Riforma Brunetta, P.A. e pubblici dipendenti La nuova stagione della “performance”
Data: Domenica, 24 ottobre 2010 ore 18:00:00 CEST
Argomento: Normativa Utile


La c.d. “Riforma Brunetta” finalizzata alla riforma della PA ha avuto inizio con la legge 4 marzo 2009 n. 15, recante delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
L’art. 2 della succitata legge delega, infatti, il Governo ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, entro il termine di nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, uno o più decreti legislativi volti a riformare, anche mediante modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, e della relativa contrattazione collettiva per il raggiungimento degli obiettivi indicati dettagliatamente dall’art. 2 ora citato.
Con il d.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 è stata data attuazione alla riforma della pubblica amministrazione in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Infatti, in attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge 4 marzo 2009, n. 15, le disposizioni del d.lgs. n. 150/09 recano una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, intervenendo in particolare in materia di contrattazione collettiva, di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche, di valorizzazione del merito, di promozione delle pari opportunità, di dirigenza pubblica e di responsabilità disciplinare. Fermo quanto previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recano altresì norme di raccordo per armonizzare con la nuova disciplina i procedimenti negoziali, di contrattazione e di concertazione di cui all’articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e ai decreti legislativi 12 maggio 1995, n. 195, 19 maggio 2000, n. 139, 13 ottobre 2005, n. 217, e 15 febbraio 2006, n. 63.
Le novità introdotte dal decreto n. 150/2009 assicurano una migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità.
La parola chiave della riforma in esame è di derivazione anglosassone ed è “performance”, termine evocativo di molteplici significati, che letteralmente significa “esecuzione”. Nel corpus normativo in cui viene utilizzato, sta ad indicare la qualità di un’attività, singola o collettiva, che deve essere attuata con il massimo sforzo per ottenere il miglior risultato . Nei fatti, l’introduzione della “performance” determina una diversa valutazione della prestazione del dipendente che non dovrà più essere solo diligente bensì dovrà essere il frutto di una “grande” diligenza, con conseguente diverso e più severo impiego delle sanzioni disciplinari a fronte di uno scarso rendimento del dipendente pubblico, sino a giungere alla più grave delle sanzioni qual è il licenziamento per insufficiente rendimento.
Il d.lgs. n. 150/2009 costituisce proprio un importante atto di regolazione in materia di misurazione, valutazione e trasparenza delle performance della P.A., cui si è pervenuti dopo un lungo dibattito circa l’opportunità/necessità di introdurre, anche nel settore pubblico, la cultura della valutazione.
Il neo-introdotto sistema di valutazione si pone non più come mero criterio di computo e ripartizione di importi accessori della retribuzione del pubblico dipendente bensì è finalizzato a migliorare la qualità dei servizi offerti dalla P.A. Nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione sulla base di risultati conseguiti sia dai singoli che dalle unità organizzative, in un quadro di pari opportunità di diritti e doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e delle risorse impiegate per il loro perseguimento.
Ogni amministrazione pubblica dovrà adottare modalità e strumenti di comunicazione che garantiscano la maggior trasparenza delle informazioni relative alle misurazioni ed alle valutazioni delle performance.
In questa nuova ottica la valutazione della performance è strettamente connessa al soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi.
La riforma in questione dovrà essere attuata senza nuovi oneri per la finanza pubblica.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009, l’erogazione di incentivi al personale potrà dunque avvenire solo sulla base di un sistema di valutazione come quello previsto e disciplinato dal titolo II del decreto stesso che, a tal fine, è inderogabile (art. 2 e segg.).
A tali fini, per l’attuazione della riforma suddetta, è fondamentale l’elaborazione da parte di ogni amministrazione di sistemi interni ed esterni di valutazione.
A dicembre 2009 è stata istituita la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni, deputata al ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo dell’attuazione della riforma, garantendone una corretta valutazione nonché la trasparenza.
