Bisogna tenere la scuola lontana dai partiti politici o dalla Politica? Dall'indottrinamento o dal dibattito ideologico?
Data: Giovedì, 07 ottobre 2010 ore 07:38:10 CEST Argomento: Opinioni
“ Più teniamo lontano la scuola dalle
questioni di partito, dalle contrapposizioni, più facciamo l’interesse
del Paese….Rimango perplessa tutte le volte in cui nella scuola entrano
i simboli politici” ( così, la ministra Mariastella
Gelmini, ne La Sicilia del 17 settembre c.a.).
L’affermazione della Gelmini mi sembra sostanzialmente corretta e
si può, volendo, condividere.
Una scuola che fosse luogo d’indottrinamento ideologico,
interessata alle futilità delle beghe delle contrapposizioni
partitiche, e gregaria di simboli politici, oltre a non giovare al
Paese, sarebbe una cattiva maestra, e tradirebbe la sua originaria e
naturale vocazione educativa, che mira, al contrario, a forgiare nei
giovani un abito mentale critico e problematico, alieno dalle faziosità
e dai preconcetti, aperto al dialogo e al libero confronto delle
varie opinioni.
Non mi sembra invece condivisibile l’idea di chi propone,
pregiudizialmente, di tenere lontano la scuola dalle questioni
politiche; di chi sostiene, insomma, l’immagine,
mitico-oleografica, di una scuola separata dalla polis, asettica
e -per così dire - insonorizzata, isola felice e antisismica, dove i
giovani non debbano fare altro che raccogliere e insaccare
acriticamente delle nozioni, senza porsi domande, né pretendere
risposte, ignorando tutto ciò che gli gira attorno, che è
legato ai problemi reali e materiali della società in cui
essi stessi vivono, e che sono problemi
squisitamente politici: la disoccupazione giovanile che cresce, e
il potere di acquisto del salario degli operai che diminuisce; i
precari della scuola che protestano per la perdita del posto di lavoro,
e le fabbriche che licenziano per la globalizzazione dei
mercati; i piccoli imprenditori che falliscono per l’avarizia
della domanda e il carico fiscale, e i grandi che evadono
le tasse; i politici che rubano e si autoassolvono (non tutti,
per fortuna), e le mafie che trafficano e riciclano; le Borse che
speculano; le guerre dei ricchi fatte per assicurare la pace dei poveri
, e la fame dei molti mantenuta per assicurare la ingordigia dei
pochi; l’Università che boccheggia per mancanza di fondi adeguati,
e i ricercatori che sono costretti a ricercare fuori
perché, dentro, la Patria non li può mantenere; gli
asili pubblici che sono insufficienti, la speculazione
edilizia che deturpa il paesaggio, i paesi che franano ecc,
ecc. Da tutti questi problemi reali, la scuola deve, e
può,volendo, rimanere fuori? Fare finta che non
esistono? E’ etico e culturale ignorare e disinteressarsi di queste
questioni che sono questioni politiche? Io credo di no. La politica è
arte difficile ma nobile, del pensare facendo; arte di confronto
di opinioni, di mediazione e di contrattazione, di discussione
dialettica d’idee ed elaborazione di programmi e di progetti
destinati a convertirsi in fatti ed opere condivise per il bene
della collettività; ricerca del giusto equilibrio degli interessi
fra le diverse parti sociali; logos, finalizzato non allo scontro
e alle intolleranze reciproche, ma al dialogo costruttivo e
alla crescita culturale e civile del Paese in nome dell’equità e della
giustizia. Per tutto questo la politica non può essere ignorata dalla
scuola!
Il vero e autentico umanesimo mal sopporta la parcellizzazione del
lavoro e l’alienazione dell’uomo; esso sostiene, semmai, una concezione
unitaria dell’essere-uomo e crede, in conseguenza di ciò, che sia cosa
scorretta, e sommamente ipocrita, alzare barriere tra le sfere diverse
dell’attività - economica, politica, intellettuale, culturale - di una
nazione.
La scuola come luogo di rielaborazione critica di quanto prodotto dal
pensiero umano nel corso dei secoli, non può vivere come un corpo
separato, senza un progetto politico di società, se è vero – come è
vero - che non si può separare il corso del pensiero dallo
sviluppo dei rapporti di forza reali, la cultura dalla politica la
politica dall’ economia, i singoli dalla società. Lo studente è, in
primo luogo, oltre che un intellettuale, anche un cittadino, una
persona pensante e partecipe dei sogni, delle passioni, delle
speranze,delle idee, dei progetti e degli interessi materiali
della comunità in cui vive e, come animale politico, ha il dovere di
partecipare responsabilmente alla costruzione della società del futuro
che gli appartiene. Ben venga, dunque, e si coltivino nei giovani, oggi
più che mai, non le contrapposizioni e gli odi di parte, ma
l’educazione civica e gli interessi per le questioni politiche, a
partire dai banchi della scuola. Perché no?
Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org
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