Il ruolo della lingua italiana nel processo di Unita' Nazion
Data: Sabato, 06 novembre 2010 ore 06:57:00 CET
Argomento: Istituzioni Scolastiche


La cultura letteraria e la lingua, pur nella varietà dei dialetti e delle lingue regionali, hanno creato e sostenuto la coscienza unitaria già molto prima del 1861.  La questione della lingua, sorta già con Dante, ebbe un punto di arrivo con la pubblicazione nel 1612  del Vocabolario degli Accademici della crusca fondato sull’opera di Pietro  Bembo. Il Bembo guardava ai grandi trecentisti, in particolare Petrarca e Boccaccio come ad esepmpi da seguire nella creazione di una lingua italiana. Il concetto di identità nazionale, tuttavia, è più antico. Basta citare Dante che fa pronunciare a Sordello  (Purgatorio Canto VI)  la famosa invettiva: “Ahi serva Italia…” dove pur nell’indignazione si avverte la coscienza di un’unica Nazione, di un unico popolo. E Francesco Petrarca aveva chiara la realtà culturale e linguistica unitaria dell’Italia quando nella Canzone All’Italia  (Canzoniere CXXVIII) recita: “Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno/ a le piaghe mortali/ che nel bel corpo tuo si spesse veggio, piacemi  almen che ‘ miei sospir’ sian quali/ spera il Tevero e l’Arno,/ e ‘l Po, dove doglioso e grave or seggio… apri Tu, Padre, e ‘ntenerisci  et  snoda;/ ivi fa che ‘l tuo vero,/ qual io mi sia, per la mia lingua s’oda”.  Partendo proprio dall’ultimo verso di Petrarca,secondo Neria  De Giovanni,si comprende come proprio la “questione della lingua” ha mantenuto accesa la spinta verso l’unità territoriale, storica e politica. Si è accennato sopra a Pietro Bembo,ma non si può trascurare la polemica tra Giacomo Leopardi, fautore di una lingua italiana “viva” e l’abate Cesari fautore di un ritorno al “purismo” linguistico.  L’invasione napoleonica diede modo a Vincenzo Monti nel 1806  di intendere l’Italia, ancor prima del Risorgimento, come unità culturale e linguistica: “Bella Italia, amate sponde…” Con l’unità d’Italia l’unicità della lingua divenne una necessità per favorire la piena consapevolezza di appartenenza ad un unico destino storico. La disputa letteraria si trasformò, quindi, in problema politico riguardante la lingua come comunicazione sociale. Il lombardo Alessandro Manzoni, risciacquando “i panni in Arno” creò e diffuse una prosa moderna attuando l’ideale di lingua “viva”, parlata da tutti, da “una gente che libera tutta…”  dalle Alpi al mare, “una d’arme, di lingua, d’altare,/ di memoria, di sangue e di cor (Ode marzo 1821). Dopo Manzoni tutti gli scrittori dovettero scegliere tra la lingua regionale e l’italiano letterario. La Deledda passò dal sardo all’italiano che studiò come lingua straniera. Verga compì una splendida operazione di “impasto” originalissimo che fa quasi percepire al lettore la voce e il tono dei personaggi “del ciclo dei vinti”. Attualmente la lingua si presenta come un misto di registri letterari e di espressioni proprie del parlato. Le tendenze separatiste dei nostri giorni non ci debbono condurre al dissolvimento della cultura italiana e le celebrazioni dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia dovrebbero servire a rafforzare il senso dell’identità culturale.  Pertanto ben vengano iniziative come quella dell’Amari di Giarre

 

 







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