Addio a Mandelbrot
Data: Domenica, 17 ottobre 2010 ore 19:27:31 CEST
Argomento: Eventi


Apprendo solo ora che Benoit Mandelbrot è morto giovedi scorso. Evidentemente, la notizia che uno dei grandi matematici del secolo se n’è andato non importa gran che ai media, che pure sono sempre pronti a gettarsi sull’ultimo gossip.

E dire che la novità introdotta da Mandelbrot nella matematica del Novecento era arrivata anche alla gente comune, fino a catturarne l’immaginario. Si tratta, infatti, dei famosi frattali: di quei letterali “oggetti fratturati”, cioè, che consistono in una figura le cui parti la riproducono interamente in scala più piccola. E’ stata proprio questa sorta di mise en abyme, a rendere tali oggetti popolari non solo nella grafica computerizzata, ma anche nei poster e sulle magliette.

In realtà, non è stato Mandelbrot a scoprire i frattali: i primi esempi risalgono a fine Ottocento, e uno dei più famosi è la cosiddetta curva di Peano, che copre interamente il piano. Ma è stato lui a introdurre la parola “frattali”, e a far diventare il loro studio uno dei campi più intriganti della matematica. In particolare, grazie al famoso insieme di Mandelbrot, i cui anfratti riproducono un’infinita varietà di forme e costituiscono una sorta di catalogo universale di tutti i frattali.

Per qualche tempo i frattali sono stati considerati delle semplici curiosità, e il loro profeta un matematico un po’ marginale. Ma oggi sono stati pienamente rivalutati, e almeno due medaglie Fields (l’analogo del premio Nobel per la matematica) sono state assegnate per ricerche legate all’insieme di Mandelbrot. La prima a Jean Christophe Yoccoz, nel 1994, per aver dimostrato che quell’insieme è fatto tutto d’un pezzo, e non di pezzi isolati. La seconda a Curtis McCullen, nel 1998, per aver individuato in esso un sottoinsieme di punti significativi per lo studio dei sistemi dinamici.

Mandelbrot era molto orgoglioso di questi riconoscimenti, che considerava in parte un tributo tardivo al valore del suo lavoro. Ma gli piaceva continuare a descriversi come un cavaliere solitario nelle praterie della matematica, alla scoperta di aree selvagge da conquistare. Ad esempio, negli ultimi anni si era dedicato a pubblicizzare le sue ricerche su Il disordine dei mercati (Einaudi, 2005), nelle quali applicava la teoria dei frattali all’economia, per lo sconforto degli economisti classici.

Quando venne al primo Festival di Matematica di Roma, nel 2007, il pubblico era talmente numeroso che dovemmo riservargli la sala maggiore dell’Auditorium. Due anni dopo tornò per il prologo del terzo Festival, a New York, e ricordo che un ascoltatore mi disse stupito che non sapeva fosse ancora vivo: nel senso che ormai era un mostro sacro, di quelli che si pensa appartengano alla storia del passato, e non alla cronaca del presente.

Ma Mandelbrot apparteneva veramente alla storia, in generale, e non solo a quella della matematica. Parlare con lui era come ripercorrere l’intero secolo, attraverso gli innumerevoli aneddoti che lui amava raccontare senza posa. E di cose da raccontare ne aveva tante, un ebreo polacco emigrato in Francia da bambino nel 1936, che era poi vissuto di qua e di là dell’Atlantico. Anche negli ultimi anni, se solo si lasciava passare qualche tempo senza scrivergli, si doveva poi iniziare un’affannosa ricerca per localizzarlo, nell’ultimo laboratorio dove il vagabondo della ricerca si era spostato, spesso cambiando indirizzo di mail.

Qualche anno fa, al Festival della Scienza di Genova, mi aveva detto che era preoccupato per le sue memorie, che ormai stavano assumendo dimensioni gigantesche. E alla mia domanda, su quanti volumi sarebbero stati, aveva risposto: “Dipende da quanto resisterò alla tentazione di filosofare. Perché se, ad esempio, mi metto a disquisire sul ruolo degli outsider nella storia della scienza, già quello potrebbe diventare un libro. Ma per ora non penso al numero dei volumi: mi preoccuperò dei ponti quando arriverò al fiume”. Chissà a che punto era arrivato giovedì, quando è giunto per lui il momento di traghettare il grande fiume.

Piergiorgio Odifreddi - www.repubblica.it







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