L'inesorabile destino della dirigenza scolastica: ancora la riserva indiana
Data: Marted́, 28 settembre 2010 ore 17:44:38 CEST
Argomento: Opinioni


-Francesco G. Nuzzaci‑
Con simili premesse era del tutto irrealistico sperare che il dimezzamento delle attuali otto aree dirigenziali potesse sortire l’agognato (ma è proprio così?) risultato di far uscire l’ingombrante
dirigenza scolastica - a rischio di infettare le dirigenze «vere» - dalla riserva indiana in cui era stata
reclusa per contemplare la sua ineffabile «specificità» : difesa con le unghie da tutti i sindacati cosiddetti rappresentativi e dalle stesse impalpabili associazioni professionali, se si esclude qualche flebile voce dissonante poi rapidamente spentasi come un fuoco fatuo. Laddove l’esito – paradossale – è stato quello della sua marginalizzazione, non solo economica; di una dirigenza «finta», ridotta a un vacuo nomen iuris. Sarà un nostro limite, ma non riusciamo proprio a comprendere alla stregua di quale criterio di ragionevolezza dirigenti del medesimo datore di lavoro (dirigenti amministrativi del MIUR, di pari seconda fascia, non titolari d’ufficio, «non datori di lavoro», preposti alla gestione di poche unità di persone per il conseguimento di obiettivi semplici; dirigenti tecnici –ex ispettori scolastici, sempre di pari seconda fascia,addirittura privi di
una minima struttura fisica o unità organizzativa da governare), percepiscano – e continueranno a percepire, almeno sino al 2014 – una retribuzione quasi doppia rispetto a quella in godimento (si fa per dire!) di un dirigente scolastico che:
- è titolare di organo-ufficio (ora di rilievo costituzionale, ex art. 117, cost., come novellato dalla legge cost. 3/01) con rappresentanza esterna;
- gestisce un bilancio autonomo e ne risponde;
- è gerarchicamente sovraordinato ad una composita struttura implicante una diretta interlocuzione con soggetti politici e amministratori locali, con diverse decine di soggetti professionali interni, con centinaia di studenti e famiglie, socialmente sovraesposto di fronte ad un’utenza potenzialmente illimitata;
- è, in senso giuscivilistico e penalistico, datore di lavoro e titolare delle relazioni sindacali,
con relativi gravami in ordine al contenzioso e per la violazione delle norme sulla sicurezza, sul mobbing, sulla privacy, mettendo il tutto capo, sovente, a personali e dirette responsabilità, non di rado pesantemente sanzionabili.
Può succedere solo in Italia, anzi no: perché nella provincia autonoma di Trento i dirigenti scolastici sono economicamente equiparati ai dirigenti amministrativi («di servizio») e di norma – giustamente – percepiscono una retribuzione superiore ai dirigenti tecnici, ex ispettori scolastici, attributari di mere «posizioni dirigenziali».
La permanenza dei cirenei della scuola nello status di figli di un dio minore era ben stata assicurata, nel d.lgs. 150/09, dal possibile uso improprio delle apposite «sezioni speciali» interne alle non più quattro aree dirigenziali, siccome dilatabili al di là della loro naturale funzione, che è quella di comprendervi alcune tipiche figure delle professioni liberali alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: ingegneri, architetti, agronomi, analisti, chimici etsimilia.
Ma non c’è stato neanche il bisogno di ricorrere a questo sotterfugio perché l’atto d’indirizzo emanato ad inizio estate, propedeutico all’apertura delle trattative per la definizione dei nuovi comparti e aree dirigenziali, ha raccomandato di tener conto, più che della peculiarità, del numero dei dirigenti scolastici, esorbitante (circa 10.500) e produttore di effetti astrattamente devastanti per i conti pubblici.
E difatti, nei ripetuti incontri finora susseguitisi in questo mese ai tavoli negoziali, la proposta del commissario straordinario alle confederazioni sindacali resta ferma in quella che al momento sembra una delle poche certezze: quattro aree dirigenziali, di cui tre superaffollate (in particolare la prima area, che mette insieme i dirigenti di ben 57 datori di lavoro diversi ed interferenti tra di loro!) ed una in cui è collocata – da sola! – la dirigenza scolastica. Ancora, e per l’appunto, la riserva indiana, con un cantuccio per i dirigenti dell’alta formazione artistica e musicale, poco più di qualche decina; che poi dirigenti non sono (nel senso di incardinamento in un ruolo strutturato), bensì docenti temporaneamente preposti a funzioni dirigenziali in seguito a procedimento elettivo della categoria di appartenenza, già disciplinati dal vigente CCNL della quinta area della dirigenza scolastica relativo al quadriennio 2006-2009, stipulato lo scorso 15 luglio.
