Camera di Commercio di Como: scuola generalista e isolata
Data: Lunedì, 11 ottobre 2010 ore 07:14:54 CEST
Argomento: Associazioni


La Camera di Commercio di Como ha realizzato uno studio statistico riguardante la popolazione scolastica, raccogliendo ed elaborando dati, di fonte Miur (Ministero Istruzione Università Ricerca), di tutte le scuole della provincia di Como di ogni ordine e grado. L’analisi mette a confronto i dati della provincia di Como con quelli delle altre province della Lombardia e con il dato medio regionale. L’impostazione è quella tradizionale, che ha come obiettivi fondamentali, l’individuazione del tasso di scolarità, la distribuzione per ordini di scuole, la presenza di studenti con una prima lingua diversa, il grado di scolarità attraverso il titolo di studio conseguito, il rapporto alunni/classi. È una ricerca utile per fare una istantanea della scuola lombarda e di Como, ma non sufficiente per un’analisi profonda delle dinamiche in atto. Inoltre non posso nascondere un certo fastidio per i documenti fotocopia che le diverse istituzioni producono, spesso senza dialogare tra loro: l’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia pubblica online un documento in pdf che contiene il rapporto completo sui numeri della scuola. Abbiamo quindi un surplus di dati sulla popolazione scolastica, senza effettivamente conoscerla: mancano i dati disaggregati sulle scuole private (con funzione pubblica o meno), sui Cfp; sui passaggi tra scuole, sulla dispersione scolastica, sull’abbandono in età di obbligo di istruzione. Anche il dato sul rapporto alunni/classi è generico e non leggibile, se non in chiave quantitativa ed economica, perché non è confrontato con il numero degli allievi diversamente abili e con gli studenti con L1 (prima lingua) diversa, di recente immigrazione. Manca infine un’analisi di quel fenomeno che ha portato molte scuole secondarie di secondo grado a diventare istituti superiori per offrire tutta la filiera: corsi regionali, professionali, tecnici e liceali; una trasformazione che ha il pregio di offrire risposte a studenti con diverse esigenze e tipologie di attitudini, provare a contrastare la dispersione, oltre che mantenere il livello di occupazione nell’era dei tagli indiscriminati.
L’istantanea della scuola comasca ci consegna il volto contraddittorio, e per certi aspetti preoccupante, della sua popolazione: il tasso di scolarità (rapporto tra iscritti e popolazione in età scolastica) è il più basso della Lombardia (il 74,6%) e tra i più bassi d’Italia. Non meraviglia che anche alle superiori il tasso sia il più basso (67,2%) e non è più soddisfacente la storica spiegazione che siamo nella provincia con un indice di occupazione alto, perché la crisi economica ha svelato la fragilità di un tessuto produttivo a cui mancano innovazione e investimenti.
“Un terzo degli studenti della provincia di Como, dopo le scuole medie, sceglie di proseguire gli studi in un istituto tecnico (33,8%), in media con il dato nazionale (33,5); tuttavia quella comasca è la quota più bassa tra le province lombarde: il dato medio regionale si attesta sul 38,7% a causa delle percentuali molto elevate registrate a Cremona (40,4%), Lecco (42,5%) e Lodi (52%). Un quarto degli studenti comaschi (24,9) sono iscritti al liceo scientifico, e in questo caso la percentuale è la più alta tra tutte le province lombarde; la media regionale è del 22,3% e quella nazionale del 23,1%. Un’altra fetta consistente sceglie di proseguire con l’istituto professionale; le percentuali regionale e nazionale sono simili (21,8% e 21,3%). Seguono le scuole magistrali (9,5%), gli istituti d’arte (4,9%), il liceo classico (4,8%) e il liceo artistico (0,1%).” (pagg. 4-5 del dossier Camera di Commercio).
La distribuzione delle iscrizioni conferma che 6 studenti su 10, in Lombardia e a Como, seguono studi tecnico-professionali, ma questo volto industrialista legato al manifatturiero è entrato in crisi da anni e già si vedono diverse tendenze: un aumento della licealizzazione (dato di Como), apertura di corsi legati al terziario, al turismo e al commercio. Vi sono poi le tendenze legate al riordino Gelmini e all’accordo Gelmini Formigoni, che il documento della Camera di Commercio non può ancora leggere, ma che noi possiamo evidenziare: di fronte al caos informativo i genitori hanno iscritto i propri figli ai percorsi tecnici e liceali; gli istituti professionali hanno avuto un calo di iscritti ai corsi nazionali (poco chiara  e generica la figura in uscita) e un aumento di classi prime sui corsi regionali; questi ultimi formano una figura di lavoratore qualificato che lavora per compiti ed esegue mansioni, figura emblematica di un tempo che non chiede saperi diffusi e capacità critiche, ma servi della gleba. I dati sugli alunni di recente immigrazione in provincia di Como evidenziano che le percentuali sono tra le più basse della Lombardia (8,4% rispetto all’11,3% della regione e al 7% dell’Italia) e che sono la scuola primaria e l’istruzione professionale, tra le superiori, ad assorbire il carico di problematicità. Il documento riporta anche i dati sulla dotazione organica e sul rapporto alunni/classi, ma senza un’analisi storica risulta poco leggibile.
Dalle statistiche presentate credo emergano alcuni dati generali che vale la pena precisare. La scuola comasca è soltanto generalista, non ha un specializzazione prevalente, sintomo della difficoltà della politica a costruire scenari, dell’economia a sperimentare e a investire, della scuola a percorrere strade diverse. Il governo dell’amministrazione pubblica fa fatica ad assumersi la responsabilità di una programmazione strategica territoriale e pare schiacciato sul ruolo di esecutore di ordini regionali: quanti corsi alle scuole statali e quanti al privato. Eppure i problemi sono altri, siamo la regione che più ha finanziato la scuola privata (il 22% degli studenti la frequenta), ma con il 32,7% della popolazione che possiede la licenza media, il 35% il diploma e solo il 10,7% (dato anche italiano) di laureati, il più basso d’Europa. [Marco Lorenzini, ecoinformazioni]





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