, che mi richiama la storia incredibile della festa dei morti nel mio paese: “Mi sono ricordato immediatamente dei bei tempi, quasi emozionato, allora ero un semplice soldato, sempre catturato e bersagliato a colpi di “gummetti” sparati dai micidiali e infallibili fucili ad aria compressa e, non ultimo, dalle gloriose mitragliatrici che sparavano circa 50 colpi al minuto. Io purtroppo non ero ben equipaggiato a quei tempi a causa di poca disponibilità economica e mi difendevo come potevo con la mia interpool ad un colpo e successivamente con una pistola ad aria compressa…”.
E i nostri occhi si bagnano d’emozione. Meno male che ancora si può sognare con il mouse.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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