Se si prova a decrittare i resoconti – privati – dei lavori al tavolo negoziale c’è da farsi venire il mal di testa. Vi figurano le posizioni di chi vuole in via previa la modifica del quadro legislativo appena novellato, per la sostanziale conferma dello status quo ante (le dirigenze «forti», che non intendono finire in un indistinto calderone), ovvero come pretesto per allungare i tempi dell’accordo, così evitando la ravvicinata tornata elettorale di novembre per il rinnovo delle RSU, per il fondato timore di una batosta (in particolare la CISL e, in misura minore, UIL e CONFSAL).
E vi si leggono le posizioni di chi vuole rivedere la composizione interna dei comparti e aree a legislazione vigente, per il vero costruiti un po’ alla rinfusa; purché si faccia presto onde potersi
subito dopo indire le elezioni delle RSU: è il caso della CGIL, che si attende una cospicua crescita del proprio consenso e che vorrebbe costituire tali organismi rappresentativi dei «lavoratori» nelle strutture pubbliche anche per le aree dirigenziali, cioè dei «datori di lavoro»! Ci si è poi, un po’ tutti, sbizzarriti sulle «sezioni speciali», cui sono stati aggiunti i «settori», non previsti dalla legge; e si è disquisito sulla loro verticalità (all’interno di ogni comparto-area?) oppure orizzontalità (trasversali ai comparti e alle aree?), con i connessi problemi afferenti ai contenuti economici e giuridici da normare, nonché della loro valenza rappresentativa o non.
Ma, alla fine, si tratta di infruttuose schermaglie, in relazione al destino deteriore della dirigenza scolastica, che appare segnato. Ci sarebbe, è vero, la proposta della CONFEDIR – CIDA, di costruire un comparto-area della conoscenza (che affiancherebbe la dirigenza scolastica, oltre alla dirigenza AFAM, alla dirigenza delle università e degli enti di ricerca); che parrebbe condivisa dalla CGIL (che però prevede apposite sezioni, comunque purchè si chiuda in fretta, per le ragioni appena accennate). E ci potrebbe anche stare, tirandoci dentro l’università, benché noi crediamo che la naturale collocazione della dirigenza scolastica sia nell’area ministeriale, opportunamente ripulita delle tante presenze spurie, cioè del suo datore di lavoro: e senza la creazione di una «sezione speciale», così come non è stata – e non sarà – creata per i dirigenti (ex ispettori) tecnici e per i quali, a rigore, invece si giustificherebbe.
Infruttuose schermaglie, dicevamo. Perché, per la dirigenza scolastica, non è questione di aree e di appropriata collocazione. Che rimanga da sola o che stia insieme ad altre dirigenze non rileva, essendo la posizione del commissario straordinario graniticamente vincolata al mandato ricevuto: le attuali retribuzioni dei dirigenti pubblici, come fotografate al 2010, non possono aumentare neanche di un euro!
E non ci sarebbe neppure bisogno di appellarsi al mandato, perché ciò è imposto dalla recente manovra tremontiana (decreto legge 78/10, convertito con modificazioni nella legge 122/10), in forza della quale e sino a tutto il 2013 il complessivo trattamento economico dei dirigenti pubblici è insuscettibile di qualsivoglia incremento, tranne che non si verifichino il conseguimento di funzioni diverse in corso d’anno o eventi straordinari (pagamento di arretrati, maternità, aspettative...).
Ma a questo punto, con la riforma Brunetta già – implausibilmente – pretesa a costo zero e praticamente sterilizzata per via finanziaria (ad eccezione della corposa parte afferente alle sanzioni disciplinari, in realtà la sola che è parsa interessare, per il suo forte impatto mediatico, all’arcigno, perennemente incazzato, ministro veneziano), non si vede nessuna utilità per mettere in piedi, in tutta fretta e confusamente, un poderoso e ncontrastato dispositivo, naturaliter preordinato alle successive contrattazioni dei singoli comparti e relative aree dirigenziali a valere – è scritto – per il triennio 2010-2012 (secondo il nuovo modello più «leggero» e inglobante la parte economica e quella normativa). Perché questo triennio contrattuale, con l’aggiunta di tutto il 2013, è perso a tutti gli effetti (supra).
Sicchè concludere adesso significherebbe, per la dirigenza scolastica, subire un negativo effetto – trascinamento sul nuovo contratto che dovrebbe avviarsi nel 2014, con l’auspicio che, usciti dalle strettoie economico-finanziarie, possa aprirsi qualche spiraglio di luce per l’equiparazione retributiva piena.
Meglio fermarsi, dunque. Anche se, da questo esercizio di saggezza, purtroppo nessun beneficio potrà derivarne ai più o meno quattro-cinquemila colleghi che nel frattempo saranno andati in pensione: ragion per cui, ostinatamente, non ravvisiamo altro percorso che quello della via giudiziaria, su cui ci siamo profusi, con una serie di interventi, su questa rivista ed altrove.







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