Riscoperta di De Sanctis e della sua critica contro l'impressionismo
Data: Domenica, 24 ottobre 2010 ore 09:10:48 CEST Argomento: Recensioni
Quello
che nel saggio desanctisiano sul Cours
familier de Littérature di M.De Lamartine(1857) viene
garbatamente, ma fermamente disapprovato e condannato, è il criterio di
Lamartine fondato sulle impressioni. L’impressione, di per sé
vaga e soggettiva, presa come punto di arrivo di un giudizio critico
letterario, non può andare al di là di una valutazione puramente
estetica; il critico che si affidi
solo all’impressione, pensando alle parole- dice il De Sanctis –
perde l’idea.
L’impressione varia col gusto e il gusto con la coltura, e il giudicare
per essa significa fare della critica formale e psicologica. Infatti,
per quanto vera possa essere, cioè oggettiva,una critica impressionistica rimane pur
sempre alla superficie delle cose, al loro effetto esteriore.
Scrive De Sanctis :” Supponiamo che la impressione si manifesti con
quella semplicità e moderazione che è la faccia della verità, e che i
suoi particolari sieno propri e chiari. In questo caso l’impressione
non si può dire falsa, ma neppure ancor vera; non esiste ancora. Perchè
una cosa esista, devi mostrarmi le qualità che la costituiscano, che
fanno che sia”.
L’impressione nella sua generalità è indeterminata, se non è
accompagnata da parte del critico da una “perfetta” coscienza del mondo
poetico che vuole determinare, assegnandogli il suo posto e
attribuendogli il suo valore.
Un critico “coscienzioso”, pertanto, come non dovrà fare
troppo affidamento al puro gusto estetico,non dovrà nemmeno, per
chiamarsi tale, essere possessore “ a priori” di tre o quattro formule
e applicarle senza tener conto dei sentimenti.
Così facendo – afferma il De Sanctis – si corre il rischio di perdere
il sentimento per il concetto, ossia si cade nell’errore opposto, nella
critica astratta, generica, aprioristica, propria – polemizza il
Nostro - dei Tedeschi.
Il critico prima ancora di sapere e dare definizioni, deve comprendere,
sentire; e fin qui si può essere d’accordo con il Lamartine, quando
sostiene che :” a meno di essere una pura
intelligenza, non si comprende bene se non ciò che sentiamo “.
Tuttavia, questo puro sentire non basta per giudicare di una poesia o
di un’opera d’arte in genere.
Compito del critico è chiarire al lettore quello che nel poeta spesse
volte è rimasto in ombra, determinare e connettere quello che il poeta
ha voluto rimanesse sottinteso, indeterminato e , quindi, poco chiaro
non tanto per cattivo gusto d’ermetismo preconcetto, quanto per
necessità di sintesi e desiderio d’immediatezza al massimo, sì che “ di
una parola, come eco armoniosa, solo alcune sillabe il poeta ripete”. (
Ci sembra di sentire il rammarico del Carducci : “ Ahi, fu una nota del
poema eterno/ quel ch’io sentiva e picciol verso or è”.
“ Non crediate - avverte il De Sanctis – che egli [il poeta]
gitti sulla carta tutta intera la sua visione e tutte le sue
impressioni”. Opera del critico è perciò “ raccogliere quelle poche
sillabe” che il poeta nel fuoco della sua ispirazione ha espresso, e
quindi “indovinare la parola tutta intera”, porre le gradazioni e i
passaggi, cogliere le idee intermedie e accessorie; trovare i
sentimenti da cui sono sgorgate quelle “poche sillabe”.
Per questa funzione esegetica e interpretativa il critico è simile
all’attore; entrambi non riproducono soltanto il mondo poetico ma lo
integrano, empiono le lacune. “ Il critico ti dee presentare il mondo
poetico rifatto e illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la
scienza vi perda la sua forma dottrinale, e sia come l’occhio che vede
gli oggetti e non vede se stesso. La scienza come scienza è filosofia,
non è critica”.
Per questa funzione integrale ( e integrativa ) la critica è utilissima
perché traendo il puro dato formale o fantastico, lo comprende e
illumina nel contesto di un discorso più ampio e articolato, forse meno
poetico, ma certo più completo. In tal senso può dirsi che “ la critica
germoglia dal seno stesso della poesia”, e, talvolta, può
divenire poesia essa stessa, se il critico sa immedesimarsi con
il mondo del poeta, sì da poterne riprodurre le immagini.
Ma immedesimare non ci si può arrestandosi alla pura
impressione; bisogna andare oltre: contemplare, rivivere, fare proprio
quel mondo poetico. E il Lamartine con quel suo criterio critico basato
sulla semplice impressione di fantasia, sulle impiallacciature di
sentimento o di colore, non poteva fare critica né “coscienziosa “ né “
perfetta”.
N.B. : le citazioni del saggio desanctisiano sono tratte da :
Saggi e scritti critici e vari, vol. III, ed.Barion, 1946.
Nuccio
Palumbo
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