Proposta la riapertura delle scuole speciali, si torna indietro di 100 anni
Data: Sabato, 02 ottobre 2010 ore 14:00:00 CEST
Argomento: Associazioni


Tutto nasce dalla proposta di Giuseppe Pellegrino assessore alla Cultura e all'Istruzione del Comune di Chieri, in Piemonte, provenienza UDC, che in un forum ha dichiarato che "non serve a nulla insistere nell'integrazione scolastica di alunni con disabilità psichiche". A peggiorare la situazione è intervenuto un insegnante di armonia al Conservatorio di Milano, che ha subito specificato di "non essere nazista" (excusatio non petita…), ma di pensare che "un sano ritorno alla rupe Tarpea ci vorrebbe, anche perché è ora di finirla con il buonismo".
"Io oggi sono molto critico - e non sono il solo - nei confronti di una scuola che penalizza i migliori. Bisognerebbe fare delle classi differenziate per loro, altro che balle..." ha scritto l’insegnante sensibile all’arte, sul social network Facebook. Sollevato il polverone di polemiche, più o meno senza seguito, sono arrivate le giustificazioni. Per il primo la colpa è stata di un giornalista della 'Stampa', l’uomo-artista invece, si è scagliato contro Facebook e il suo tono colloquiale. Nel fraintendimento generale, né il politico né l’uomo di ‘cultura’ si sono preoccupati di scusarsi con i disabili in primis e poi con le loro famiglie. Hanno, invece, continuato una polemica più soft sostenendo le loro bizzarre (anche noi siamo dei buonisti è evidente) teorie su come una persona con disabilità psichica possa frenare l’apprendimento di quegli alunni, detti 'normali', che popolano le nostre scuole.
La presenza del disabile, secondo la loro opinione, infatti, ridurrebbe la capacità i apprendimento di chi frequenta la stessa classe. Ecco quindi il luogo separato, lontano dalla vista e dal cuore, dunque. Non importa che si chiami ghetto, lager o scuola speciale, l’importante è che questa distinzione, questa separazione, avvenga per garantire ai 'normali' il diritto allo studio e forse anche a diventare dei piccoli Einstein. La domanda, però, ci sorge quasi spontanea. Come è possibile che nelle classi dove non ci sia la presenza di un ragazzo con disabilità, nessun Manzoni, nessun Quaismodo o Pascoli sia emerso? Come è invece possibile che in classi dove ci sia stato un buon lavoro di integrazione, i ragazzi trattino il disabile come ‘uno di loro’, siano capaci di sopportare lo stress, imparino a convivere con i più deboli mostrando una spiccata capacità di intraprendenza e determinazione?
Siamo nel 2010, ma la nostra amara considerazione è che questi siano discorsi da anni ’60. All’epoca non c’erano i potenti mezzi di oggi, per studiare, capire, comprendere. Anni bui hanno attraversato la storia dell’umanità. Anni in cui avere un disabile in casa era una vergogna, una punizione divina (come diceva la Chiesa fino a qualche anno fa) per i peccati commessi o peggio era la gente del paese ad escludere ed emarginare tutta la familia. Pensavamo di aver fatto dei passi in avanti e, soprattutto, eravamo certi che l’opinione pubblica, i nostri colleghi, avrebbero reagito con una sollevazione unanime, con un moto di rabbia che avrebbe sepolto le polemiche. Invece ritroviamo poche righe su internet. Sarà vero, come dicono in molti, che l'opinione pubblica comincia ad assorbire senza reagire questi segnali di deterioramento civile, di ritorno a un clima che alimenta le peggiori paure?
Abbiamo voluto rivolgere qualche domanda una insegnante di italiano nella scuola media inferiore e mamma di una disabile ‘psichica’ che ha preferito non divulgare il suo nome.
G - "Prof.ssa, lei è da 30 anni nella scuola. Perché riaprire le scuole speciali sarebbe un passo indietro per l'istruzione in questo Paese?"
