Il Risorgimento di Celestini: ''Racconto una bella (e violenta) utopia''
Data: Giovedì, 11 novembre 2010 ore 12:57:43 CET
Argomento: Rassegna stampa


Se è vero che di unità nazionale e del percorso che ne ha sancito la nascita si deve continuare a parlare, tuttavia è necessario farlo "cercando di mettere da parte il mito", perché quel momento storico che oggi compie centocinquant'anni "arriva al termine di una lotta armata durata decenni. Dentro ci sono rivolte, massacri, galera e utopie".
Ed è proprio "una bella utopia, combattuta dai Savoia come dagli austriaci e i francesi, dal Papa come dai Borboni", quella che Ascanio Celestini vuole "raccontare" nel suo prossimo lavoro, che sta preparando "non tanto per parlare del centocinquantesimo anniversario" dell'Unità d'Italia, quanto per "raccontare una storia che rimette in fila alcuni frammenti del passato, ma solo per capire meglio il presente".
Così come successe per lo spettacolo sull'eccidio nazista delle Fosse ardeatine, Celestini spiega all'agenzia Dire che l'idea nasce dalla necessità di andare a "rivedere le storie del Risorgimento che, così come molte vicende della seconda guerra mondiale, sono molto lontane da quello che immaginiamo". A partire dai personaggi chiave di quel momento, 'padri della patria' riconosciuti come Cavour, Garibaldi e Mazzini, anche se Celestini è "sicuro che mettere uno accanto all’altro questi tre personaggi ne fa rivoltare nella tomba almeno due".
A proposito di Giuseppe Mazzini, l'attore-autore ricorda che "quando morì era considerato un terrorista dalla nazione, ma poi ha dato il suo nome alle nostre piazze e strade". Ed è stata "un'annessione" non indolore, cui è seguito un periodo che ha visto la "violenza" non arrestarsi, ma trasformarsi "per le popolazioni del centro-sud in una sanguinosa guerra, più o meno mascherata da lotta contro il brigantaggio". E siccome, contemporaneamente, "mezza Italia scappava all’estero in cerca di lavoro, mentre i governi pensavano alle guerre coloniali", parlare di sentimento unitario della popolazione non è così automatico, così come non lo è parlare di "coscienza nazionale, patrimonio di pochissimi prima della lotta di liberazione nazionale a cui hanno preso parte tante donne e tanti uomini divenuti partigiani dal 1943 al 1945", e per i più "semplicemente imposta dall'alto".
Ecco, i partigiani. Non è un caso se "le formazioni più attive durante la resistenza avevano scelto di chiamarsi proprio 'brigate Garibaldi'", segno di una continuità storica tra Risorgimento e Resistenza, quest'ultima considerata da alcuni come compimento delle lotte di fine Ottocento. "Il punto di contatto più interessante è nella coscienza di classe- specifica Celestini- che nel caso della Resistenza ha fatto la differenza, ma che per alcuni personaggi del Risorgimento era un elemento già molto chiaro".
A dimostrazione di ciò, Celestini ricorda che Carlo Pisacane "teorizza persino l’elezione dei superiori da parte della truppa e la parità di paga per tutti i gradi, e tuttavia arriva a criticare non solo la monarchia ('Per mio avviso la dominazione della casa Savoia e la dominazione della casa d’Austria sono precisamente la stessa cosa'), ma anche l’eccesso di fiducia nella delega, che invece di rendere democratica una società deresponsabilizza gli individui". Ma se si pensa al Risorgimento, prosegue Celestini, l'unico elemento di certezza lo ha ricordato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando di "'una vicenda molto complicata, molto sofferta, molto contraddittoria'", anche se lo stesso capo dello Stato, a proposito delle celebrazioni per i centocinquat'anni dell'Unità d'Italia, ha fatto un monito rispetto "all'orrore per la retorica" e alla "riluttanza a parlare di eroi".
Retorica e antiretorica, politica e antipolitica, sono due "questioni che si assomigliano molto. I governanti di questo Paese non sono mai stati considerati troppo onesti: proviamo una certa antipatia per chi ha il potere, lo gestisce da molto tempo e finisce per assomigliare al padrone di un’azienda più che a un servo dello Stato. Bollare con l’etichetta di 'antipolitico' chi mette il dito in questa piaga è una maniera superficiale per difendere l’immagine peggiore della casta".
Mazzini, Garibaldi e Cavour non sono gli unici, "Napolitano ricorda anche Mameli, personaggio indispensabile per capire quello strano periodo storico che spesso ci sembra noioso". Mameli "muore ventenne a Roma dove, insieme a molti altri ragazzi, era venuto per difendere la Repubblica. Il Papa, che era da poco scappato a Gaeta, aveva lasciato una città che invece di cadere nel caos, stava vivendo uno dei momenti più alti della storia delle lotte nella Penisola. I francesi repubblicani che sbarcavano a Civitavecchia per riconsegnare la città a Pio IX, nonostante sparassero contro i repubblicani romani, venivano accolti come fratelli e salutati con la Marsigliese". E allora "non credo che sia retorico in senso deteriore - o pericolosamente antiretorico - raccontare quelle contraddizioni". Quanto a Mameli, a Celestini "piace pensare che era un ragazzo più che un eroe".
(da Agenzia Dire www.dire.it)

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