6 domande al ministro Gelmini ed al mondo della scuola sull’imminente “federalismo scolastico”
Data: Sabato, 06 novembre 2010 ore 11:45:10 CET
Argomento: Rassegna stampa


Per dirlo con un’immagine particolarmente eloquente, si è passato dalla piramide egiziana, in cui il potere promane dall’alto verso il basso, al tempio greco, che si regge, invece, su tante colonne, ognuna autonoma dall’altra. Infatti, è cambiato fortemente il rapporto tra il centro e la periferia: le competenze, affidate in autonomia alle scuole, si sono intrecciate sempre più con quelle rimaste all’Amministrazione scolastica, centrale e regionale, e con quelle, sempre più numerose e qualificate, delegate alle regioni, alle province ed ai comuni.
Sono state così pienamente accolte le lamentele degli Amministratori locali che in passato avevano dichiarato in ogni circostanza di non essere più disposti a subire le decisioni unilaterali degli operatori scolastici in materia di funzionamento delle scuole.
Ma, mentre  le norme programmatiche di questa riforma federalista  costituzionale del 2001 erano del tutto ancora da attuare, il Parlamento del Governo Berlusconi   approvò nel 2004/2005 una vera e propria “devoluzione” dei poteri legislativi in materia d’istruzione, affidando alle regioni tutte le competenze sull’istruzione e formazione professionale e consolidando molti altri poteri legislativi regionali sull’istruzione.
La “riforma costituzionale delle riforme”, come fu definita la devoluzione fortemente pretesa dal senatur leghista ed ex secessionista Umberto Bossi, al di là di generiche enunciazioni unitarie di principio facilmente eludibili, quali il rispetto dell’interesse nazionale e la previsione di fondi perequativi per le realtà più povere, andava verso una completa “regionalizzazione” della competenza legislativa in materia scolastica, riconducendola nell’ambito dell’organizzazione e gestione degli istituti (in cui poteva anche  rientrare la gestione del personale della scuola).
Infatti, l articolo 117 della Costituzione modificata da Berlusconi sanciva che spettava alle regioni la potestà esclusiva nell’organizzazione scolastica, nella gestione degli istituti scolastici e di formazione e nella definizione dei programmi (oggi già  definiti indicazioni nazionali!) scolastici e di formazione di interesse regionale.
Ma essa, con i suoi 35 articoli revisionati,  non riguardava soltanto il sistema scolastico, ma incideva profondamente su tutta la struttura portante della Repubblica, in quanto rendeva relativi ed incerti il sistema sanitario nazionale, i corpi nazionali di polizia, l’uguaglianza tra territori regionali a diversa capacità contributiva, lo stato di cittadinanza sociale e la rappresentanza parlamentare unitaria.
Fortunatamente tale riforma, essendo stata approvata dal Parlamento con maggioranza semplice, fu spazzata via dal referendum costituzionale popolare del 2006.
Epperò, oggi, dopo l’approvazione, da parte dell’attuale Parlamento del governo Berlusconi, delle linee generali del cosiddetto “federalismo fiscale”, con la legge delega n. 42 del 5 maggio 2009, si ritorna al passato, stabilendo la suddetta legge:
all’art.8 si riferisce esplicitamente all’istruzione pubblica, attribuendo alle Regioni la materia
concorrente dell’istruzione e la materia esclusiva dell’istruzione e formazione
professionale;
all’art.21 individua tra le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province “le funzioni di
istruzione pubblica, ivi comprese gli asili nido e quelli di assistenza scolastica
e refezione, nonché l’edilizia scolastica;
all’art. 22 inserisce tra gli interventi di perequazione infrastrutturale anche la rete scolastica,cioè il dimensionamento delle scuole e la riorganizzazione del servizio scolastico (definizione degli organici, formazione delle classi, etc.).
Con siffatta legge cornice, è facile immaginare che i decreti legislativi attuativi, rimessi ad accordi tra le parti,  tenderanno a ripristinare la devolution già sconfessata dai cittadini.
 Ricordiamoci, in proposito, le parole scritte da Benedetto Croce, in Cultura e Vita Morale: “ Il Regionalismo, nel mondo teoretico, è una delle tante  forme in cui si manifesta l’angustia, la piccineria, la meschinità intellettuale; nel mondo pratico è una delle tante forme, in cui si manifesta l’egoismo, l’avidità, la prepotenza, l’ingiustizia, la meschinità morale”.