P - "Proprio perché sono da molto nella scuola, so che tutti questi anni hanno dimostrato le buone pratiche dell'integrazione. Non è stata una crescita solo per i ragazzi disabili, ma soprattutto per tutti gli altri, che si sono dovuti confrontare da subito con una realtà diversa dalla propria. Questo non può che essere positivo per l'armonia (vera) di una classe. Vede, l'errore è pensare che i disabili siano un problema nelle scuole, rappresentano, al contrario, un'importante risorsa. Vorrei, però mi scusi, subito sottolineare che l’insegnante del conservatorio ha commesso un grave errore sottolineando quello che pensa. Non so come ci si comporti nei conservatori, ma da noi, nella scuola pubblica intendo, ogni ragazzo ha obiettivi diversi. Non si può parlare di una classe se prima non si sono individuate le particolarità di ognuno. È così anche per gli alunni disabili. Forse quel professore dovrebbe chiedere all’insegnante dei suoi figli se non sono loro a costringere gli altri a rimanere indietro".
G - "Ci spieghi meglio per favore".
P - "Vede, non è la scoperta dell’uovo di Colombo. Ogni professore lo sa, lo insegnano ai corsi di aggiornamento e non solo. La didattica di una classe è basata su un programma, certo, ma la bravura dell’insegnante sta proprio nell’adattare il programma a tutti gli alunni. Ognuno ha capacità diverse. Esistono vari tipi di intelligenze. Intelligenze tecniche, intuitive, e così via. Ognuno di noi è dotato di particolarità specifiche e non potrà mai essere uguale ad un altro. Per questo ogni ragazzo ha obiettivi diversi che, se raggiunti tutti, sono la motivazione di un voto eccellente. Ecco spiegata anche la differenza tra un buono dato a due ragazzi differenti. Lo stesso voto non ha la stessa valenza. Certo questo si traduce in un lavoro doppio, anzi triplo, per l’insegnante e non tutti sono disposti a farlo. Alla luce di questo discorso, mi sorprende come un professore possa dire che i disabili rallentino una classe. Questo non è vero. Anche loro hanno obiettivi e finalità personali, come tutti".
G - "Come crede che si possa gestire una classe con più di 10 alunni con disabilità diverse?"
P - "Non prendiamoci in giro. Una classe del genere non si gestisce. E' impossibile garantire a tutti l’attenzione, la disponibilità. Guardi cosa succede da quando hanno ridotto le ore degli insegnanti di sostegno. Le classi, che dovrebbero lavorare con l’insegnante in sostegno al ragazzo disabile, vengono trascurate. Ovviamente così si penalizza il processo di integrazione per il quale quel professore è fondamentale. E poi, c'è stata una motivazione all'epoca, che ha fatto chiudere. Non ce lo ricordiamo più? Si chiama integrazione e mi sembra validissima. Immagini un ghetto, dove si mischiano esigenze e disturbi diversi. Ci vorrebbe un insegnante personale per ognuno. E se ci fosse, non ci sarebbe il problema degli insegnanti di sostegno nelle scuole pubbliche. Quindi sappiamo che questo non è possibile. E questi ragazzi, che non si confronterebbero mai con il ‘mondo normale’, usciti da una scuola del genere cosa andrebbero a fare? ".
G - "Se sua figlia avesse frequentato una scuola speciale. Come sarebbe andata?".
P - "Mia figlia, che essendo disabile psichica rientra nella categoria di persone per le quali si vorrebbe reinserire la Rupe Tarpea, non sarebbe stata la stessa persona che è oggi. Non avrebbe fatto i percorsi che ha fatto, le conoscenze, le amicizie, non avrebbe scoperto la passione per il disegno e non avrebbe frequentato una scuola per affinare le sue tecniche. Forse non avrebbe neanche pubblicato un libro illustrato da lei. Credo che l’idea di fondo sia una eliminazione non di tipo fisico, ma di tipo morale. I disabili sono un peso per la società, non una risorsa, quindi vanno nascosti agli occhi di tutti, vanno relegati in posti più consoni, che poi consoni non sono. Questa è un’idea non solo desueta, ma del tutto folle. Diciamo pure, senza remore, da paese sottosviluppato. Il mio rammarico e che davanti a queste provocazioni stupide, le associazioni non occupino le piazze, i luoghi istituzionali con determinazione, ma lascino che il popolino si abitui a questi tipi di violenza".

(Da http://www.irispress.it/ Mariangela Di Nicol)

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