La montagna per imparare e riflettere. La sua maestà e le asprezze come metafora della vita.
Data: Lunedì, 25 ottobre 2010 ore 07:24:48 CEST
Argomento: Redazione


Le castagne, la scuola, la vita. Cosa c’entrano queste tre parole insieme? Una giornata speciale tra i boschi, passata sabato scorso da 350 studenti e professori del Liceo salesiano classico e scientifico “Don Bosco” di Catania, ci aiuterà a capire. Tra la pioggia di venerdì e di domenica si è aperta sabato mattina una finestra di sole e bel tempo che ha permesso loro di vivere la tradizionale «Gita delle castagne» sull’Etna. A questo punto vi chiederete perché scrivere su una semplice gita scolastica in mezzo ai tanti problemi della scuola di oggi. Qual è la notizia? La notizia? La notizia sta proprio nella quotidianità! Sì, perché nonostante tutto la scuola va avanti, tenendo la testa alta, non un’entità generica ma persone reali, ragazzi, donne e uomini che sono appassionati innanzitutto della vita o almeno dovrebbero.
E la vita vera per i cinque anni della secondaria di secondo grado è proprio fatta di un continuo confronto di idee, storie, incontri, persone, stagioni che passano e si rinnovano. Così capita che un sentiero stretto e impervio di montagna sia l’occasione per Prof. e alunni per parlare delle incertezze del futuro, dell’amore, dell’amicizia, di come le difficoltà possano diventare opportunità quando si cammina insieme, cioè diventi scuola. Il Prof. non si cela più dietro le frasi ad effetto o le dotte citazioni, dietro al registro o all’ora che è finita; gli studenti cercano e trovano così il “cuore a cuore”, qualcuno da “odiare o di cui innamorarsi”, un modello credibile e vero fuori dalle pagine dei libri, ma che li fa appassionare a quei libri stessi. Il percorso è difficile e c’è chi resta indietro, da solo a volte, come capita in classe per chi non è molto bravo o non sa tenere il passo. Che fare? Raggiungere il gruppo e lasciare solo chi non ce la fa? No, nessuna esitazione, bisogna rassicurare i primi e prendersi cura di chi è indietro. Questo ci accade di continuo in aula quando, presa coscienza della loro giovane età e della loro inesperienza, chiedono aiuto per crescere e maturare nel migliore dei modi a coloro che pensano essere “maestri di vita”. E allora il Prof. si ferma e ascolta, si accosta e se necessario si china, attende paziente ed esorta, tranquillizza e incoraggia, perché dopo il ragazzo possa riprendere il cammino e scrivere con le proprie mani, in libertà e autonomia, la propria storia. «Io questa cosa non la capisco, non so come si fa», quante volte abbiamo sentito queste parole; nella salita c’è anche questo, c’è dinanzi una roccia liscia e scivolosa, quella della stanchezza, della demotivazione, del disinteresse. Siamo tentati di non dare ascolto a questo ennesimo grido, non vogliamo perdere tempo, quel concetto lo abbiamo spiegato tante volte. La montagna, però, ci insegna che il ragazzo può mettere i piedi dove prima li ha messi il Prof., che può seguirlo, guardarlo nei movimenti; il Prof. è lì, sa che non deve fare il cammino al posto del ragazzo, ma se necessario gli tende la mano e la afferra per dargli sicurezza.  Riscopriamo allora che educare non vuol dire imporre verità o valori, ma solo proporli dimostrando, poi, con la propria vita che val la pena seguirli. L’educatore pone la segnaletica, non impone il percorso! A questo punto restano solo le castagne, perché di scuola e di vita abbiamo parlato, ma esse sono il punto di partenza e di arrivo. Sì, perché il gusto delle castagne ci deve ricordare il gusto dell’educazione, un’educazione fatta di cuore più che di nozioni; ci deve ricordare perché abbiamo scelto questa “missione” ripetendocelo tutti i giorni, con l’umiltà di tendere verso una verità e di lasciarci accompagnare con gioia e ottimismo, con coraggio e passione dai giovani che ci sono stati affidati. Essere insegnanti non è facile, ma di certo si può essere felici e, perché no, godendo insieme ai nostri alunni del profumo delle castagne arrostite come del profumo della cultura!

Marco Pappalardo

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