Dovranno ora le singole amministrazioni dotarsi di un proprio organismo indipendente di valutazione delle performance che, entro il 30 settembre 2010, in base alle indicazioni della Commissione succitata, dovrà definire i sistemi di valutazione delle performance individuale ed organizzativa, i quali dovranno essere operativi da gennaio 2011.
Successivamente al d.lgs. n. 150/2009, è stato emanato il decreto legislativo 20 dicembre 2009 n. 198, anch’esso attuativo della legge delega n. 15/2009, in vigore dal 15 gennaio 2010, il quale prevede la c.d. Azione collettiva nei confronti della pubblica amministrazione per i casi di violazione di standard qualitativi ed economici; azione fondata su una concezione dell’amministrazione pubblica che deve operare per raggiungere risultati effettivi, in armonia con il principio del buon andamento e che, pertanto, è anch’essa strumentale a sollecitare il ripristino dell’efficienza e ad attuare trasparenza nell’attività della pubblica amministrazione.
La serie di interventi normativi che nel giro di poco tempo sta tentando una profonda riforma della P.A. Evidenzia chiaramente un “ritorno” alla legge quale fonte in materia di lavoro pubblico, tendenza confermata dal principio di inderogabilità della legge da parte della contrattazione collettiva, sancito dalla legge delega e confermato nei decreti attuativi, per cui le disposizioni dei CCNL vigenti, ove invadano il campo di competenza della legge così come individuato dall’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001, sono nulle e sostituite automaticamente dalla normativa prevista dalla legge stessa.
Si evidenzia peraltro che il d.lgs. 150/2009 ridisegna, con molteplici novità, regole e procedure di contrattazione, ridefinendo i comparti e le aree di contrattazione, specificando nuovamente le materie affidate alla contrattazione collettiva, modificando l’efficacia temporale dei contratti nazionali, revisionando le tempistiche delle procedure di contrattazione, ed infine revisionando meccanismi e controlli della contrattazione collettiva integrativa.
Ciò non significa che nel nuovo corso della pubblica amministrazione venga meno il ruolo della contrattazione collettiva, alla quale necessariamente è demandata la negoziazione per ciascun comparto sulla base delle nuove regole, con determinazione ed attuazione, anche in sede decentrata, degli istituti retributivi collegati alla performance individuale ed alla performance organizzativa.
Peraltro, già si pongono problemi di coordinamento tra le disposizioni citate ed il recentissimo blocco delle retribuzioni per gli anni 2011, 2012 e 2013, disposto dall’art. 9 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 (recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”), convertito con legge del 30 luglio 2010 n. 122.
La recente manovra correttiva ha infatti previsto che il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche, non può superare in ogni caso il trattamento in godimento nell’anno 2010, fatta salva l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale nelle misure previste a decorrere dallo stesso anno 2010.
Così come è congelata la contrattazione collettiva per il personale pubblico nel triennio 2010 – 2012.
Evidente è, dunque, la diversità e “virtuale conflittualità” tra le norme esaminate, per la cui attuazione è previsto ampio spazio alla contrattazione collettiva.
Indubbiamente la Riforma Brunetta ha il merito di rendere chiaro il sistema degli incentivi nel pubblico impiego e di dotare i dirigenti di strumenti più efficaci per poter incidere sui comportamenti del personale assegnato alla sua responsabilità, riportandoli a standard adeguati. Tuttavia, il cambiamento auspicato dagli organi politici e sollecitato a livello normativo con la riforma in atto, in tanto sarà possibile in quanto si verifichi un cambiamento a livello culturale da parte dei diretti destinatari della riforma, ed in particolare proprio da quelli che, seppur in minoranza, hanno indotto il legislatore ad introdurre norme “anti-fannulloni”, destando la reazione di quei dirigenti e dipendenti che, invece, hanno sempre con profitto gestito e servito “la cosa pubblica”.
Allo stato, il traguardo che la macchina della riforma deve raggiungere, è ancora lontano. (di Daniela Carbone da http://www.laprevidenza.it/)

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