Se il senso della giustizia fa parte della natura umana, la legalità cosa disciplina?
Data: Mercoledì, 13 ottobre 2010 ore 07:19:15 CEST
Argomento: Redazione


Non esistono fatti ma solo interpretazioni, così scriveva F. Nietzsche nel secolo dei grandi filosofi, l’Ottocento,fra i quali fu sicuramente tra i più grandi ed anche, purtroppo, fra i più bistrattati ed incompresi.
Appunto, la giustizia è un’interpretazione dei fatti, la legalità il complesso di norme e di divieti che da essa ne deriva.
I più, scandalizzati, grideranno: “ cosa? Cosa? La somma giustizia ridotta ad appendice dell’umana visione del mondo? “ Calma, a meno che non s’intenda ancora l’uomo come il frutto atipico di quel progenitore chiamato australopiteco, la società, il mondo è ciò che esso si è costruito attorno a sé; ogni uomo può essere tutto o può scegliere di essere il nulla più infimo che sia apparso sulla Terra. Questo è il libero arbitrio. Nessuna cosa gli è estranea: nemmeno la stessa sua natura gli dovrebbe essere estranea, il mondo e l’uomo, uniti come il viaggio ed il viaggiatore, la pietra e l’architrave.
Anche quando i giusnaturalisti storici si appellavano all’esistenza di un principio naturale della giustizia, del diritto, tale principio non poteva essere considerato estraneo, avulso dalla natura umana, dalla sua interpretazione, dalla sua visione del mondo.Senza di essa , infatti, senza la conoscenza del mondo,come i fatti potrebbero essere presi in considerazione?
In buona sostanza, non si può vivere senza il senso della giustizia che scaturisce sempre in modo naturale da ogni uomo che entri in contatto con il mondo, con gli altri, ma si farebbe, se  si potesse, a meno di vivere con quel  sistema di leggi, pesante fardello, male necessario, che abbiamo in ogni società.
Sentiamo un vivo senso di malinconia e persino di pena ogniqualvolta vediamo le foto di scolaresche intere che a testimonianza di aver seguito il solito, ennesimo. “progetto sulla legalità” vengono ripresi magari accanto a tanti uomini in uniforme a testimonianza , forse, di questo magnifico sposalizio tra i giovani e la legalità rappresentata dalle varie forze dell’ordine. Proviamo pena perché ci chiediamo: fino a che punto si è fatto comprendere a  quei ragazzi  che la vera legalità non è il mero adeguamento ad un ordine costituito che spesso viene introiettato come garanzia di sicurezza, si, ma che rimane estraneo al punto più intimo di ogni uomo da cui nasce la propria visione del mondo, l’interpretazione, appunto.
Si, perché il senso della giustizia, come il senso del bello, come il senso superiore della libertà, nasce sempre e solo dal’individuo; non è parandogli davanti la sequela degli articoli costituzionali , degli statuti, dei vari regolamenti che rappresentano la legalità, ovvero il sistema costituito della legalità, quello per convenzione condiviso, accettato ma… attenzione ,spesso, ed anche nei migliori dei casi,non veramente vissuto, capito, intuito che si aiuta a formare un sentimento interiore della giustizia. Lo sguardo, infatti, rimarrebbe al di qua del muro: fisso ad osservare una definizione esterna che non ci appartiene, che ci sfugge, che si reifica semmai in qualche  sobria uniforme… ma niente di più. Nessuna semantica, nessuna simbologia ottusa ed opaca negazione dell’interpretazione personale può sostituirsi al vero senso della giustizia, come del bello, come della libertà; solo attraverso essa la pietra della legalità, la massa cubica delle norme sociali si può unire all’architrave dirozzata, ben congegnata, dell’individuo, solo così entrambe non cedono né si frantumano.
Giustizia può essere e rimanere soltanto un imperfetto predicato dell’insolutezza di un apparato sistemico ed omologato di leggi, oppure, al contrario assumere le sembianze di qualcosa che vive e cresce con ogni individuo del mondo; più i suoi orizzonti sono in grado di estendersi, più i suoi occhi sono in grado di capire, di comprendere, obliare, aver anche compassione, percepire, sentire… più essa gli appartiene, non più estranea, non più  solo sociale ma sempre e soprattutto individuale prima di ogni altra cosa.
I  Greci scrivevano sulle lapidi dei soldati valorosi morti nelle battaglie :hèstos, cioè “ vivo, eretto, desto”, per indicare lo stato di un’umanità che, a volte, supera anche la morte,secondo il grado di consapevolezza, di intellizione ed interpretazione del mondo, del tutto, raggiunto. Interpretare è capire e quindi esserne consapevoli; per questo la giustizia come interpretazione dei fatti è l’unica garanzia di qualcosa di vivo e profondo che non si risolve in una passiva sudditanza al potere coattivo, ma estraneo, delle leggi.
 Quest’acqua che chiediamo in ginocchio, questa sete di giustizia che oggi abbiamo in tutto l’intero mondo,non verrà mai finchè non avremo  graffiato il baratro profondo di tutte le nostre debolezze, di tutti i nostri dolori, consumato tutto il fuoco, accettato e perdonato tutto il male che altri inevitabilmente ci infliggono per  necessaria convivenza. Non chiediamo la parola “giustizia” come il senso labile usato per il perituro commercio quotidiano di abitudini reiterate, né come ricompensa per la nostra esclusiva edificazione personale. Chiediamo il senso di questa parola, “giustizia”, come conquista personale prima di tutto, ciò che ci rende vivi, desti, vigili, hèstos… appunto.
E tutto questo non  può che partire che dall’interpretazione dell’uomo, dei fatti e del mondo che lo circonda:dalla sua incessante evoluzione, dallo slancio verso l’ubermensch, quell’oltreuomo che Nietzsche aveva delineato come destino evolutivo, formativo,divino perfino a nostro avviso… dell’uomo  ma che un coacervo di scimmie e babbuini ha ridotto a poche banali ed aberranti affermazioni “contro” l’uomo, elevando muri di razzismi e cortine di particolarismi che riducono piuttosto ogni uomo al burattino di se stesso.
E per concludere queste nostre poche riflessioni, dulcis in fundo… possiamo anche affermare che questo saggio giudizio che discerne il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, e che massimamente si esprime in coloro che vengono chiamati a cariche di maggiori responsabilità… non può che rivelarsi nel suo immenso valore quando, giunti alle soglie di un certo fisiologico decadimento, prende finalmente atto di come quel meritato compimento di tutta una vita si realizzi in pieno solo  nell’agognato pensionamento.
Anche questa è giustizia, anche questa è legalità: per sé e per gli altri.

Tecla Squillaci
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