Insegnanti di sostegno, esercito lasciato a se stesso. Il reclutamento e il caso di Messina
Data: Domenica, 31 ottobre 2010 ore 09:00:00 CET Argomento: Rassegna stampa
Sono quasi 95mila gli insegnanti di sostegno
impiegati nelle scuole italiane con l’obiettivo di integrare gli alunni
disabili nelle classi. Un esercito,
mai abbastanza numeroso. Perché troppo spesso scarsamente (o per
nulla) preparati, ma soprattutto distribuiti senza alcun criterio
logico. Il caso del liceo di Messina
dove si mette accanto a uno studente iperattivo un insegnante cieco è
soltanto una delle situazioni che dimostrano che non c’è serio governo
del fenomeno. Ma come viene
reclutato questo personale? Teoricamente
dovrebbero essere “specializzati” attraverso appositi corsi che negli
ultimi anni sono sorti come funghi senza alcun controllo.
Ci sono corsi universitari praticamente biennali dove si studia e dove
si può anche essere bocciati, ma ci
sono insegnanti che hanno raggiunto la specializzazione in corsi di 40
ore gestiti da enti privati che avevano come unico scopo quello di fare
soldi. Perché questi corsi si pagano, a migliaia di euro, ma è
un investimento, perché la specializzazione è di fatto diventata da
alcuni anni il lasciapassare per un posto fisso nella scuola. Non a caso i due terzi dell’esercito degli
insegnanti di sostegno è tuttora personale precario senza alcun titolo
di specializzazione. Personale attinto dalle graduatorie dei
precari alla ricerca di un posto e di uno stipendio, un contingente di
impiego senza titolo di almeno 30mila persone a cui peraltro vanno
aggiunti anche quegli insegnanti di ruolo che si sono visti costretti
ad occuparsi del sostegno perché, grazie ai tagli degli organici,
avevano perso la cattedra.
Ancora una volta, dunque, anche uno dei problemi di grande delicatezza
come l’integrazione degli alunni disabili, troppo spesso è diventato una occasione
privilegiata per creare dei posti. E una volta che il posto ce
l’hai perché sei diventato di ruolo, puoi anche approfittare di
un’altra occasione preziosa: arrivare in cattedra, sempre col posto
fisso. Alla faccia di chi ha vinto un concorso regolare. Un po’ quel
che avviene per gli insegnanti di religione: arrivano a conquistarsi un
rapporto di lavoro a tempo determinato, ma poi, se il vescovo gli
toglie la fiducia, lascia l’insegnamento della disciplina, ma mantiene
il posto, e va su una cattedra normale a seconda del titolo di studio
che possiede. Al di là di queste miserie che comunque nessun governo è
riuscito finora a correggere, nelle scuole italiane ci sono
innumerevoli esperienze di insegnanti che fanno il loro dovere e che,
grazie alle loro competenze, hanno consentito ai ragazzi disabili di
arrivare al diploma spesso anche con notevole profitto. Ma si tratta di
situazioni che si verificano autonomamente per l’impegno di qualche
dirigente scolastico e degli stessi docenti.
Dall’alto non arriva nemmeno criteri di buon senso per gestire il
fenomeno. Sempre con l’acqua alla gola, con la norma generale di
autorizzare un insegnante di sostegno ogni due disabili che
puntualmente deve essere corretta per far fronte alla domanda
esistente. Perché i disabili non sono
tutti uguali, perché il sostegno di conseguenza varia, perché i posti
non sono mai sufficienti, perché le risorse vengono utilizzate male.
E dire che l’Italia con la legge 104 del 1992 è certamente
all’avanguardia nel mondo nell’indicare i principi su cui impostare
l’integrazione. Ma quella è una legge
troppo spesso rimasta sulla carta. Non è un caso che mai come
oggi si torni a parlare di classi differenziali. Che sarebbe per tutti
(ma soprattutto per i disabili) una sconfitta epocale.
( di Augusto Pozzoli da http://www.ilfattoquotidiano.it/)
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