Sarebbe  opportuno, invece, che i nostri attuali parlamentari ricordassero il discorso pronunciato da Francesco De Sanctis in Parlamento nel lontano 1874: ”L’istruzione è innanzitutto una questione d’interesse pubblico, come l’Amministrazione della giustizia; è qualche cosa che non interessa la famiglia solamente, ma interessa tutti. Ond’è che in questo concetto l’azione dello Stato diviene principale e l’azione dei Comuni e della famiglia diviene sussidiaria”.Tale discorso sembrava riflettere il pensiero di Cicerone, allorché scriveva nella sua “De Divinatione”: Quale dono, maggiore o migliore, possiamo offrire allo Stato, che quello di insegnare e di istruire i giovani?
Se tali concetti possono sembrare troppo antichi, è il caso di riportare le parole più recenti di Codignola e di Moro, pronunciate nell’Assemblea Costituente dello Stato democratico e repubblicano.
Il primo sosteneva che “la Scuola deve essere sacra per tutti, come cosa che trascende le posizioni di partito, come cosa che riguarda l’avvenire dei nostri figli e le generazioni future”; il secondo gli faceva eco, richiamando “alla concordia degli spiriti, all’unità degli intenti che bisogna che si stabilisca sui problemi della Scuola… per combattere questa comune battaglia di libertà, di progresso e di avanzamento spirituale di tutto il popolo italiano”.
Venendo alla temuta probabilità che i decreti attuativi della riforma in atto possano reintrodurre la nefasta “devolution” già imposta nel 2004, è  opportuno porsi le seguenti domande:
1) l’eccessivo peso che si vuole attribuire in materia scolastica alle Regioni, alle Province ed      ai Comuni non finisce di comprimere di fatto, al di là della salvaguardia esplicita     mente   riaffermata, la stessa autonomia “reale”riconosciuta alle Scuole?
2) Il nuovo sistema scolastico “a più voci”, ma con prevalenza di quella “regionale”, non rischia di frantumare la “centralità” del servizio pubblico scolastico o addirittura di vanificarne l’esistenza,  facendo così il passo indietro di un secolo, allorquando le Scuole dipendevano dai Comuni?
3 ) L’educazione del popolo non rientra forse nella sfera dei diritti civili e sociali fondamentali dei cittadini, per cui va garantita in modo egualitario ed unitario dallo Stato?
4) I servizi scolastici, erogati dalle Regioni ( ad esempio la Lombardia) economicamente più forti, non saranno qualitativamente migliori e quantitativamente maggiori di quelli erogati dalle Regioni più povere, come la nostra Campania che maggiormente soffre dell’atavica inadeguatezza delle strutture e dei servizi scolastici (edifici – per di più non a norma di sicurezza – palestre, laboratori, strumenti tecnologici, biblioteche, mense, trasporti), nonché
dei forti tassi di evasione e dispersione scolastica?
5)  L’esperienza pregressa della gestione diretta delle scuole da parte dei Comuni dal 1860 al 911-1933, ritenuta mediocre –  per la scarsa professionalità dei capi d’istituto nominati dalle amministrazioni locali e per la deplorevole condizione retributiva (anche allora) degli insegnanti (peraltro di misura diversa da Comune a Comune e non sempre puntuale) a cui posero fine, sia il governo di sinistra del ministro Credaro che  quello fascista el ministro Ercole, non   dovrebbe   far riflettere   profondamente quanti hanno a cuore l’istruzione pubblica?
6) In ultima analisi i profili scolastici regionali diversificati, determinando la polverizzazione del nostro sistema scolastico, non ci allontaneranno dall’Europa che già ha fissato obiettivi comuni per l’istruzione e la formazione a livello europeo?
Su queste domande dovrebbero interrogarsi il ministro Gelmini e tutti i cittadini, gli operatori scolastici, di qualsiasi livello (dirigenti, docenti ed amministrativi), le famiglie degli studenti, gli stessi studenti della scuola secondaria superiore, nonché le organizzazioni sindacali di categoria, al fine di operare una scelta meditata tra una Scuola al servizio delle ideologie politiche dominanti in determinate epoche e nei diversi territori del  Paese ( qual  è quella che potremo avere con i decreti attuativi della riforma), o una Scuola realmente autonoma, che abbia un progetto culturale unitario, pur se  flessibile rispetto alle diverse esigenze e caratteristiche territoriali, come è già stata configurata dalla legge sulla sua autonomia.
 Solamente se prevarrà quest’ultima soluzione, potremo conseguire l’agognato miglioramento dell’offerta formativa, la qualità totale degli studi, coniugando i nuovi principi dell’autonomia reale, della trasparenza,  efficienza ed economicità con il tradizionale princìpio costituzionale del 1948 (ahimé non ancora concretizzato!) del pieno sviluppo della persona umana, a prescindere dalle sue condizioni personali e sociali, sulla scia del nostro Sommo poeta, Dante Alighieri, allorquando scriveva: “considerate la vostra semenza: fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza (Inf. XXVI,118/120)






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